Di Famicom Detective Club abbiamo già parlato in due occasioni: una per farvelo conoscere, essendo una serie rimasta relegata in Giappone dalla fine degli anni '80 fino a oggi; l'altra per svelarvi qualche curiosità su di essa o sui suoi personaggi. Oggi finalmente siamo qui per raccontarvelo a dovere, con tutte le premure del caso in merito alla trama perché va bene che ha i suoi anni sulle spalle ma, proprio a causa della sua scarsa reperibilità, lo conoscono in pochi e non sarebbe giusto rovinarvelo. Siamo anzi sorpresi di averlo visto superare i confini natii dopo così tanto tempo e grati che sia successo, poiché così come i due capitoli che compongono la serie erano molto belli all'epoca lo sono ancora oggi, forti di una rivisitazione artistica totale e un doppiaggio inedito. Ecco quindi la recensione di Famicom Detective Club: The Missing Heir & The Girl Who Stands Behind.
Due visual novel sovrannaturali
Famicom Detective Club si compone di due capitoli, dei quali il secondo è in realtà un prequel. In The Girl Who Stands Behind veniamo a conoscenza del protagonista (cui potete dare il nome che volete) e come sia entrato in contatto con l'investigatore Shunsuke Utsugi - diventandone l'assistente. La storia ruota attorno all''indagine sulla morte di una ragazza del liceo, un caso all'apparenza semplice e pronto invece a evolversi fino a diventare una situazione ben più grande di quanto si potesse pensare; a corredo, le vicende prendono una strana piega sovrannaturale a causa delle voci sullo spettro di una ragazza che infesta la scuola dove studiava la vittima. Fra intrighi e colpi di scena, il nostro giovane ma intuitivo protagonista dovrà riconoscere la verità oltre le bugie, scavando in un passato torbido che sembra nascondere le risposte di cui ha bisogno.
The Missing Heir è ambientato dopo queste vicende e vede il ragazzo risvegliarsi ai piedi di una scogliera, senza memoria di sé. Ben presto sarà coinvolto in un altro misterioso caso, ossia indagare su un un complesso caso di omicidio tra i ranghi di una facoltosa famiglia, in un villaggio che cela troppi segreti. Sembra che un'antica maledizione gravi sugli Ayashiro ma sarà vero? O si tratta soltanto di voci messe in giro per tenere lontano i curiosi? Starà a voi scoprirlo, consapevoli che spesso non sono i morti di cui ci si deve preoccupare ma dei vivi.
Dal passato al presente
Come vi abbiamo anticipato, sono trascorsi ben trentatré anni dall'uscita, solo in Giappone, del secondo capitolo di Famicom Detective Club. Abbiamo provato i capitoli originali, prima di metterci su questo remake, e dobbiamo riconoscerne la genuina bellezza: soprattutto per quanto riguarda The Girl Who Stands Behind, di cui abbiamo giocato la riedizione SNES e che ha visto coinvolto al lavoro quasi tutto il team dietro "Super Metroid".
Il leggendario pixel artist Tomoyoshi Yamane si è occupato di supervisionare la versione 16 bit del gioco che, a tutti gli effetti, possiamo considerare come il primo remake: le schermate statiche che raccontavano la storia erano diventate animate e così ricche di dettagli da non sembrare fuori luogo nemmeno oggi. Lo stesso comparto audio ne ha beneficiato, in particolare perché a Kenji Yamamoto è stato finalmente permesso di realizzare appieno le idee avute a suo tempo: in quanto compositore dell'originale sapeva bene cosa voleva ma soprattutto cosa servisse al gioco per veicolare la sua atmosfera ed è stato in grado di fare ottimo uso delle potenzialità di SNES. Ci sono tracce come Reasoning 2 (da The Girl Who Stands Behind) che non solo sono un omaggio ai Goblin e Dario Argento, quest'ultimo fonte di ispirazione per l'autore Yoshio Sakamoto - ricordiamo, al suo primo lavoro di scrittura con questa serie - ma fanno sentire parte delle vicende in un attimo.
Questa stessa qualità, visiva e musicale, la ritroviamo nel remake per Nintendo Switch, che anzi valorizza The Missing Heir confermando poi la già ottima qualità di The Girl Who Stands Behind. Il comparto tecnico adottato è assolutamente di prim'ordine, con un'estetica anime che lo rende moderno dimostrandosi molto elaborato e curato nei dettagli: se siete appassionati di visual novel saprete che la tendenza è quella di "animare" i personaggi attraverso lo sbattere delle palpebre o improvvisi cambi di espressione. In tal senso, Famicom Detective Club si spinge oltre e presenta vere e proprie animazioni, che nonostante a tratti possano sembrare artificiose nel complesso offrono un risultato finale di pregio, al punto da farci sperare di poterne vedere seriamente la messa in scena animata.
