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A casa di Jade

Un gustoso reosoconto della nostra visita esclusiva negli uffici di Ubisoft Toronto per vedere lo sviluppo di Splinter Cell: Blacklist

SPECIALE di Pierpaolo Greco   —   21/05/2013
Tom Clancy's Splinter Cell: Blacklist
Tom Clancy's Splinter Cell: Blacklist
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Appena un paio di settimane fa, proprio su queste pagine, chi scrive si era prodigato in un dettagliato approfondimento su Splinter Cell: Blacklist, frutto di una lunga sessione di gameplay, suddivisa in due giorni, con il promettente, nuovo capitolo della serie stealth con protagonista il celebre Sam Fisher.

A casa di Jade

L'incontro con il titolo è avvenuto nei nuovi uffici di Toronto, che per l'occasione vennero ufficialmente mostrati per la prima volta alla stampa internazionale in una lunga passeggiata arricchita di interviste e chiacchiere con le figure chiave del team di sviluppo. Una vera e propria visita guidata che ci ha permesso di scoprire numerosi aspetti dell'enorme software house canadese e svariate curiosità sulla struttura che la ospita. Ma prima di scendere nei dettagli della nostra trasferta, un paio di note informative: continuate a seguirci perché nei prossimi giorni pubblicheremo anche un corposo video del nostro giro all'interno dello studio e, come se questo non fosse già abbastanza interessante, anche una lunga e approfondita intervista a video con Jade Raymond, Managing Director di Ubisoft Toronto e volto estremamente noto del publisher francese.

I freddi numeri

Non possiamo che iniziare dai numeri: Ubisoft Toronto è attualmente composta da 300 persone circa con un piano di sviluppo graduale che porterà la società ad arrivare ad impiegare l'incredibile numero di 800 dipendenti entro la fine del 2020. 50000 sono invece i piedi quadrati occupati dall'intera struttura, poco più di 4500 metri quadrati, a cui si vanno ad aggiungere altri 9000 piedi quadrati (circa 800 metri quadri) riguardanti il set di registrazione del performance capture.

A casa di Jade

Non appena scesi dal nostro taxi non abbiamo potuto fare a meno di notare l'estrema sobrietà dell'edificio che ospita la società: niente insegne sgargianti o strane mascotte pronte ad accoglierci ma un semplice edificio in mattoni rossi di appena tre piani che fatica a nascondere il suo passato storico industriale. La struttura era infatti, originariamente, una centrale elettrica con tanto di colossale torre dell'acqua su un fianco, posizionata a suo tempo per fronteggiare eventuali incendi e ora diventata il principale simbolo di Ubisoft Toronto. L'edificio è stato poi acquistato dal publisher francese in età recente, restaurato esternamente per conservare il suo fascino originale e ristrutturato internamente secondo un'idea di design in grado di riflettere in modo adeguato lo spirito creativo del team di sviluppo. Una volta varcato l'ingresso dell'edificio infatti non abbiamo potuto fare a meno di notare l'interessante commistione di pareti bianche e colorate, scale di legno e balaustre in acciaio, travi a vista attraversate da fili elettrici e di collegamento.

Jade Raymond, Managing Director
Jade Raymond, Managing Director

Il risultato è un mix molto affascinante di vecchi materiali e tecnologie all'avanguardia ben rappresentato da imponenti porte di metallo apribili solo con dei badge appositi, utilizzate per dividere le varie aree di sviluppo e per rendere estremamente difficile agli sconosciuti, visitare gli uffici senza le dovute autorizzazioni. La nostra visita guidata è iniziata nel primo spazio comune incontrato non appena attraversato l'ingresso degli studi: un unico open space dove la piccola reception è in parte separata con un muro da un'enorme area ricreativa con tanto di cucina e distributori di bevande di ogni tipo. Questa unica zona comune è stata creata con il preciso scopo di accogliere i visitatori ma soprattutto gli amici e i parenti dei dipendenti al di fuori dei luoghi classici di lavoro, evitando così la solita trafila di registrazione degli ingressi e distribuzione di pass temporanei. Chiunque può entrare, far chiamare il conoscente e sedersi davanti a una tazza di caffé, o magari partecipare a una veloce sfida a biliardino, senza doversi preoccupare di nient'altro e senza mettere a repentaglio la segretezza dei progetti in via di sviluppo. L'ingresso agli studi veri e propri sono infatti separati da questa zona comune grazie ad una spessa porta a vetri: il badge di un qualche dipendente è essenziale per aprirla e noi, ovviamente, abbiamo dovuto aspettare il nostro turno prima di poter entrare nel cuore pulsante della software house.

