Quando si pensa al genere delle avventure grafiche, inevitabilmente si finisce per ricordare Monkey Island. Chiunque sia stato grande abbastanza per vivere l'avventura di Guybrush Threepwood datata 1990, porta infatti con sé uno stupendo ricordo delle famose "tre prove" sostenute per aiutare il protagonista a diventare pirata, insieme a tutto quanto la mente di Ron Gilbert riuscì a partorire con la propria straordinaria fantasia. All'impresa partecipò anche un certo Tim Schafer, uno che, come abbiamo visto anche di recente con Broken Age, di avventure grafiche ne sa - come si suol dire - a pacchi. Vista l'eccezionale ispirazione dei suoi creatori, i fatti non sarebbero potuti andare diversamente: col passare del tempo, Monkey Island è diventato uno dei principali simboli del proprio genere, se non il più significativo, superando con la propria leggenda anche altre vecchie glorie che hanno dato il loro contributo alla storia dei videogiochi. Una serie che dal 1990 è stata in grado di assolvere il non semplice compito di resistere fino ai tempi più recenti, compiendo anzi una vera e propria impresa visto l'inesorabile declino del genere. Tornare a parlare di questa stupenda avventura è sempre un piacere: per questo e per tanti altri motivi, un appuntamento della nostra rubrica "Vita, morte e miracoli" a essa dedicato proprio non poteva mancare.
Tra polli di gomma con la carrucola in mezzo e scimmie a tre teste, ecco la storia di Monkey Island!
Sono Guybrush Threepwood, un temibile pirata
L'idea di Ron Gilbert per The Secret of Monkey Island risale al 1988, fu partorita dopo aver completato i lavori su Zak McKracken, altra avventura grafica di successo. L'ambientazione piratesca era già saldamente nella sua mente quando, mentre lavorava su Indiana Jones e l'Ultima Crociata, chiese a Tim Schafer e Dave Grossman di unirsi a lui nella realizzazione del gioco. Tra le varie fonti d'ispirazione del trio troviamo i film interpretati da Errol Flynn, all'interno dei quali i protagonisti dei duelli di spada chiacchieravano più di quanto effettivamente se le dessero di scherma: avrete già capito che da qui uscì fuori l'idea del duello di spada a insulti, uno degli elementi caratterizzanti del primo capitolo della serie.
Come i grandi classici del cinema, conosciuti dai loro estimatori fotogramma per fotogramma, chi ha giocato a Monkey Island ha in mente decine di particolari da ricordare: l'apertura con l'arrivo di Guybrush dal guardiano cieco dell'Isola di Mêlée, i pirati dello Scumm Bar, l'incontro folgorante con il Governatore Elaine Marley, l'eterna lotta contro LeChuck e tanto ancora, comprese trovate geniali per gli enigmi, come quello legato all'ormai leggendario pollo di gomma con la carrucola in mezzo. Un semplice elemento di gioco diventato un vero e proprio culto, al punto da vedere anche la produzione di oggetti reali a sua immagine e somiglianza, regalati ancora oggi ai nostalgici più inguaribili. Per non parlare, poi, dei personaggi: al di là del triangolo principale, ricordiamo ancora oggi con nostalgia i vari Herman Toothrot (un vero e proprio mito), il venditore di barche Stan e la Voodoo Lady, al centro di indimenticabili scambi di battute. Considerato il successo del primo capitolo, la realizzazione di Monkey Island 2: LeChuck's Revenge era dietro l'angolo: in senso letterale, visto che la pubblicazione di quest'ultima risale al 1991, per dare vita a un'avventura ancora più grande di quella che l'aveva preceduta. Per conferma, chiedere a chi all'epoca possedeva un computer Amiga, costretto a barcamenarsi tra ben 11 dischetti per completare tutto il gioco. Partiti insieme a Guybrush alla ricerca del leggendario tesoro Big Whoop, ci ritrovavamo ad attraversare altre situazioni folli, con soluzioni altrettanto fuori di testa: un esempio lampante è la gara di sputi, diventata come il duello a insulti uno dei miti degli amanti delle avventure grafiche. La coppia di titoli usciti a inizio anni '90 costituisce di fatto l'impianto classico della serie Monkey Island, quella che ci verrebbe da dire ogni videogiocatore con una certa età sulle spalle deve assolutamente aver giocato per definirsi tale. Il suo straordinario successo fu decretato all'epoca dalle situazioni surreali di cui abbiamo già parlato, da un'interfaccia punta e clicca diventata uno standard all'interno del genere, e dall'idea che in un'avventura grafica il giocatore dovesse essere libero di sperimentare, senza incorrere nella morte del personaggio a causa di un'azione sbagliata. Un elemento in grado di dare ai giocatori un nuovo livello di libertà esplorativa, concedendo allo stesso tempo più spazio ai game designer nella realizzazione degli enigmi.
