Non fatevi trarre in inganno dal voto che trovate in fondo alla nostra recensione di The Kids We Were, sviluppato da Gagex, uscito su Nintendo Switch il 2 dicembre: nonostante la qualità, non si tratta di un gioco che consigliamo a tutti. Forse, a dire la verità, non si tratta nemmeno di un "gioco": continueremo tuttavia, per comodità, a utilizzare questa parola. Anche perché di alternative ne esistono poche: The Kids We Were non ha niente a che vedere con le "cinematic experience", è sostanzialmente un romanzo in veste di videogioco, un videogioco in cui l'attività principale è spostare il protagonista da un punto all'altro, parlare con gli altri personaggi, leggere i dialoghi.
Un dettaglio importante da capire è che il giocatore, in The Kids We Were, ha pochissimo "potenziale narrativo"; esattamente come in un romanzo, la storia si legge e vive, non si influenza. Quasi ognuno di noi, scaricando The Kids We Were, vivrà gli stessi momenti nello stesso ordine; fa eccezione la raccolta di alcuni oggetti nascosti, completamente secondaria. A livello interattivo, il compito del giocatore è limitato allo spostamento del personaggio, alla pressione di un pulsante per parlare e raccogliere monete/oggetti, alla consultazione del menu, della mappa, e... basta. Quello che c'è, tuttavia, non è fatto male. I controlli sono precisi e puliti: è molto più coerente e coraggioso The Kids We Were nell'abbandonarsi alla sua vocazione narrativa, che tanti altri titoli che forzano ludicità in modo superficiale, per abitudine, anche dove non sarebbe necessaria.
The Kids We Were proviene dal mondo mobile, dov'è stato pubblicato appena prima della pandemia, nel febbraio 2020. Gli sviluppatori hanno adattato bene l'esperienza su Nintendo Switch, e non era scontato, sia per i diversi controlli, sia - soprattutto - per lo schermo orizzontale. Purtroppo il gioco è disponibile, oltre che in varie lingue orientali (cinese, coreano, giapponese) soltanto in inglese: per questo, per godersi The Kids We Were, è fondamentale conoscere piuttosto bene l'idioma del Bardo.
Bene, ora che abbiamo provato a spaventarvi, che vi abbiamo detto tutti i motivi per cui The Kids We Were potrebbe non piacervi, continuiamo la nostra recensione parlandovi del perché, al contrario, potreste adorarlo.
Ambientazione e grafica
Prendete 100 grammi di Ritorno al Futuro, aggiungete un cucchiaino di Haruki Murakami e qualche spezia di Ganbare Goemon, frullate con Stranger Things e, alla fine, condite con Earthbound. Il risultato sarà The Kids We Were. Proprio perché si tratta di un'esperienza principalmente narrativa, vi avvisiamo: in questo paragrafo parleremo del titolo in generale, introducendo in modo sommario la trama. In quello successivo, ne discuteremo - pur senza inserire grandi spoiler - in modo più dettagliato; voleste evitare ogni tipo di anticipazione, sapete cosa fare.
La storia inizia quando Minato, un ragazzino di undici anni, prende il treno per Kagami, un piccolo borgo (dove si svolge quasi interamente l'avventura) in cui sono cresciuti i suoi genitori. Minato accompagna la madre, che deve recarsi a Kagami per assistere a una cerimonia di commemorazione; con loro c'è anche Mirai, sua sorella minore, che è malata di leucemia. Né Minato né la madre sono in grado di aiutarla, non hanno un midollo osseo compatibile col suo; il padre di Minato li ha abbandonati tanti anni prima, ma il bambino ha scoperto che fino a poco tempo fa viveva ancora a Kagami, e ha intenzione di trovarlo. Non per conoscerlo, ma per salvare la sorellina da morte certa.
Minato non è come tutti gli altri bambini, perché ha dei poteri paranormali; è in grado di prevedere il futuro. Non quello lontano, ma percepisce ciò che avverrà all'interno di una giornata, ed è in grado, grazie a questo potere, di alterare gli eventi nefasti che potrebbero accadere. Alla base dell'esperienza c'è anche un altro tocco fantascientifico: Minato, attraverso il sé stesso del futuro, sarà in grado di tornare indietro nel tempo. Per aggiustare le cose, per evitare certi eventi, per rimettere in sesto la sua famiglia. Il gioco è ambientato nel 2020, ma la maggior parte dell'avventura si svolge trentatré anni prima, nel 1987: i richiami nostalgici del periodo - come in Stranger Things - sono tanti e potenti, ma mai forzati. È molto bello assaporare le differenze architettoniche, e di costumi, tra la Kagami del 1987 e quella del 2020.
