Di disastri videoludici al cinema ne abbiamo visti tanti. Quando la settima arte prova a portare in sala la decima, lo fa sempre con gran fatica. Spesso, si accontenta di fare lo stretto necessario per ottenere un buon profitto, senza curarsi della qualità effettiva di ciò che sta proponendo ad appassionati e non. Ma il pubblico non è stupido e riesce a fiutare, ormai, se un film basato su di un amato universo videoludico sia capace di stupire o se si tratti solo dell'ennesima perdita di tempo e denaro.
Si è parlato molto dell'ultima scommessa in tal senso: Un film Minecraft. La pellicola, che tra i protagonisti vede Jack Black e Jason Momoa, pare già essere stata giudicata, a vedere i commenti sotto i due trailer a oggi pubblicati, nonostante l'uscita sia fissata in Italia per il 3 aprile 2025. Cerchiamo di fare il punto della situazione e capire cosa potrebbe o non potrebbe funzionare in un adattamento cinematografico di un fenomeno culturale così specifico e stratificato.
L’elefante nella stanza
Iniziamo dal problema principale che, immaginiamo, tutti hanno avuto modo di notare: il comparto visivo. Minecraft è un videogioco dallo stile unico, immediatamente riconoscibile; basta un fotogramma per distinguerlo da qualsiasi altro titolo sulla faccia della terra che non sia un clone a buon mercato (e, anche se si trattasse di un clone, questo verrebbe comunque scambiato per la sua ben più famosa controparte).
Ha fatto la sua fortuna grazie alla "rozzezza" grafica, alle sue linee decise, alla sua natura cubica, quasi brutalista. Non risulta una sorpresa, quindi, la reazione del pubblico alla versione hollywoodiana, pulita, smussata, perfettamente definita.
Qui, ovviamente, si aprono diverse vie che portano a differenti epiloghi. Se si fosse scelto di ricreare l'iconico stile squadrato della versione classica di Minecraft, si sarebbe incappati in una miriadi di problemi legati alla possibilità di ingaggiare volti conosciuti e di gettarli (come poi è stato fatto) all'interno del mondo di gioco adattato agli spazi e ai tempi cinematografici. Se questo fosse stato il caso, il modo migliore per portare a termine tale impresa sarebbe stato realizzare personaggi affini a quelli del gioco, un po' come ha deciso di fare The Lego Movie (anche se la situazione era parecchio diversa e il margine di scelta a disposizione era ben più ampio e con meno rischi), e affibbiargli i grandi nomi attraverso il doppiaggio.
Altro modo sarebbe stato quello di portare tutto nella dimensione del reale e legare il marchio a una qualche storia più vicina alle esperienze dei giocatori, una sorta di Cavallo di Troia per raccontare altre tematiche.
La strada sbagliata?
La via che Legendary Pictures ha scelto è, forse, la più pigra (anche se non la più semplice da realizzare): gettare attori in carne e ossa in un ambiente tridimensionale cucito su misura per attirare il pubblico di giovanissimi che sono affezionati al nome (e i loro genitori, che magari non porgono troppa attenzione a ciò che i loro figli guardano su Youtube, ma che non potrebbero non notare sul grande schermo, una volta accompagnati i propri pargoli, le qualità orrorifiche che un gioco come Minecraft ha sempre posseduto).
Tutto si fa quindi arrotondato, rassicurante, da farti venire voglia di abbracciare ogni singola creatura dell'ormai distorto universo creato da Markus "Notch" Persson. I nemici rimangono intimidatori, ma allo stesso modo delle decorazioni di Halloween alla festa di una classe delle elementari, perdendo i loro tratti più spaventosi in favore di un depotenziamento a livello visivo, spalleggiato da un sistema di animazioni molto più "naturale" (per quanto uno scheletro in sella a un ragno gigante che lancia frecce infuocate possa apparire "naturale"). Ciò, però, porta a una sensazione di "già visto" al di fuori da ogni scala.
Questi colori vividissimi, questi grandi spazi impossibili, questi modelli plastici paiono tutti uguali, ultimamente. Risulta impressionante quanto l'universo creato dal film assomigli al Regno dei Funghi di Super Mario, o alla folle giungla di Jumanji, non un franchise videoludico, ma uno che fa del Videogioco il suo schiavo (sarà un caso che Jack Black abbia partecipato a ognuno di questi progetti?). Non importa che siano presenti attori reali o meno, il risultato è sempre lo stesso: luoghi fantastici che fanno appiglio sui medesimi stilemi, rendendo ogni universo impersonale, anche quando è composto da blocchi.
