Guerra, fame, povertà... sembrano realtà così distanti dal nostro stile di vita privilegiato che nessuno ormai si ferma a riflettere da cosa dipenda questo privilegio. Beh, forse vi sembrerà assurdo ma da qualche parte nel mondo qualcuno è morto o soffre terribilmente a causa di guerre alimentate dal bisogno di tenere a galla l'industria dei videogiochi. Come? Ora ve lo spieghiamo...
A quale prezzo vengono prodotte console e videogiochi e cosa ci nascondo le case produttrici?
Mani sporche di sangue
Prima di arrivare nelle nostre case e troneggiare nei nostri salotti, le console devono prima di tutto essere assemblate, prima di assemblarle vanno creati i singoli pezzi, per ogni singolo pezzo ci vuole una materia prima, e qui arriviamo al tragico scenario dipinto in apertura. La maggior parte delle miniere di stagno, tantalio, tungsteno e oro provengono da stati in forte crisi, come Repubblica Democratica del Congo, un paese vessato ormai da anni da terribili battaglie civili.
"Battaglie civili" ovviamente è un modo elegante per riferirsi al fatto che il paese viene costantemente oppresso dall'influenza di gruppi armati capitanati dal signore della guerra di turno, che consolida la sua posizione e il suo potere nel paese commettendo qualsiasi tipo di crimine violento. Questo è ovviamente una grave situazione di disagio del paese dove, ricordiamolo, la causa maggiore di mortalità non sono gli scontri armati ma carestia e povertà... oppure un'eccellente prospettiva di affari. Parlavamo non a caso di miniere da cui vengono estratti minerali essenziali all'industria dell'elettronica e, caso vuole, le miniere stanno proprio lì. Ciò che preme di più alle industrie di elettronica è il tantalio, un superconduttore impiegato nella costruzione di device come computer, console, smartphone e tablet. Nel 2010 Nicholas Kristof dedicò alla vicenda una pagina del New York Times puntando il dito contro Apple, scrivendo un articolo intitolato "Death by Gadgets" ("uccisi dai gadget"). Come può Apple essere colpevole per la morte di abitanti innocenti nel Congo? I grandi colossi come Apple, Intel o RIM non imbracciano di certo le armi con le quali donne, uomini e bambini vengono uccisi ma hanno ugualmente le mani sporche di sangue perché per favorire i loro affari acquistano le materie prime necessarie alla creazione dei loro prodotti direttamente da questi paesi. La gestione delle miniere però non è detto sia sempre in mano al governo o ad aziende preposte e le attività di estrazione spesso sono sotto il diretto controllo dei signori della guerra, che non vedono l'ora di arricchirsi con questo business, così da investire gli affari delle miniere in altre armi e soddisfare le proprie mire espansionistiche.
I colpevoli dell'industria
Tra i bricconcelli che pare abbiano partecipato a queste sporchi affari ci sono grossi nomi del settore videoludico come Microsoft, Sony, Nintendo e Activision. Il problema, come viene spiegato in un'eccellente indagine dell'anno scorso di Games Industry, non riguarda direttamente questi produttori ma i vari fornitori più piccoli che collaborano con questi colossi; secondariamente il discorso non tocca la produzione di CD e supporti fisici dei giochi ma solo coloro che producono console e giocattoli hi-tech. Secondo l'articolo di Brendan Sinclair, Microsoft nel 2013 ha identificato 276 fornitori attivi (il 94% dei quali hanno risposto alla sua indagine) e ha creato una lista di 352 raffinerie e fonderie nella catena di fornitura: 169 di questi non conoscevano la Conflict Free Sourcing Initiative (o CFSI), un'iniziativa creata per aiutare le compagnie a scegliere attentamente i fornitori in modo da non incoraggiare l'acquisto dei minerali di conflitto. Dei restanti 183, solo 83 erano conformi agli standard CFSI e 38 sono stati elencati come non classificabili riguardo alla loro condotta.