Davvero non ce lo saremmo aspettati, a maggior ragione per giochi di oltre trent'anni fa, una cura che andasse oltre la semplice riproposizione (come ad esempio è stato per Fire Emblem Shadow Dragon & The Blade of Light, rivelatasi un'operazione piuttosto carente). Anche solo per questo, assieme a un doppiaggio altrettanto curato che ha visto coinvolto un cast di tutto rispetto e una colonna sonora le cui tracce si adattano a ogni situazione rendendo più vivo il gameplay, a Famicom Detective club andrebbe data quella possibilità che finora, per ovvie ragioni, gli è stata negata. L'unico ostacolo, oggi come oggi, potrebbe essere la lingua: il gioco infatti non prevede la localizzazione italiana, perciò dovrete affidarvi a quella inglese - il che, per una visual novel e qualcuno che non lo mastica, potrebbe risultare un problema. I testi comunque sono di facile comprensione e mai troppo carichi al punto da farvi perdere il filo della narrazione.
Un gameplay un po' troppo vecchio
A beneficiare meno di questo restyling è il gameplay perché, molto semplicemente, è identico a quello del 1988-89. Ha avuto senza dubbio il merito di farsi pioniere del genere, sperimentando soluzioni che poi sarebbero state migliorate nel tempo, e proprio per questo risulta abbastanza anacronistico se non proprio in conflitto con la scorrere di una narrazione altrimenti molto fluido. Essendo una visual novel investigativa, in Famicom Detective Club si legge molto ma si indaga altrettanto: possiamo esaminare le scene alla ricerca di indizi, parlare con potenziali testimoni, riflettere tra noi su quale possa essere il passo successivo (questo a volte funziona da suggeritore su come proseguire), mostrare eventuali prove e soprattutto fare buon uso del nostro taccuino, dove sono raccolte tutte le informazioni essenziali raccolte nel corso dell'investigazione.
Durante la ricostruzione del caso, andremo a sbattere contro un macchinoso sistema di trial & error che, se in passato poteva essere figlio di una certa ingenuità, oggi si sarebbe potuto revisionare: ci sono letteralmente diversi punti nelle conversazioni che in mancanza di una direzione chiara da prendere obbligano a esaurire tutte le possibilità a nostra disposizione; oppure, ancora peggio, a provare una stessa opzione più volte affinché questa faccia breccia e ci permetta di proseguire. Non sarebbe poi un male, se appunto ci fosse modo di orientarsi nella messa in scena e capire dove di vuole andare a parare. Spesso però non è così e il gioco incontra momenti di stallo frustranti, in cui si pensa di aver fatto tutto e invece manca ancora qualcosa di cui non abbiamo idea. A volte, invece, ci si sofferma troppo sull'ovvio e ancora una volta siamo tenuti a seguire precisi passaggi nonostante la soluzione sia sotto gli occhi. Spiace che Famicom Detective Club non abbia voluto ammodernare anche questa parte, a fronte di una revisione tecnica ottima e un'interfaccia ripulita a dovere; ciononostante, vi invitiamo ad andare oltre questo inciampo e godervi due classici della storia Nintendo che hanno finalmente avuto, sebbene non in toto, giustizia.
Conclusioni
Famicom Detective Club: The Missing Heir & The Girl Who Stands Behind è l'occasione giusta per recuperare due classici di fine anni '80 rimessi a nuovo. Forti di un'estetica totalmente rivisitata e di una colonna sonora riarrangiata su una base già ottima (in particolare per quanto riguarda il secondo capitolo), i giochi mostrano un po' il fianco con un gameplay inalterato rispetto alle versioni originali e che oggi, dopo trentatré anni, risulta inutilmente macchinoso. A dispetto di questo e della poco condivisibile scelta di non localizzare anche in italiano, vi invitiamo comunque a giocarlo: le due storie non sono mai banali e si dimostrano in grado di catturare l'attenzione fino alle battute finali.
PRO
- Esteticamente bellissimo
- Storie mai banali e ricche di colpi di scena
- Colonna sonora perfetta nel veicolare l'atmosfera
- Due classici del passato finalmente in Occidente e in un unico pacchetto
CONTRO
- Poco condivisibile la scelta di non localizzare in italiano
- Il gameplay è rimasto uguale agli originali e oggi, in alcuni punti, è inutilmente macchinoso