Versione testata: Xbox 360
I polacchi Techland sono senza dubbio una software house prolifica, tanti titoli, senza poi mai fossilizzarsi su un unico genere, grazie anche al motore di gioco proprietario Chrome, giunto oggi alla quinta iterazione, che nel corso degli anni si è dimostrato essere discretamente potente ma soprattutto versatile. Lo sparatutto in prima persona è certamente il "contenitore" più utilizzato dai ragazzi con sede a Ostrovia, ma bisogna dargli atto di averlo declinato prima in salsa futuristica (Chrome), poi in quella western (la serie Call of Juarez), per poi addirittura arrivare, dopo una parentesi off road (Nail'd), a quella "ruolistica", questa volta in ottica zombi (Dead Island).
Con Call of Juarez: The Cartel invece si sono mossi su una strada più battuta, quella dello sparatutto contemporaneo, trasportando il loro franchise più famoso Call of Juarez dai sanguinosi scenari della guerra di secessione a quelli altrettanto sanguinari del Messico e della Los Angeles di oggi.
Dream team
Per fare ciò hanno scelto di metterci nei panni di un gruppo speciale di agenti, ognuno con "una propria agenda", tutti con un passato torbido, ma sufficientemente esperti e scaltri per sfidare i cartelli messicani della droga, ormai infiltratisi a tutti i livelli, tanto al di qua che aldilà del muro della vergogna sul confine. La squadra è formata dal meglio delle agenzie governative, troppo orgogliose per cooperare tra di loro, costrette ora a lavorare gomito a gomito dopo un attentato agli uffici federali di Los Angeles, per risolvere la questione che rischia di sfociare in guerra aperta tra Stati Uniti e Messico. Del super gruppo fanno parte Benjamin McCall, detective della LAPD, dai modi spicci e ruvidi, il classico sbirro che quando si gioca a poliziotto buono - poliziotto cattivo fa la parte del cattivo, Kimberly Evans, operativa FBI, clone in tutto e per tutto di Halle Berry e Eddie Guerra, l'infiltrato della DEA, che forse ha preso troppo sul serio il suo ruolo di doppiogiochista.
Il titolo ci fa scegliere chi interpretare, ognuno dei tre agenti ha caratteristiche peculiari, può utilizzare un certo tipo di armi piuttosto che un altro, e si porta in dote delle "missioni secondarie" particolari perfettamente in linea con la storia del personaggio. Durante la nostra prova abbiamo visto Eddie Guerra rubare soldi sulla scena del crimine, ma anche droga da consegnare ai propri spacciatori per fare qualche soldo extra. Tre personaggi, tre storie diverse alle spalle, ma l'impressione è che la narrazione nel gioco non cambierà, a cambiare sarà solo l'approccio alle sparatorie visto il differente arsenale che i tre si portano appresso, e che aumenterà con la progressione e con il compimento delle missioni secondarie. Le armi, tre slot, per una "lunga" e due "corte", potranno essere scelte nella lobby di ingresso che si palesa prima di ogni livello e che ci dà anche la possibilità di aprire The Cartel alla fruizione cooperativa per un massimo di tre persone, tanto privatamente quanto pubblicamente.
L'erba voglio
Il nostro test ci ha permesso di provare diverse situazioni di gioco, e sembra proprio che al titolo Techland non mancherà la varietà. Call of Juarez: The Cartel inizia subito col botto, con un bell'inseguimento in autostrada dove siamo impegnati a sparare sporgendoci dal finestrino. Inseguimento che finisce proprio col botto e che termina con un bel salto indietro, tre giorni per l'esattezza che ci portano all'inizio della missione. Siamo nel bel mezzo di un parco nazionale, immersi in una fitta vegetazione dove spiccano gigantesche sequoie, Techland ha insomma scelto un modo spiazzante per mettere in scena il primo livello "vero" di un western contemporaneo. Il nostro obiettivo è quello di bruciare una piantagione d'erba appartenente al Cartello, e lasciare sul campo la firma di una gang rivale, così da destabilizzare gli equilibri in città. L'azione, con tutti i necessari distinguo del caso, ha dato l'impressione di ricordare le parti all'aperto di Halo. Il livello alternava ripide salite a scoscese discese, spazi ampi e tante rocce, alberi e più in generale numerose ripari dove cercare copertura. Questa sensazione veniva amplificata da una buona intelligenza artificiale, con i nemici bravi nel coprirsi a vicenda e nello spingerci a non giocare al tiro in piccione dietro una solida roccia.
