Che i videogiochi siano un universo eccezionalmente competitivo è cosa nota e la battaglia costante tra blockbuster per la cima delle classifiche di vendita è un fenomeno che chiunque può osservare senza sforzo. Pensare che questa forma di concorrenza sia propria solo delle grandi case di sviluppo è però un errore: gli sviluppatori indipendenti sono spesso competitivi tanto quanto le software house più imponenti. Anzi, in un campo dove talento e idee surclassano praticamente sempre per importanza qualunque altro aspetto, la sfida è ancor più sanguinaria, perché solo i creatori realmente geniali riescono a spiccare (e a volte nemmeno il genio è garanzia di successo). La battaglia coinvolge persino quei team che "ce l'hanno fatta", conquistando gli onori della cronaca con almeno un videogioco di valore. In quel caso, però, l'ambito della sfida si sposta e da guerra aperta agli altri studi si passa a una costante lotta con sé stessi per superare quanto fatto in passato.
Inizialmente si potrebbe pensare a una evoluzione naturale: un team zeppo di menti acute non dovrebbe aver problema alcuno a sfornare giochi sempre più meritevoli dell'attenzione del pubblico, eppure basta analizzare lo storico di molte software house per rendersi conto che sono spesso più quelle con la tendenza ad arenarsi di quelle capaci di raggiungere picchi sempre più alti a là Supergiant Games. Studio che, per capirci, ha comunque traballato leggermente con Pyre prima di riesplodere con il fantastico Hades.
Nello specifico, la software house indipendente di cui ci occupiamo oggi è Heart Machine: inizialmente una squadra composta da soli cinque sviluppatori che, dopo l'ottimo Hyperlight Drifter, ha deciso di fare il passo successivo creando un titolo tridimensionale di nome Solar Ash.
Per dare forma a un gioco sorretto da un comparto tecnico nettamente più evoluto rispetto all'opera passata, gli Heart Machine sono quintuplicati e oggi possiamo finalmente provare la loro nuova creatura. Saranno riusciti a crescere a sufficienza, o Solar Ash rappresenta il loro primo grande passo falso?
Scopriamolo nella recensione di Solar Ash.
Storia: la banda del buco
La protagonista del gioco è Rei, una Voidrunner (la traduzione italiana è "staffetta del vuoto", ma essendo piuttosto atroce preferiamo il termine originale), impegnata a salvare il suo pianeta di origine da un misterioso e gigantesco buco nero chiamato Ultravuoto che ha già consumato vari mondi durante il suo tragitto. Questo spaventoso fenomeno non si limita tuttavia a distruggere tutto ciò che incontra: sembra "inglobare" parte dei mondi consumati, ed evolvere in tal modo una sorta di suo ecosistema interno.
In questo eccentrico "angolo di universo", Rei ha la missione di attivare lo Starseed: un poderoso meccanismo così ricolmo di energia da poter fermare l'avanzata dell'Ultravuoto. Peccato che la squadra di Voidrunner con cui ha intrapreso il compito non risponda più alle comunicazioni, che l'unica intelligenza artificiale in grado di far funzionare il tutto sia in malfunzionamento e che nell'Ultravuoto non manchino assolutamente i pericoli.
Considerata la premessa, non deve sorprendere il fatto che Solar Ash sia prevalentemente un gioco esplorativo, eppure non è il caso di aspettarsi una lenta avventura pensata per favorire la meditazione. Tra le ispirazioni del fondatore di Heart Machine, Alx Preston, infatti ci sono vari Mario tridimensionali, Shadow of the Colossus e Jet Set Radio. E citare giochi del genere spesso in campo indie potrebbe sembrare il vaneggiamento di un folle, ma Preston non sembra averli presi ad esempio con l'ingenuità tipica di altri sviluppatori: si è rifatto a loro con la volontà di creare un videogame dal design intuitivo e finemente calcolato, capace tanto di accompagnare dolcemente la progressione del giocatore quanto di metterla in costante difficoltà con sfide sempre nuove.