A casa di Jade

Lo studio

La prima stanza incontrata nel nostro tour guidato, una volta superata la prima autorizzazione, era quella che ospitava il reparto marketing e comunicazione della società da una parte e tutti i modellatori del nuovo Splinter Cell dall'altra. Qui abbiamo potuto assistere a una piccola demo dove Nils Meyer, il lead character design ci ha mostrato il lavoro svolto sul modello di Sam Fisher a partire dalla modellazione del viso per arrivare poi alle animazioni riguardanti il fisico attraverso la duplice implementazione di scheletro e muscoli in grado di dare massimo realismo ai movimenti dell'agente segreto.

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È stato piuttosto interessante notare l'incredibile qualità dei modelli all'interno dei vari software di progettazione, una resa grafica che viene successivamente ridotta prima di implementare i vari personaggi nel motore grafico che non sarebbe ovviamente in grado di gestire risoluzioni così elevate, specie su console. Ma il vero fulcro di tutto lo studio di sviluppo si poteva osservare nella stanza uccessiva: un enorme open space popolato di decine di persone tra artisti, disegnatori, producer e, su un angolo il piccolo e luminoso ufficio di Jade Raymond, collocato in una posizione strategica per poter osservare il team di sviluppo da lei gestito ed allo stesso tempo essere facilmente raggiungibile da tutti gli impiegati. Seduti su una serie di divanetti al centro dell'immensa sala e davanti a una TV di dimensioni generose, abbiamo ascoltato le parole di Patrick Redding, il game director e di Scott Lee, l'art director, mentre illustrarci il lavoro svolto su questo sequel e in particolare sul suo protagonista. Blacklist ha infatti il difficile compito di riportare su schermo un Sam Fisher familiare, equipaggiato con la sua attrezzatura classica, circondato di personaggi storici e per certi versi anche impegnato in missioni dal sapore passato.

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Questo sesto capitolo dovrà infatti riuscire a ritornare agli antichi fasti della serie mettendo quasi da parte quanto realizzato e ripensato in occasione di Conviction, ma allo stesso tempo implementando le migliori idee di questo capitolo, elogiato su più fronti per essere riuscito a far conoscere ad un pubblico ancora più vasto le avventure dell'agente segreto, senza far mai apparire Blacklist come un prequel o, peggio ancora, un reboot. Insomma se da un lato sembra sia il vecchio Sam a tornare con il suo iconico visore, la sua tuta aderente e i suoi rapporti con il governo americano, dall'altro deve essere ben evidente che questo è un nuovo capitolo della saga che arriva dopo i precedenti e vuole portare su schermo una storia nuova, che si svolge successivamente alle vicende narrate in precedenza ed ha per protagonista una spia ancora più letale e matura. Il taglio artistico adottato è ancora una volta estremamente vicino a quanto visto al cinema con i film di spionaggio più recenti: dagli ultimi 007 con protagonista Daniel Craig all'intera serie Bourne, con una piccola spruzzata di Mission Impossible. Lo stile adottato per portare su schermo Fisher rientra nel cosiddetto stile "attraverso la lente": in pratica la telecamera che segue costantemente il protagonista è implementata nel motore di gioco per far sì che sia a sua volta un personaggio.

Maxime Beland, Creative Director
Maxime Beland, Creative Director

La sua gestione è infatti all'insegna del realismo, quasi a simulare che ci sia realmente dell'attrezzatura video alle spalle di Sam come se stessimo guardando un film al cinema: le luci e gli effetti atmosferici hanno conseguenze sulla lente della telecamera e più in generale i movimenti di regia e gli effetti di messa a fuoco tentano di avvicinare molto il gioco a un'esperienza cinematografica. Dopo aver dato uno sguardo alla più recente aggiunta alla struttura, un'ala in grado di accogliere tutti i programmatori e gli scripter, la prima parte della visita si è conclusa scambiando due chiacchiere con Laurent Malville, il lead game designer che non solo ci ha mostrato l'enorme selezione di gadget, armi e potenziamenti per la tuta che il giocatore avrà a sua disposizione nel singolo e nel multiplayer di Blacklist ma ci ha voluto far vedere concretamente su schermo l'incredibile varietà del gameplay in base a come il giocatore decide di personalizzare Fisher. Ogni singolo elemento di design, dai livelli, allo stile di combattimenti, all'equipaggiamento, ha il preciso obiettivo di aumentare la rigiocabilità stimolando il giocatore a provare nuove soluzioni per affrontare i livelli di gioco con una fluidità incredibile nel passare dalle mosse non letali per stordire il nemico, a sparatorie frenetiche, fino al dinamismo frenetico consentito dal nascondersi nell'ombra dopo aver piazzato qualche gadget in giro per una stanza, per poi vedere le reazioni del nemico e intervenire rapidamente una volta che questo è distratto. La personalizzazione di Sam è insomma ben lontana dall'essere puramente estetica ma è sempre e comunque fortemente funzionale allo stile di gameplay che si vuole adottare.