Un cast per dominarli tutti
Non sembra casuale neanche la scelta del cast, composta da un'icona del cinema d'azione odierno che pare non voler rifiutare nessun progetto gli venga proposto (Jason Momoa) e da quella che è stata per molti la star per antonomasia della giovinezza e che, attraverso le piattaforme di condivisione e i videogiochi in particolare, sta vivendo un rinascimento senza precedenti (Jack Black).
Se al mix si aggiungono alcuni volti giovani dall'area vagamente familiare (tra cui spicca l'Emma Myers di "Mercoledì") per creare un po' più di identificazione e qualche altro comprimario simpatico, ecco che il gioco è fatto: all'appello hai richiamato un vasto e stratificato pubblico interessato al tuo progetto. Ma ciò, come abbiamo avuto modo di sperimentare fin troppe volte, può essere una lama a doppio taglio.
Colpa del reale?
Di esempi negativi riguardanti l'arrivo dei mondi videoludici nel cinema ce ne sono a non finire. Dai disastrosi esperimenti (ormai di culto) degli anni Novanta, fino al recentissimo naufragio di Borderlands, i videogiochi di rado hanno fatto una bella figura una volta indossata la veste cinematografica.
Se vogliamo essere del tutto franchi, sembra esserci un filo conduttore che collega questi fallimenti (solo in senso puramente qualitativo, perché non è raro trovare dei mezzi successi economici tra di loro): la costante necessità di portare tutto sul piano del tangibile.
Sembra impossibile, per i grandi produttori, concepire gli adattamenti videoludici senza inserire nell'equazione il live action. Ma se ci si trova a portare quei mondi altri all'interno del nostro, ovviamente le possibilità a disposizione si fanno limitate.
La condanna del riferimento
Adattare un videogioco non è come adattare un libro. Tra linguaggio audiovisivo e linguaggio grafico ne passa di acqua sotto i ponti. La bellezza dei videogiochi è proprio quella di riuscire a creare mondi da zero, con le proprie regole e caratteristiche, proponendoceli attraverso stili e immagini già scelti a monte, dei quali abbiamo un'idea ben chiara in mente.
Gregor Samsa ha un volto diverso per ogni lettore, ma di Kratos ce n'è uno solo per tutti. Il rischio, ovviamente, è quello di andare così vicino all'originale da far sembrare il tutto un cosplay o, viceversa, allontanarsi a tal punto da perdere l'appassionato, impossibilitato a riconoscere in quel volto il suo beniamino di turno.
Lo stesso problema si ha anche quando si porta sullo schermo personaggi storici dei quali abbiamo una vasta documentazione fotografica. Di Giulio Andreotti al cinema ce ne sono stati tanti, simili nell'aspetto o nel portamento, ma in ogni caso, per quanto possa essere impeccabile l'interpretazione, non manca mai quel sottile livello di distaccamento che porta lo spettatore a dire "quello non è Andreotti".
L’adattamento come atto di rispetto
Perché gli Spider-Man animati di Sony sono così apprezzati? Perché nessuna delle due forme del comunicare scende a compromessi con l'altra, instaurando, al contrario, un dialogo per cui il fumetto "immagine sequenziale" diventa fumetto "immagine in movimento". È il cinema a inchinarsi e a rispettare il materiale d'origine, non il cinema a forzare il materiale d'origine fino ad adattarlo alle sue necessità.
Stesso discorso andrebbe fatto quando si vuole raccontare un videogioco attraverso un altro mezzo visivo. Le implicazioni, nel nostro caso, sono diverse, perché i prodotti videoludici presentano quell'elemento in più che li distingue da qualsiasi altra forma mediale tradizionale: l'interattività.
Riportare quest'ultima al cinema è pressoché impossibile, quindi la questione si fa molto più spinosa, ma non impossibile da districare. Quei pochi che hanno rischiato, infatti, sono stati gli unici esempi di grande apprezzamento da parte del pubblico. Di più! Spesso, il cinema non è la dimensione che vede queste mosche bianche protagoniste.
Il cinema non è (ancora) il posto giusto
Proviamo a pensare a progetti come Arcane, Cyberpunk: Edgerunners, Castelvania, ma anche banalmente i corti animati realizzati da Blizzard, Electronic Arts, Ubisoft. Queste sono state produzioni capaci di restituire l'anima dei nomi che portano, perché sono quelle che più sono rimaste fedeli al modello di base.
