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Il castello degli orrori

Abbiamo giocato il prologo di Wolfenstein: The New Order

PROVATO di Umberto Moioli   —   23/08/2013
Wolfenstein: The New Order
Wolfenstein: The New Order
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Ci sono giochi che vogliono innovare ed essere ricordati. Destiny di Bungie, ad esempio, sta mettendo sul tavolo molte più carte di quante ne abbia scoperte e ad ogni nuova promessa aumenta le sue ambizioni, le aspettative del pubblico e il rischio di aver successo così come di fallire.

Il castello degli orrori

Altri progetti hanno una portata differente e si accontentano, tra virgolette, di fare poche cose in maniera convincente, magari affidando molto del proprio fascino ad un tratto distintivo unico. Wofenstein: The New Order, reboot in salsa scandinava del classico firmato id Software, si propone in questo modo: punta tutto sullo spirito, la leggenda dell'originale per mettere in scena nel 2013 uno shooter senza fronzoli, unicamente incentrato sul single player e intenzionato a tenere incollati allo schermo per il tempo di qualche serata. Se non potete fare a meno dell'ultima variante al classico deathmatch o a supposte innovazioni roboanti, insomma, vi consigliamo di fermarvi qui a leggere. Wolfenstein soddisferà unicamente chi è in cerca di tanta violenza, nazisti fuori di testa e una pioggia di pallottole.

L'assalto

La demo presentata a porte chiuse durante la GamesCom 2013 si dipanava attraverso la sequenza iniziale, il lungo prologo che ci vede prendere d'assalto il castello dove lo scienziato nazista Deathshead svolge i propri esperimenti. I rimandi all'originale sono quindi immediati e abbondanti, ma non riguardano unicamente l'ambientazione e il nemico combattuto. Gli schemi sono lineari, composti da un'alternanza di corridoi e stanze più grandi, favorendo la stessa azione senza sosta di cui abbiamo già parlato dopo gli incontri precedenti.

Il castello degli orrori

In realtà, sempre nello spirito della serie, non mancano passaggi segreti e chicche, spesso suggeriti attraverso i documenti collezionabili o dettagli sparsi per l'ambientazione, che invogliano a guardarsi attorno, non a correre unicamente dall'entrata all'uscita del livello nel minor tempo possibile. Possibilità come quella di ripararsi dietro a pareti ed elementi del fondale, sporgendosi alla bisogna, o di uccidere in maniera silenziosa i nemici più distratti, sono delle eventualità da tenere sempre in considerazione ma che non vengono presentate come vere alternative agli assalti a fucile spianato. Wolfenstein resta soprattutto un titolo che richiede una certa abilità nella mira e la frenesia dell'azione aiuta a disinnescare il rischio di frustrazione anche nelle situazioni più ostiche, quelle che ai livelli di difficoltà elevati andranno necessariamente ripetute più volte.

Il castello degli orrori

Lo stesso vale per la componente narrativa, che mescola "gore" e stereotipi da film d'azione a basso budget ma, anche qualora non dovesse piacere, sembra poter essere ignorata senza eccessive remore. Non che la storia del nuovo William "B.J." Blazkowicz, rimasto semi incosciente mentre la Germania nazista vinceva la Seconda Guerra Mondiale e imponeva il proprio dominio sul mondo intero, non presenti degli spunti interessanti, che comunque andranno valutati dopo una prova estensiva di tutta l'avventura. Per il momento, se dovessimo pensare a cosa non ci ha convinto, sembra che lo sviluppatore, Machine Games, non stia lavorando a particolari trovate per differenziare l'arsenale da quello dei capitoli precedenti; e poi i nemici, nonostante la presenza di incontri interessanti come quelli con i mech, si ripetono abbastanza uguali tra loro per tutte le prime battute dell'avventura. Insomma, il rischio di un impianto ludico anche troppo conservatore è presente, ma da quanto provato potrebbe ugualmente valere la pena attendere di farci un giro sopra.

Alla GamesCom 2013 abbiamo giocato il prologo di Wolfenstein: The New Order

CERTEZZE

  • Gioco di sostanza, pochissimi fronzoli
  • Divertente fin dai primissimi minuti
  • Visivamente pulito e fluido...

DUBBI

  • ...pur senza distinguersi per spettacolarità
  • Necessiterà di varietà per non perdere di interesse