Mentre recensivamo Live A Live abbiamo avuto un'epifania, tipo San Paolo sulla via di Damasco, e abbiamo immaginato come sarebbe stato giocare un remake in HD-2D di Chrono Trigger. Questo nome potrebbe dire poco alle nuove generazioni, ma c'è stato un tempo in cui praticamente un intero panorama di genere guardava all'opera di Square (prima che si sposasse con Enix) con timore reverenziale e non dovrebbe stupire nessuno che siano stati in pochi, anzi pochissimi, a sfidarlo sul suo campo: lo stesso seguito del 1999, Chrono Cross, che abbiamo rigiocato solo qualche mese fa, prendeva le dovute distanze dall'originale.
Quella di Chrono non si potrebbe neppure definire una "serie": conta giusto tre titoli, peraltro molto diversi tra loro, e per quanto riguarda il capostipite, Chrono Trigger, è importante discernere tra quello che era e quello che dovrebbe essere, per come lo abbiamo idealizzato. Cerchiamo di approfondire la questione nelle prossime righe chiedendoci: dov'è il remake di Chrono Trigger?
Radical Dream Team
Chrono Trigger è stato il figlio d'arte di una coincidenza cosmica di talenti e circostanze, che comprendevano anche Takashi Tokita, il quale aveva diretto proprio Live A Live, che era uscito nel settembre del '94, e cioè appena sei mesi prima. In realtà, un'idea astratta di Chrono Trigger esisteva già dai primi anni '90, e cioè da quando tre personaggetti assolutamente anonimi avevano fatto un viaggio negli Stati Uniti per comprendere meglio la cultura e la tecnologia yankee: i tre caballeros in questione erano nientepopodimeno che Hironobu Sakaguchi, che era il papà di Final Fantasy; Yuji Horii, che era il papà di Dragon Quest; e Akira Toriyama, che era il papà di Dragon Ball e il Genitore 2 di Dragon Quest.
Immaginate questi tre maestri del videogioco e del fumetto che gironzolano per l'America, tipo turisti per caso e, a un certo punto, decidono di unire le forze per creare un JRPG senza precedenti. La leggenda narra che Sakaguchi e Horii abbiano fatto un balletto, congiunto gli indici e gridato FU-SION-HA!
Insomma, i nostri eroi tornano in Giappone e passano un anno a rimuginarci sopra. Alla fine trovano un producer in Kazuhiko Aoki, che aveva lavorato con Sakaguchi a Final Fantasy III e Final Fantasy IV, e mettono su una squadra di quelle che in futuro sarebbero state vere e proprie autorità nel campo dei videogiochi giapponesi.
Vediamone alcune. Hiromichi Tanaka, producer di Seiken Densetsu - cioè quella che in seguito sarebbe diventata la serie Mana - e game designer di Final Fantasy II e Final Fantasy III, supervisionò i lavori di Toriyama sul character design di mostri e protagonisti. Masato Kato, assunto come sceneggiatore, si scontrò più e più volte con Yuji Horii sull'idea del viaggio nel tempo: alla fine la spuntarono Horii e Toriyama, ma Kato, in seguito, avrebbe diretto i due sequel di Chrono Trigger, ora disponibili entrambi anche in Italia nella recente Chrono Cross: The Radical Dreamers Edition.
Altre celebrità? Akihiko Matsui e Yoshinori Kitase diressero i lavori insieme a Tokita, poiché il gioco si faceva più complesso ogni giorno che passava. Matsui aveva progettato il sistema di combattimento di Final Fantay IV e Final Fantasy V; in seguito, avrebbe lavorato a quello di Final Fantasy XI. Kitase, che aveva cominciato in Square con Seiken Densetsu, sarebbe diventato uno dei producer e director di punta nella serie Final Fantasy.
Nei credits di Chrono Trigger spuntano altre firme interessanti. Tetsuya Takahashi si era fatto un nome per l'iconica introduzione di Final Fantasy VI, così gli fu affidata la direzione artistica di Chrono Trigger. In seguito Takahashi avrebbe diretto Xenogears e molti anni dopo avrebbe fondato Monolith Soft: oggi è la mente dietro Xenoblade Chronicles.
Tetsuya Nomura non dovrebbe avere bisogno di presentazioni, più che altro perché nell'ambiente ormai è più famigerato che famoso, ma la sua indiscutibile carriera cominciò proprio in quegli anni come scrittore e grafico di vari titoli Square, tra cui i Final Fantasy dei primi anni '90 e, appunto, Chrono Trigger.