La natura episodica permette di esplorare a fondo un universo di gioco già di per sé stratificato e il ricorso all'animazione consente di riconoscere quei volti e quei corpi che ci hanno già appassionato altrove, perfettamente amalgamati con i loro universi sopra le righe, capaci veramente di esprimere tutto il loro potenziale immaginifico e spettacolare.
La serialità cinematografica non basta, al giorno d'oggi, per raccontare le vicende alla basa di un universo videoludico. Il pubblico difficilmente è disposto ad aspettare tre o più anni per qualcosa che gli occuperà solo un paio d'ore della propria vita, per quanto qualitativamente ineccepibile possa essere. Ciò i produttori lo sanno bene. Quindi, cercano di fare cassa il prima possibile, con storie diverse ma simili, in grado di attirare l'attenzione giusto il tempo di portare la gente in sala. Ma a quale costo? Il rischio, a nostro avviso, c'è sempre, sia che si punti sulla qualità che sulla mera popolarità di un marchio.
Per un rinsavimento del Cinema
Sì, ti può capitare il Sonic di turno, ma sempre più spesso vediamo risultati alla Borderlands. Perché, a questo punto, non investire in qualcosa di qualitativamente più elevato? Rischio per rischio, preferirei fare il botto con un prodotto che possa essere apprezzato, magari anche con il tempo, piuttosto che prendere tutto ciò per cui ho investito e gettarlo nel cestino (perché non c'è una seconda vita per chi non è capace di distinguersi).
Questa linea di pensiero, evidentemente, non è quella alla base della Hollywood degli anni Venti del XXII secolo. Ma pare ormai evidente, un flop dopo l'altro, la necessità di un cataclisma interno che riporti il cinema ad alto budget su una via più sana e sostenibile, altrimenti sì, la sala verrà sempre più schiacciata dal salotto.
Mai partire prevenuti
Un film Minecraft, tuttavia, potrebbe possedere qualcosa di differente. Innanzitutto, il grande pregio del gioco di riferimento è quello di essere un sandbox, il che permette di creare la propria storia e adattarla al mondo cubico che la ospita.
Ovviamente, qui è tutto in mano agli sceneggiatori Chris Bowman e Hubbel Palmer, il cui compito è quello di cucire una trama all'interno di un universo che non ne possiede una, il tutto rimanendo però fedeli al materiale di partenza.
Già sappiamo che si partirà dal mondo reale e che, attraverso un portale, i nostri eroi raggiungeranno la terra dei cubi, l'Overworld, dove incontreranno Steve, l'icona del gioco (interpretato qui dalla persona meno "spigolosa" del mondo, Jack Black), intento a capitanare una difesa estrema contro le sempreverdi "forze oscure". A giudicare da tali premesse, pare sia stato fatto giusto lo stretto necessario per giustificare una trasposizione attraverso il linguaggio cinematografico, ma staremo a vedere.
Altro pregio che gli si può riconoscere è quello di aver voluto realizzare praticamente, almeno in minima parte, alcuni ambienti e oggetti di scena capaci di dare quantomeno l'idea che questi poveri protagonisti umanoidi non siano circondati da un invisibile territorio in codice binario.
Anche qui, però, resta da vedere quanto tutto ciò riuscirà ad amalgamarsi con gli effetti visivi, mascherando quello stacco netto tra finzione e reale che, fin troppo spesso ultimamente, fa capolino nelle maggiori produzioni cinematografiche, aumentando a dismisura quel senso di "posticcio" che una volta era caro solo a uno sciatto lavoro di prostetica.
Cosa rimarrà, quindi, di questo Un film Minecraft? Difficile dirlo a partire da due trailer (anche se paiono già dirci tutto il necessario), ma approcciarsi con dei preconcetti a opere come questa potrebbero privarci di buoni prodotti che comprendono appieno l'importanza che un determinato marchio ha acquisito negli anni a livello culturale (vedi The Lego Movie).
Va anche riconosciuto, però, che partire prevenuti può regalarci un'ancora più grande soddisfazione quando ci accorgiamo che avevamo torto e che ci troviamo al cospetto di una delle migliori trasposizioni di sempre. Non diciamo sia questo il caso, sia mai! Però, quel dubbio dormiente non lascia mai i recessi delle nostre più fervide convinzioni.