A livello grafico, The Kids We Were si affida a un aspetto basato sui voxel; detto volgarmente, dei "pixel tridimensionali" (e cubici). L'inquadratura non è modificabile, e i personaggi sono molto semplici, poco realistici (molto meno degli oggetti, o delle case), così come le animazioni: visivamente è potente, piacevole e caratteristico. Il protagonista bambino con zaino e cappello, oltre all'ambientazione quotidiana e cittadina, sommati all'aspetto stilizzato, lo rendono accomunabile a Earthbound (e, sia chiaro, è un complimento). Le musiche sono belle, principalmente malinconiche, ma anche angoscianti e incalzanti al momento opportuno: purtroppo, pur pregevoli, a nostro parere sono poco numerose.
Svolgimento
Come vi abbiamo anticipato, da qui in poi vi forniremo qualche dettaglio in più sul resto della storia: niente snodi centrali, ma finora abbiamo parlato solamente del contesto narrativo e dell'incipit, per cui siamo costretti ad approfondire un po' il discorso. Del resto, storia e gioco in questo caso non sono la stessa cosa, ma hanno molti tratti in comune.
L'avventura si svolge in capitoli, ognuno con una tematica propria, ma non indipendente dagli altri. Come già scritto, quasi tutti gli eventi si svolgono nel cuore del piccolo borgo di Kagami: tra negozi, terme, scuole, piscine, cimiteri, templi. Minato ha un quaderno che dovrebbe guidarlo nella sua avventura (nel passato), consegnatogli (nel presente) da un prete buddista: non si sa chi sia l'autore, ma gli è arrivato per volontà di suo padre. Il bambino può restare nel passato solamente per tre giorni, in concomitanza col passaggio di una cometa che transita sopra Kagami ogni trentatré anni: al termine delle 72 ore sarà costretto a tornare nel 2020, quando scoprirà se le sue azioni avranno avuto un esito positivo nel presente.
In questo quaderno ci sono vari appunti di misteri da risolvere, che costituiscono la spina dorsale dell'esperienza: ma più che gli eventi in sé e per sé, a rendere speciale The Kids We Were sono i dialoghi, i rapporti di amicizia che Minato intreccia coi bambini degli anni '80. Quattro bambini, in particolare. Senza scendere in ulteriori particolari, il tema principale dell'opera è il rapporto tra genitori e figli, la frustrazione dei bambini di non essere ascoltati, il rigetto della violenza, la volontà di non diventare come i propri padri (e madri, pure). La componente fantascientifica della storia, come dovrebbe essere in ogni buon racconto, è solamente un pretesto per trattare meglio, e più "mimeticamente", questo argomento principale.
The Kids We Were, verso la conclusione, compie una scelta molto coraggiosa, e "racconta" in modo metanarrativo: forse alcuni di voi non lo vedranno nemmeno, il vero finale (e sarà colpa vostra, perché l'opera farà il possibile per tentarvi). La conclusione è catartica e commovente, toccante; ottiene questo risultato con delicatezza, senza cedere al patetismo.
Il capitolo bonus aggiunto su Nintendo Switch è separato dalla storia principale, ed è un'appendice meno riuscita, in cui il perfetto equilibrio si sfalda, i balzi temporali sono troppo frequenti, gli intrecci paradossali pure, gli eventi melodrammatici eccessivi. A dimostrazione di quanto sia difficile scrivere una bella storia, e di quanto sia speciale The Kids We Were: uno dei migliori giochi indie dell'anno.
Conclusioni
The Kids We Were non è un gioco per tutti, e forse non è nemmeno propriamente un "gioco": si tratta di un'esperienza narrativa, in cui la libertà di scelta è sostanzialmente nulla, e la sfida inesistente. La poca interazione che concede, consistente nel movimento del personaggio, nella raccolta di oggetti e nel parlare con gli altri abitanti di Kagami, è comunque fatta bene: non troverete cose "fastidiose", da questo punto di vista. Accettato ciò, The Kids We Were si rivela eccellente, e dall'aspetto molto caratteristico: ha viaggi nel tempo e premonizioni, ma il cuore della sua narrazione risiede nei rapporti familiari, in particolare tra genitori e figli. L'ambientazione urbana, nipponica e quotidiana, evoca uno strano mix tra Murakami e Ganbare Goemon. Il contesto anni '80, e i bambini protagonisti, lo rendono una specie di Strangers Things in versione giapponese, quantomeno per i richiami nostalgici (riviste, oggetti, architetture). È una storia toccante e delicata, narrata in modo eccellente.
PRO
- Narrazione eccellente
- Ambientazione amabile: quotidiana, urbana e nipponica
- Visivamente carismatico
- Trama e dialoghi delicati e commoventi
CONTRO
- Non per tutti
- Il capitolo bonus non è all'altezza del resto
- Musiche poche numerose