Alla colonna sonora lavorarono Nobuo Uematsu, praticamente il padrino musicale di Final Fantasy, e Yasunori Mitsuda. La storia di Mitsuda è molto carina: praticamente il compositore, che all'epoca si occupava perlopiù di effetti sonori, voleva licenziarsi perché Square non lo pagava abbastanza. Uematsu, che aveva scorto in lui un potenziale inespresso, lo volle alle musiche di Chrono Trigger e Mitsuda compose una colonna sonora senza precedenti per quantità e varietà delle tracce. In seguito Mitsuda avrebbe lavorato alle musiche di un numero semplicemente ridicolo di videogiochi, tra i quali spiccano quasi tutti i titoli diretti da Takahashi, compreso il recente Xenoblade Chronicles 3.
Come potete capire, a Chrono Trigger lavorò sostanzialmente la crème de la crème del videogioco di ruolo nipponico, all'alba di quella che potremmo tranquillamente definire l'Età d'oro del genere. Oggi molti di questi talenti hanno preso strade completamente diverse, lavorano come freelance o in studi concorrenti, ed è praticamente impossibile che possano riunirsi ancora sotto la stessa bandiera per tentare un altro colpaccio. E questo è solo uno dei motivi per cui il capolavoro di Square dovrebbe essere riproposto con un rispetto e una cura maniacali nei confronti dell'originale. Fondamentalmente, Square Enix ha un'occasione - solo una - per riuscirci e non può sprecarla: serve il momento giusto, i nomi giusti, le idee giuste. E ci sono oppure no?
I meriti di Chrono Trigger
Se pensiamo a Chrono Trigger nel suo insieme, ci si rende conto che il suo più grande merito sta nell'equilibrio. Nessuna delle sue componenti funziona da sola, senza le altre. È come se ci fosse un'armonia che tiene incollata ogni sua parte, mentre si bilanciano a vicenda. Prendiamo la storia e il cast dei protagonisti: è un'avventura fatta di viaggi nel tempo in epoche fantasy e sci-fi, messe a repentaglio da un'entità aliena trascendente che minaccia tutto il creato. Praticamente un giorno feriale come un altro nell'universo dei giochi di ruolo nipponici.
Eppure la narrativa funziona e avvince il giocatore, perché si lega a doppio filo con un cast stereotipato, ma scritto bene, brillante e piacevole, nonostante il protagonista (Crono) silenzioso, e un gameplay fluido che scorre di pari passo con l'esplorazione e la sceneggiatura: non ci sono combattimenti casuali e quindi non ci sono interruzioni di ritmo, dato che i nemici sono disposti con cura all'interno degli ambienti e gli scontri hanno luogo sul posto, senza transizioni di schermate.
A guardarlo, Chrono Trigger somiglia più a Secret of Mana che a Final Fantasy o Dragon Quest: ha perfettamente senso se consideriamo il producer e il fatto che in origine avrebbe dovuto fare parte della serie Seiken Densetsu col titolo provvisorio di Maru Island. Ma del resto, come abbiamo detto prima, Sakaguchi e Horii volevano fare qualcosa di diverso, prendere le distanze dalle loro opere per tentare una strada nuova anche per il pubblico nipponico.
Il sistema di combattimento, in questo senso, riflette la loro volontà. Riprende l'Active Time Battle di Final Fantasy - denominato, infatti, ATB 2.0 - ma è un sistema asciutto, fatto di attacchi normali, oggetti consumabili, Tecniche personali che consumano PM. Fino a tre personaggi possono combinare le loro Tecniche in assalti spettacolari e, in più, la maggior parte di queste abilità ha una componente posizionale per cui bisogna considerare gli spostamenti automatici di mostri e personaggi sul campo di battaglia. Sono dinamiche semplicissime, che si assimilano in pochi minuti, ma che tengono botta fino alla fine del gioco.
Quando uscì, nel 1995, Chrono Trigger spremette l'hardware di SNES letteralmente ai suoi limiti. Inizialmente concepito per il Super Famicom Disk Drive poi scartato da Nintendo, arrivò sugli scaffali, con la sua scintillante cartuccia da 32-megabit, un annetto dopo Final Fantasy VI, sfoggiando una pixelart strepitosa, qualche effetto 3D e l'obbligatorio Mode-7 per immergere i giocatori in una varietà di scenari coloratissimi e dettagliati. Il character design di Toriyama fu centrale nella rappresentazione cartoonesca del mondo e dei suoi personaggi: il mangaka era abituato a spaziare tra atmosfere diverse nei suoi stessi fumetti, quindi i viaggi nel tempo mantengono una coerenza visiva di fondo esemplare.
La storia diventa gameplay con la possibilità di spostarsi liberamente da un'epoca all'altra, compiendo delle scelte che vanno a incidere sulla narrativa e conducono a dodici finali diversi (tredici dall'edizione per Nintendo DS in poi). Una dinamica che aggiungeva spessore a un titolo che, grazie anche a una durata contenuta e al New Game Plus, spronava a farsi rigiocare più volte.
Remake, remastered o che?