Ovviamente non manca sul sito di Microsoft una paginetta disclaimer sulle politiche etiche aziendali ma con l'acquisizione di Nokia e la produzione interna di Windows Phone la situazione si fece più complessa di prima. Sony invece ha ribattuto fornendo alcuni dati ( 80 delle fonderie e raffinerie sono risultate "pulite") ma nel dubbio è stata rilasciata la seguente dichiarazione: "A causa delle scarse informazioni date dai nostri fornitori, non siamo stati in grado di verificare la posizione di raffinerie e fonderie, o il paese o miniere di provenienza dei minerali di conflitto utilizzati dalle suddette raffinerie e fonderie, ma nessuno tra questi fornitori ha identificato alcuna fonderia o raffineria situata o in affari con i paesi coinvolti". Quindi se non sappiamo da dove arrivano le materie prime dei nostri fornitori, ma loro ci assicurano che è tutto ok va bene, giusto? Nintendo infine, nonostante non sia quotata in borsa negli Stati Uniti e non sia quindi soggetta alle linee guida della SEC (la Securities and Exchange Commission, l'ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori), ha fornito comunque degli aggiornamenti sulla questione in un rapporto di responsabilità sociale d'impresa annuale, e nel 2014 la grande N ha dichiarato di aver ricevuto un coinvolgimento del 100% da parte dei fornitori che utilizzano l'indagine CFSI-standard... una bella notizia, se non fosse che l'azienda ha poi riferito, dati alla mano, che solo 168 delle 247 raffinerie e fonderie nella propria catena di fornitura sono state certificate come non coinvolte nel conflitto dei minerali. Ma veniamo al caso più grottesco, che riguarda due compagnie coinvolte in questa vicenda perché proprietarie di linee di giocattoli per bambini. Activision ha avuto non pochi problemi con la SEC negli ultimi due anni mentre Disney ha identificato nella sua catena di produzione 122 fonderie e raffinerie che hanno fornito minerali di conflitto ai suoi fornitori; di questi 16 non erano compatibili con gli standard CFSI e altri 10 sono risultati coinvolti nella lavorazione di minerali di conflitto, nonostante fossero stati ritenuti inizialmente idonei. Disney nel 2013 ha dichiarato di non essere minimamente a conoscenza della cosa, come ovviamente non è a conoscenza del fatto che ogni giorno le cartiere a cui si appoggia radono al suolo ettari di foresta pluviale dell'Indonesia, sfollando la fauna a rischio di estinzione, solo per stampare libri per bambini e packaging in cartone per i loro giocattoli (stessa colpa imputabile ad Hasbro e Mattel). È incredibile come due prodotti come Skylanders e Disney Infinity, videogiochi creati per i bambini, gravino in verità sulle spalle di altri bambini, costretti all'estrazione forzata nelle miniere Dio solo sa in quali condizioni; dal punto di vista degli attivisti che lottano per i diritti civili dei paesi del Terzo Mondo, la chiusura di Disney Infinity forse è quasi più un bene che un male, perché cessata la richiesta da parte dei produttori la catena si è spezzata.
L'unica soluzione è la responsabilità
Dopo le accuse però bisogna anche guardare i fatti perché le soluzioni a disposizione non sono molte. "Se non ci fosse questo business non ci sarebbe il problema" è la prima cosa a cui si pensa, ma non è così. La situazione in stati come la Repubblica del Congo non è temporanea o dipendente dall'attuale abuso dell'Occidente: le multinazionali di qualsiasi settore hanno per decenni sfruttato l'Africa e altre regioni pianeta con il solo scopo di arricchirsi, ma anche se tutto questo dovesse cessare la situazione in qui paesi rimarrebbe comunque critica perché ormai il danno è irreparabile.
Secondariamente se anche solo uno dei colossi sopracitati dovesse fallire le ripercussioni sui mercati mondiali sarebbero disastrose e, senza pretendere di fare i fini economisti da social network, nel momento in cui anche solo un tassello del sistema cade le ripercussioni le risento tutti; inoltre stagno, tantalio, tungsteno e oro non vengono solo impiegati nell'elettronica ma anche nell'industria automobilistica, aerospaziale e dell'illuminazione. È importante quindi che vi siano degli organi preposti alla sorveglianza delle aziende lungo tutta la catena di produzione e che le multinazionali subiscano controlli e tassazioni più severe; in Europa ad esempio il 20 maggio 2015 "gli eurodeputati hanno approvato un emendamento alla proposta della Commissione europea che introduce il tracciamento obbligatorio per le 800.000 imprese dell'UE che utilizzano stagno, tungsteno, tantalio e oro nella fabbricazione di prodotti di consumo. Tali imprese dovranno informare su tutte le misure prese per identificare e risolvere i rischi connessi alla loro catena di approvvigionamento". Da parte del consumatore quindi decidere di rinunciare a tutti quei prodotti che nella loro catena di produzione danneggiano persone, animali e il pianeta vorrebbe dire essenzialmente vivere in una tenda senza e nutrirsi di ciò che si riesce a coltivare e cacciare. La soluzione non è rinunciare a tutto, basta cercare di vivere una vita più sostenibile e meno spregiudicata negli acquisti: ogni quanto cambiamo lo smartphone o la TV? E quante volte vi capita di trovare in frigo o in dispensa della roba scaduta che non avete mangiato? Tutti questi sono sprechi evitabili e se tutti in questo sistema facessimo responsabilmente la nostra parte i problemi sarebbero meno gravi di quanto sono in realtà.