L’addio del padre
In 6 anni possono accadere tante cose, anche che il creatore della serie Monkey Island, all'apice del suo successo, decida di dedicarsi ad altro. È così che scorrendo i principali nomi al lavoro su The Curse of Monkey Island, terzo capitolo arrivato da noi nel 1998, non si trova nessuno del trio composto da Gilbert, Schafer e Grossman: al loro posto, alla guida del progetto fu messa da LucasArts la coppia formata da Larry Ahern e Jonathan Ackley, a quel punto già navigati nel genere delle avventure grafiche dopo aver lavorato a giochi come Day of the Tentacle e Full Throttle.
Se i cambiamenti nello staff interessarono la serie dal suo interno, negli anni trascorsi le avventure grafiche si erano ovviamente evolute, proprio grazie a LucasArts, al tempo paragonabile a una vera e propria miniera d'oro per. I progressi della tecnologia permisero al team di sviluppo di adottare uno stile grafico più maturo, non più pixelloso, mentre l'interfaccia di gioco aveva ormai abbandonato il menu composto da tutte le possibili azioni da effettuare, precedentemente lasciate alla scelta del giocatore e ora integrato in modo contestuale al cursore del mouse. Pur senza raggiungere gli apici dei suoi due illustri predecessori, The Curse of Monkey Island riuscì a farsi apprezzare, prima di lasciare spazio al nuovo millennio e al definitivo declino delle avventure grafiche, che finì purtroppo per coinvolgere anche un marchio di tale importanza. Non prima, però, del suo debutto sul terzo asse dimensionale, grazie a Escape from Monkey Island: anche in questo caso, un cambio della guardia mise i veterani Sean Clark e Michael Stemmie alla guida del progetto. A metà tra il classico degli anni '90 e l'ingresso nel nuovo millennio, il gioco prendeva in giro anche i suoi predecessori, offrendo altri spunti divertenti come la modalità Monkey Combat, con chiaro riferimento in chiave ironica alla serie di picchiaduro Mortal Kombat.
(Quasi) 10 anni di nulla
Il tramonto delle avventure grafiche, come dicevamo, finì per investire in pieno anche una serie di assoluto rilievo come Monkey Island: dopo aver assistito al suo quarto capitolo nel 2000, abbiamo dovuto aspettare fino al 2009 per rivedere Guybrush Threepwood in attività.
Una LucasArts ormai a pochi anni da quella che nel 2012 sarebbe stata la sua vendita, con successivo smantellamento da parte di Disney, ha fatto sì che il testimone passasse a Telltale Games, che in piena linea con le sue tradizioni ha fatto di Tales of Monkey Island un racconto a episodi. Pur mostrando l'età dell'intero brand, attraverso una serie di gag ed enigmi che a tratti sapevano di già visto, la fatica dei creatori di The Walking Dead e dei nuovi Sam & Max ha saputo comunque ridare lustro a quello che era e resta uno dei pilastri dell'intera industria videoludica. Passati 20 anni dal primissimo episodio, ci ha pensato poi il mondo di smartphone e tablet a riportare The Secret of Monkey Island in voga, insieme al suo immediato successore, grazie alle Special Edition di entrambi, pubblicate tra 2010 e 2011: sono queste anche le ultime apparizioni di Monkey Island sul mercato. Usciti anche per PC, i remake hanno permesso ai videogiocatori più giovani di apprezzare due grandi classici, dando allo stesso tempo ai più inguaribili nostalgici un pretesto per ritornare sull'Isola di Mêlée, anche grazie alla rinnovata veste grafica.
Monkey Island 3a?
Il futuro della serie Monkey Island, a questo punto, appare decisamente incerto: a quasi un anno fa risalgono le ultime dichiarazioni in merito da parte di Ron Gilbert, attraverso le quali il papà di Guybrush ha condiviso la sua idea per un ipotetico nuovo episodio. Prima di tutto, esso non dovrebbe avere grafica 3D, inaugurando così un ritorno alle origini che partendo dal look arriverebbe fino ai contenuti, che Gilbert vorrebbe dedicare ai fan più determinati delle avventure grafiche, privati di tutto il sistema di aiuti che nel corso degli anni è stato inserito per renderle più digeribili al grande pubblico. Per Ron Gilbert, inoltre, il nuovo Monkey Island sarebbe da considerare in tutto e per tutto come "vero" terzo capitolo della serie, visto che quanto venuto dopo il 1991 non corrisponderebbe a quella che era la sua sua visione originaria delle avventure del pirata più temibile (forse) e simpatico (di sicuro) di tutti i tempi. Con l'affermazione di Kickstarter e l'epoca d'oro del crowdfunding, mai dire mai, anche se per il momento il ritorno di Ron Gilbert resta solo un sogno per tutti coloro che hanno amato alla follia questa serie. Ma il segreto di Monkey Island è ancora lì, e prima o poi qualcuno dovrà svelarcelo.