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Pagati per giocare

Bella la vita di chi lavora nell'industria. Oppure no? Un'esperienza personale e un contributo esclusivo da Alex Ward.

DIARIO di Andrea Pucci   —   21/04/2007

Io li pago per giocare

Pagati per giocare

Ho smesso da tempo di giocare quanto vorrei. Mi rivedo più nella frase "pagali per giocare" piuttosto di "pagato per giocare". Tuttavia le origini della mia carriera professionale giocare era il fulcro della mia giornata di lavoro. Nella LAN dove ogni giorno si raccoglievano decine di ragazzini a giocare a Counter-Strike o al deathmatch di Quake 2 animare le partite garantendo la presenza di un giocatore skillato era fondamentale. Ed era pure divertente. A tal punto che spesso diventava impossibile servire i clienti alla cassa per eccesso di zelo nell'animazione del LAN party. Con il passare del tempo e l'aumentare della complessità il tempo per giocare lo si trova solamente per i grandi capolavori destinati a diventare classici. Il videogioco permea ancora tutta la mia giornata ma sicuramente lo vivo in maniera diversa da un tempo. Non voglio arrivare nè a pensare nè a dire quello che ho ascoltato da altri colleghi del tipo "a questo punto tubi o videogiochi non farebbe la differenza", eppure tenetelo presente se intendete iniziare la carriera in questo mondo: più salite in alto, meno avrete contatto fisico con il videogioco. Li vedrete passare, li vedrete giocare, li possederete, ma come i grandi cuochi che non assaggiano le loro creazioni, capiterà che non potrete o non vorrette giocarli voi stessi. Tuttavia andrete ad alimentare il mito del "PAGATI PER GIOCARE".

A seguire una breve chicca esclusiva dal libro in uscita: la prefazione a cura di Alex Ward, mito dei Cryterion Studios, che tutti dovreste conoscere per la serie Burnout e per RenderWare, un apprezzatissimo engine grafico 3D utilizzato per costruire decine di videogiochi di successo (la serie Tony Hawk, Crackdown, Black, vari capitoli di Sonic, GTA San Andreas e via dicendo). Buona lettura!

Inizia tutto da qui di Alex Ward

Nel febbraio del 2000 mi sono trovato a Makuhari, una piccola ma futuristica città alle porte di Tokyo. Partecipavo ad una manifestazione chiamata PlayStation Festival. Era la prima volta in cui veniva mostrata al pubblico la PlayStation2, e c’erano parecchi nuovi giochi in esposizione. Girovagavo con alcuni europei, per la maggior parte giornalisti mandati a seguire l’evento; tutti sapevano che quella manifestazione significava qualcosa, che in qualche modo sarebbe stata importante. Comprai una maglietta allo stand del merchandising, venduta in una piccola scatola color nero opaco. Alcuni dei giornalisti che erano con me ne comprarono diverse, una da indossare e le altre da conservare, nelle loro scatole, intatte. Era una maglietta speciale, un’edizione limitata, in vendita solo in quell’occasione. Nel lungo volo di ritorno a Londra ho aperto la scatola e ho guardato la maglietta. Diceva semplicemente “PlayStation2. Inizia tutto da qui...”.
Avanti veloce. Estate 2006. Stiamo assistendo all’avvento di una nuova generazione nell’industria dei videogiochi. Mi prendo una pausa dallo stridere di gomme, dai rimbombi delle esplosioni e dal suono delle armi automatiche. Una giornata come un’altra negli uffici della Criterion! È un onore sentirsi chiedere da David Hodgson, uno dei più rispettati scrittori di videogiochi su entrambe le sponde dell’Atlantico, di scrivere la prefazione del suo nuovo libro.
Se siete seriamente intenzionati a tentare una carriera nella sempre più importante industria dei videogiochi, questo è un ottimo punto di partenza. Potrete scoprire come hanno fatto altri ad avviare la propria attività, e apprendere preziosi consigli su come entrare a farvi parte. Le opportunità sono molte: l’industria dei videogiochi è diventata più grande di quella del cinema. Provate a recarvi in una qualsiasi libreria o a navigare in rete, e vi accorgerete di quanto sia difficile trovare informazioni per cominciare. Credo che sia per questo che David, Bryan e Alice si siano fatti carico di scrivere questo libro. In altri settori è tradizione offrire consigli e aiuto ai nuovi arrivati; in quello dei videogame, siamo tutti troppo impegnati a progettare il nostro prossimo gioco e passiamo troppo tempo rinchiusi in una piccola stanza buia a pro- varne l’ultima versione. O forse quello sono io!
Siamo alle soglie di qualcosa di nuovo, per tutti noi. L’industria è in continua evoluzione, e questo è di gran lunga il periodo più esaltante che si sia mai visto. La nuova generazione di hardware è arrivata: Xbox 360 di Microsoft è nei negozi, e questo Natale verranno lanciate la lungamente attesa PlayStation 3 di Sony e l’innovativo Wii di Nintendo. Siamo agli albori della nascita del gioco online globale, con gente che si collega da tutto il mondo, ed esperienze ludiche completamente nuove. Sta cambiando anche il modo di distribuire i giochi: grazie ai contenuti scaricabili dalla rete, ci sono titoli che aspettano solo voi, senza neppure che vi dobbiate alzare dal divano!
Mai come oggi ci sono tante occasioni per entrare a far parte in maniera importante dell’industria del videogioco. Tenere tra le mani questo libro è solo l’inizio. Cosa state aspettando?
Girate pagina e cominciamo. Potrete imparare dai migliori di questo mondo, ma il resto dipende da voi.
Inizia tutto da qui...

Alex Ward
Responsabile creativo
Criterion Games
Guildford, England
Luglio 2006

Come molti di voi sapranno ormai, sta uscendo in questi giorni un nuovo libro della collana Multiplayer.it Edizioni. Dopo Masters of Doom e Il Fattore X, stavolta i riflettori sono puntati sul "mestiere del videogioco", ovvero sulle molteplici possibilità di lavorare a contatto con l'industria dei videogiochi: dal game designer al commesso di negozio. Ci sono un sacco di opportunità ma chiaramente non è tutto oro quello che luccica, anzi, come nelle migliori tradizioni per garantirsi un posticino nel paradiso dei videogiocatori bisogna comunque farsi un culo così.
Il libro tra l'altro esce in un momento in cui l'ennesima strage in un liceo americano tenta di rimettere sulla croce i giochi violenti come traviatori di giovani menti. "Fortunatamente" (perdonate l'utilizzo di una parola così fuori luogo in questo contesto) il folle che ha compiuto la strage, nel suo testamento video, ha evitato di dire "Hail to the King" o altre idiozie simili altrimenti ci saremmo ritrovati con una tragedia oltretutto contornata da toni di caccia alla strega estremi. Purtroppo i soliti maliziosi benpensanti tentano subdolamente di attribuire l'attacco di follia omicida a qualche fattore esterno, anzichè ad una tara genetica esplosa all'improvviso e all'incredibile facilità di acquistare armi, come era già accaduto durante la strage alla scuola di Columbine, sempre negli Stati Uniti.