Altro che Quantic Dream

Sul finire della giornata abbiamo avuto l'opportunità di visitare l'enorme studio dedicato al performance capture attiguo all'edificio principale.

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Si tratta di una trovata logistica particolarmente comoda perché permette a Ubisoft Toronto di avere un'organizzazione del lavoro molto ottimizzata visto che tutti i vari animatori e lo staff dedicato alle cinematiche può accedere in un attimo allo stage, vedere le registrazioni, fare delle eventuali modifiche al volo e osservare nell'arco di poche ore i risultati senza dover magari inviare le riprese all'esterno o dover viaggiare per assistere e supervisionare questa fase. Lo stanzone di 800 metri quadri abbondanti è letteralmente invaso di telecamere ad infrarossi in grado di intercettare i movimenti dei marker attaccati sulle tute degli attori, i loro visi e sui vari oggetti di scena ma, come se questo non bastasse, è arricchito di una serie di telecamere che permettono di studiare in tempo reale la scena recitata su molteplici angolo di visuale così da trovare il migliore punto di ripresa per ogni cutscene. Come già specificato poco sopra si tratta di uno studio di performance capture, non di motion capture, e questo vuol dire che l'intera performance dell'attore viene registrata dall'attrezzatura, non soltanto i suoi movimenti in campo. Voce, espressioni facciali, interazione con gli altri personaggi entrano tutti a far parte dell'incredibile mole di dati registrata sui server della software house.

Eric Johnson, l'attore di Sam Fisher
Eric Johnson, l'attore di Sam Fisher

Ma la grande trovata di Tony Lomonoco, lo Studio Manager del Performance Capture, è stata quella di dotare il set non soltanto di telecamere estremamente miniaturizzate e di tecnologia praticamente invisibile, così da non avere ripercussioni sulla qualità della recitazione degli attori che si sentono praticamente liberi di muoversi sul set secondo il loro stile e le loro doti recitative, ma anche di una particolare applicazione tecnologica già utilizzata sul set di Avatar. In pratica attraverso l'ausilio di un monitor esterno è possibile osservare dal vivo una ripresa girata sul set già completamente renderizzata con tanto di texture e modelli dei personaggi e muoversi al suo interno come se si fosse muniti di telecamera semplicemente camminando nello studio di ripresa. L'effetto è inizialmente straniante, quasi come se si trattasse di una applicazione di realtà aumentata ma questo consente al regista delle cinematiche di avere un doppio controllo sulla pipeline di lavorazione. Non solo infatti è possibile gestire gli attori individuando in tempo reale la migliore ripresa per farli apparire su schermo, ma in un secondo passaggio, dopo il rendering del motore di gioco, è possibile vedere se quelle inquadrature effettivamente funzionano ed eventualmente modificarle in tempo reale direttamente agendo su questo monitor esterno mobile.

Kevin Secour, Stunt Advisor
Kevin Secour, Stunt Advisor

Quanto appena descritto lo abbiamo potuto osservare dal vivo, assistendo a una performance di Eric Johnson, il nuovo attore che impersona Sam Fisher e Kate Drummond, la nuova attrice che dà la voce e le movenze ad Anna Grimsdottir, gestiti per l'occasione da Kevin Secour, lo stunt advisor, nonché consulente tecnico per lo stile di combattimento adottato da Sam. Uno stile di combattimento che nel tempo si è evoluto, anche lui, per dimostrare l'incredibile esperienza raggiunta da Fisher nel controllare i suoi spazi di azione e sottomettere il nemico in un attimo, senza mai perdere di vista gli altri avversari presenti sulla scena del combattimento. Ed è stato bello concludere il giro guidato proprio con Kevin che in un attimo ci ha saputo coinvolgere nelle nuove tattiche di guerriglia implementate nel gioco e nel combattimento fluido che sarà una delle colonne portanti di questo nuovo capitolo di Splinter Cell. Vedere dal vivo esempi di strangolamenti, sparatorie in spazi angusti, uso di lame in modo letale e più in generale avere dei piccoli esempi di mosse per sopravvivere in condizioni di inferiorità numerica o di svantaggio nei confronti del nemico ci ha mostrato ancora di più, neanche ce ne fosse il bisogno, quanto lavoro c'è dietro questo Blacklist e noi rimaniamo fiduciosi in attesa di vederne i risultati sui nostri monitor e schermi a partire dal 23 agosto.

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