Gameplay: pattinare contro il tempo
Le meccaniche che sorreggono Solar Ash, data la filosofia di fondo, sono immediatamente comprensibili e ben applicate. A tutti gli effetti il gioco è un platform in cui la protagonista può pattinare sul terreno con gran rapidità, usare un rampino, effettuare scatti improvvisi e sfruttare vari elementi interattivi del paesaggio per eseguire manovre più complesse. Il combattimento non è particolarmente più complicato, e si riduce alla possibilità di rallentare il tempo e sferrare qualche fendente energetico.
Il fatto che il sistema di fondo sia così basilare non significa però che le sue componenti non risultino ben approfondite. Il movimento è infatti rapido e controllabile con grande precisione, e la varietà limitata di manovre viene controbilanciata da un uso spesso molto furbo delle mappe e da enigmi discretamente impegnativi durante l'avanzamento. Il mondo di Solar Ash è infatti a dir poco variegato, con numerose location che si distinguono non solo per l'aspetto, ma anche per le loro caratteristiche ambientali. Incontrerete perciò ammassi di nuvole ricchi di rovine e punti d'attacco raggiungibili solo con il proprio rampino, mari di acido in cui Rei può fermarsi solo per tempo limitato, zone ricche di spore utilizzabili per ottenere barre solide su cui "grindare", e via così.
La vera star della campagna, però, sono delle enormi creature chiamate Vestigia, che vanno attivate distruggendo ammassi di melma sparsi per le mappe e in seguito eliminate in spettacolari scontri che ricordano una versione "turbo" delle scalate di Shadow of the Colossus. In pratica, una volta messe in movimento queste enormi bestie, vi ritroverete a correre più volte sui loro corpi distruggendo obiettivi mobili simili a quelli eliminati nelle melme appena citate, in una corsa contro il tempo prima che il loro corpo diventi incandescente e vi rispedisca repentinamente al checkpoint più vicino.
L'idea, in tutta sincerità, è ottima: questi circuiti sono impegnativi e divertenti da percorrere e le meccaniche del gioco sono chiaramente pensate per renderli delle fasi simili a quelle di un rhythm game, in cui il controllo direzionale è limitato ma la comprensione istintiva della posizione di ogni bersaglio e la memorizzazione del percorso fondamentali. I controlli stessi sono chiaramente pensati per favorire un'esperienza quasi automatizzata - il movimento di Rei è parzialmente guidato da una sorta di leggero magnetismo che rende più facile mantenersi sulle piattaforme durante gli scatti e i balzi e persino gli attacchi hanno un raggio enorme e la tendenza a colpire l'obiettivo più vicino senza sforzo. Tuttavia non crediate nemmeno per un momento che il titolo sia una passeggiata.
Struttura: un flusso interrotto
Quando abbiamo parlato di esperienza "quasi" automatizzata, infatti, l'enfasi era proprio sull'avverbio. Solar Ash prende per mano il giocatore durante ogni gesto cercando d'indirizzarlo qua e là, ma non si fa scrupoli quando è il caso di prenderlo malamente a schiaffi a ogni minuscolo errore di input. Se capire il da farsi durante la campagna è quindi piuttosto immediato, lo stesso non si può dire per quanto riguarda portare a compimento tutti gli obiettivi della protagonista: come già spiegato, il buco nero in cui Rei si trova è zeppo di puzzle ambientali e fasi platform complesse che richiedono ingegno e precisione, laddove i "percorsi" sul corpo di ogni boss sono sì cristallini, ma un timer estremamente fiscale porta la tensione al massimo durante ognuna di queste fasi e basta un movimento millimetrico nella direzione errata, un balzo mal calcolato, o un fendente sferrato qualche istante prima del dovuto per dover ricominciare tutto da capo.
Qui crediamo si possa fare una piccola critica al gameplay, dato che il fulcro degli scontri si basa, appunto, sulla ripetizione. Inizialmente la sfida sembra star tutta nella capacità dell'utente di avere i riflessi pronti, ma di morte in morte si trasforma nel ricordare dove e perché comparirà un obiettivo dopo aver distrutto quello precedente. Il fatto di dover ogni volta ripercorrere ogni tragitto da capo non è necessariamente la più elegante delle soluzioni di design, seppur le morti non siano particolarmente punitive e ci voglia poco a recuperare la posizione perduta. Le tre fasi molto simili tra loro a ogni boss poi non aiutano. Parlando di design, inoltre, vi sono altri problemi meno marginali rispetto alla comunque riuscita struttura dei colossi.