Ripensando a Chrono Trigger, è difficile trovargli dei difetti. È un titolo praticamente perfetto sotto ogni punto di vista, segno dell'intesa che c'era a monte tra le menti che lo avevano concepito. E questo è sorprendente, se si considera che alla storia hanno messo mano più autori. Chrono Trigger è un titolo ambizioso che però non tenta mai il passo più lungo della gamba e si mantiene sempre entro certi confini. Per questo è difficile capire cosa ci serve davvero: un remake o una remastered? E qual è la differenza tra le due? No, perché oggi la definizione di "remastered" si presta alle più svariate interpretazioni e non sempre positive. Square è poi la regina delle remastered a metà e per quelle dei suoi Final Fantasy più celebri i fan gridano ancora allo scandalo.
Però, tornando all'inizio di questo articolo, una cosa è sicura: mentre giocavamo a Live A Live, abbiamo capito che di Chrono Trigger non vogliamo un remake. Non un remake nel senso di Final Fantasy VII Remake o Trials of Mana, per intenderci. E non che non ci abbiano provato, negli anni, i fan, a fare qualcosa in Unreal Engine 4. È solo che le nuove tecnologie non rappresentano la nostalgia che appartiene a Chrono Trigger.
Per questo Live A Live ci ha fatto pensare a Chrono Trigger: perché lo stile grafico HD-2D inaugurato da Octopath Traveler alcuni anni fa è praticamente perfetto. È un approccio visivo che rievoca l'indimenticabile era a 16-bit, ma che al contempo ha anche un'aria più fresca, più moderna, grazie a sfondi e scenari 3D più dettagliati e definiti che imitano la pixelart d'annata, appoggiandosi alle possibilità offerte da una telecamera dinamica e da una illuminazione al passo coi tempi. Facciamo un esempio concreto: immaginate quanto sarebbe figo - che è un termine poco professionale, ma rende l'idea - se durante un combattimento in Chrono Trigger la telecamera ruotasse per inquadrare Crono e Frog mentre eseguono il loro iconico X-Strike. Oppure pensate agli scenari più memorabili dell'avventura, impreziositi da profondità di campo e particellari vari.
Già un mezzo remake, mezzo remastered in stile Live A Live funzionerebbe più che bene, ma servirebbe qualche ritocco agli sprite, in termini di definizione, dettaglio e animazioni, per perfezionare ulteriormente il pacchetto. Alla fine, una riedizione di Chrono Trigger avrebbe bisogno soprattutto di qualche miglioramento QoL, Quality of Life per chi non conoscesse l'acronimo, alla qualità della vita, per così dire, se faticate con l'inglese. Sono quelle piccole obsolescenze, figlie del passato, che oggi si possono migliorare in pochi, semplici passaggi: interfacce e menù più intuitivi, opzioni di velocizzazione delle animazioni in combattimento, la possibilità di saltare dialoghi e scenette d'intermezzo in New Game Plus. Cose così.
Le riedizioni per Nintendo DS, sistemi mobile e PC hanno provveduto in questo senso, ma si può fare di più. Rimasterizzare la colonna sonora - e non diciamo riarrangiata, ma sarebbe bello se Mitsuda ci rimettesse mano - per esempio, oppure reintrodurre le cinematiche a cartoni animati della versione PlayStation uscita nel 1999. Dulcis in fundo, ma sarebbe chiedere troppo, la possibilità di passare al volo dalla grafica nuova a quella vecchia, in stile Wonder Boy: The Dragon's Trap o Diablo II Resurrected.
Riflettendoci, è assurdo che Square Enix non abbia pensato d'inserire Chrono Trigger, anche così com'era nella sua ultima incarnazione per PC del 2018, nella Chrono Cross: The Radical Dreamers Edition. In un colpo solo avremmo avuto tutta la "serie", comprensiva della visual novel per Satellaview che è rimasta inedita per vent'anni. Fondamentalmente, non serve neppure giocare i titoli in un certo ordine, dato che sono perfettamente autonomi e Chrono Cross, a modo suo, è sì un sequel, ma è considerabile alla stregua di una linea temporale alternativa e non influenza retroattivamente il piacere di giocare Chrono Trigger in un secondo momento.
Non possiamo fare a meno di pensare che Live A Live, titolo interessantissimo che siamo lieti di aver potuto finalmente giocare nella nostra lingua, ma non certo altrettanto iconico, abbia rappresentato un esperimento, una specie di prova del nove, per mettere in cantiere altri titoli dell'epoca a 16-bit tipo Bahamut's Lagoon o, appunto, Chrono Trigger. La nostra speranza è che Square Enix, zitta zitta, ci stia già lavorando, e che magari arrivino dopo l'attesissimo remake di Dragon Quest III: la formula in fondo è proprio quella, e sarebbe pazzesco rinunciare a un successo assicurato per tentare una strada diversa e più banale.