Purtroppo tanto in questo frangente, quanto nei livelli seguenti davvero fastidioso è stato il momento di spawn dei nemici, fin troppo visibile, con i membri delle gang che sono apparsi all'improvviso nel bel mezzo della mappa come se fossero arrivati col teletrasporto, e addirittura spesso in fila indiana, facilitando la loro uccisione con una prolungata raffica. Arrivati nei pressi dello scontro finale, una casa su un burrone con tanto di elicottero ad aspettarci, abbiamo prima apprezzato le dinamiche di copertura, dove bisogna semplicemente aspettare il fuoco di soppressione dei compagni prima di avanzare da un riparo all'altro, e subito dopo testare il sistema di irruzione. Nessun comando particolare, tutto in automatico, una volta entrati a forza in una stanza il tempo rallenta, permettendoci di prendere la mira in modo più agevole. La stessa cosa avviene con la mira concentrata, che si attiva dopo un certo numero di "kill", con lo schermo che vira in rosso attivando il solito (e comodo) bullet time .
Avanti sbirri!
Se questa prima missione ci ha positivamente impressionato per il felice level design, per le seguenti siamo tornati su binari decisamente più canonici, che non hanno fatto che appiattire però il gameplay delle sparatorie. Abbandonato il parco nazionale ci siamo spostati a Los Angeles per una serie di sparatorie nei sobborghi, nei vicoli delle periferie e al porto, e qui il gioco ha messo in mostra tutta la sua linearità, dove tra una camminata tra una casa e l'altra, siamo stati impegnati in lunghe sparatorie, tutte all'insegna della spinta continua in avanti muovendoci di copertura in copertura. L'unico accenno di "verticalità", o meglio di variazione di questo schema è quando abbiamo visitato un bordello - nightclub. Qui abbiamo usato i nostri pugni con animazioni francamente dimenticabili, per poi tirare fuori le armi, muovendoci di piano in piano. L'impressione è che le meccaniche degli scontri a fuoco siano piuttosto ben congegnate, le armi hanno una bella risposta e un feeling distintivo tra l'una e l'altra, e che le sparatorie siano anche piuttosto impegnative, con i nemici che si spostano velocemente da una copertura all'altra, ma alla lunga, se il tutto si risolverà in insistite "spinte in avanti" sino al prossimo trigger, di sicuro l'allarme noia e ripetitività potrebbe da subito suonare, sopratutto se, come Call of Duty ci insegna, il tutto non è supportato da coreografie cinematografiche perfettamente scriptate.
Dove però il gioco non ha per nulla convinto è a livello grafico. Bisogna mettere bene in chiaro che il codice giunto in redazione è ben lungi dall'essere quello finale, con tanto di menù palesemente provvisori e alcuni dettagli monchi o mancanti, però a livello di texture, di costruzione poligonale e in fatto di pulizia, il lavoro di Techland non può che definirsi povero, nonostante un buon focus sui dettagli e sulla diversificazione degli ambienti. Speriamo insomma che nella versione che sarà nei negozi il prossimo 22 luglio Techland riesca a lavorare bene per risolvere le numerose problematiche che gravano pesantemente sull'impatto del gioco.
Che dire di questo Call of Juarez: The Cartel? I ragazzi polacchi sembrano aver lavorato molto per farci dimenticare il cambio di ambientazione, inserendo una modalità cooperativa, proponendo personaggi non mono dimensionali, frenetiche sparatorie e quella che si spera sarà una buona varietà di ambientazione, ma tutto però si scontra con un prodotto che alterna alcune buone cose a molte altre decisamente rivedibili.
CERTEZZE
- La cooperativa (solo online) è un bel plus
- Buona intelligenza artificiale
- Tre personaggi incoraggiano la rigiocabilità
DUBBI
- Tecnicamente vistosamente indietro
- A rischio noia e ripetitività