Quando il gioco funziona, dopotutto, lo fa in modo magnifico e la fluidità con cui Rei pattina da un luogo all'altro risulta quasi ipnotica: una corrente perfetta da una piattaforma all'altra, mentre si ammira il paesaggio e si svelano con naturalezza i suoi segreti. Alle volte però il flusso subisce delle interruzioni secche (e non necessariamente calcolate per costringere il giocatore a fermarsi e respirare). La causa di norma è da ricercarsi in passaggi indiretti verso gli obiettivi indicati fin troppo nascosti, o in percorsi volutamente gonfiati per dare una sorta di senso di straniamento al giocatore (amplificato dalla natura già fin troppo aliena dell'Ultravuoto). Persino i nemici sparsi per le mappe - al di fuori di alcune occasioni in cui la loro presenza rappresenta l'ostacolo primario - tendono a essere poco più di un fastidio da eliminare rapidamente, che si fa davvero preoccupante solo quando Rei termina le cariche di scudo e a ogni morte i pericoli respawnano in toto. Sia chiaro, le nostre critiche non vogliono sminuire quanto fatto dal team: il gameplay del gioco ci è piaciuto moltissimo e abbiamo trovato brillante il map design la maggior parte delle volte; siamo solo dispiaciuti di vedere alcune soluzioni poco eleganti e qualche sobbalzo in un'opera comunque piacevolissima da giocare.
Comparto tecnico, e narrativa: Meraviglie per gli occhi, ma non per il palato
Non c'è critica che tenga invece per quanto riguarda il comparto tecnico e l'art direction del gioco. Se da una parte infatti Solar Ash vanta un look estremamente stilizzato, spesso sfruttato eccessivamente dalle produzioni indie per nascondere gli scarsi valori produttivi, qui il suo utilizzo è talmente magistrale da non far sembrare nemmeno per un istante il gioco un titolo minore. L''Ultravuoto è straordinariamente ricco e affascinante, e i suoi vari biomi risultano quanto mai variegati nonostante l'accesissima palette di colori del gioco sia piuttosto limitata; le animazioni della protagonista sono sempre eccelse, e la regia generale del gioco riesce spesso a sorprendere per la bellezza del colpo d'occhio offerto. Noi peraltro abbiamo provato il titolo su PS5, dove il frame rate è risultato granitico senza il benché minimo sbalzo, e non abbiamo trovato bug di sorta. Forse su quest'ultimo aspetto siamo stati particolarmente fortunati, ma le prestazioni ci sono sembrate a dir poco eccellenti.
C'è un solo aspetto realmente negativo della produzione, e si tratta della narrativa. Nonostante l'Ultravuoto contenga vari personaggi affascinanti e per le mappe siano sparse non solo vari documenti che ne delineano la natura, ma anche registrazioni dei Voidrunner necessarie per comprendere appieno lo svolgersi degli eventi, il filo conduttore che lega il tutto risulta debole a dir poco. La motivazione? Colpi di scena così ovvi da poter venir capiti nei primissimi minuti, e il tentativo di toccare tematiche piuttosto profonde con dialoghi che risultano il più delle volte vuoti e banalotti. Tristemente la localizzazione italiana non aiuta, con molteplici errori di traduzione e una scarsa cura generale. Peccato, perché l'opera degli Heart Machine aveva del potenziale anche in quest'ultimo aspetto.
Conclusioni
Solar Ash è molte cose, ma di certo non può venir definito un passo falso. La seconda opera di Heart Machine è un titolo artisticamente eccelso, dotato di un gameplay molto solido e ricco d'idee brillanti. Il design che ne sorregge le membra non è sempre impeccabile, ma non bastano qualche "spezzata" di ritmo un po' forzata e una narrativa alquanto banale a rovinare l'esperienza. Comunque consigliato, e un ottima dimostrazione di talento che lascia ben sperare per il futuro del team.
PRO
- Artisticamente splendido
- Gameplay intuitivo e riuscito
- Ottimo design delle mappe e notevole varietà
CONTRO
- Non tutte le soluzioni di design adottate sono impeccabili
- La narrativa è piuttosto debole e fin troppo prevedibile
- Localizzazione italiana non particolarmente curata