Elden Ring è diventato ufficialmente il videogioco ad aver vinto più premi per il GOTY della storia. Il titolo di FromSoftware era entrato ormai da tempo a far parte del minuscolo club di opere capaci di sfondare agilmente il muro dei 17 milioni di copie vendute, raggiungendo tale obiettivo nel corso di soli tre mesi. Ciò significa che è ormai quasi un obbligo morale affiancare il suo impatto a quello di produzioni come Skyrim, The Witcher 3 o The Legend of Zelda: Breath of the Wild, i cui solchi continuano a segnare irrimediabilmente l'andamento del mercato nel suo insieme.
Che Elden Ring si sia dimostrato uno dei più grandi successi commerciali dell'ultimo decennio non è più un segreto, così come non lo è il fatto che sia stato accolto dal pubblico come un prodotto di assoluto valore, uno dei pochissimi in grado di srotolare un immenso tappeto contenutistico capace di intrattenere per centinaia di ore.
Le pubblicazioni della sua magnitudine stanno diventando sempre più rare, ed erano in molti ad attenderlo trepidanti davanti ai cancelli dei The Game Awards, evento che ha dominato nel pieno rispetto dei pronostici.
Sì, Elden Ring è un titolo straordinario, ma è davvero il miglior videogioco di FromSoftware? Merita davvero di superare opere come The Last of Us Parte 2 o Red Dead Redemption 2 nella raccolta di riconoscimenti internazionali?
Il GOTY dei GOTY
Con oltre 324 premi assegnati, tra cui anche quello di Multiplayer.it, Elden Ring è oggi il videogioco più premiato di tutti i tempi. Alle sue spalle siede The Last of Us Parte 2 con 322 statuette, seguito da The Witcher 3: Wild Hunt con 281, per poi arrivare alla patta tra The Legend of Zelda: Breath of the Wild e God of War del 2018, entrambe capaci di conquistarne 263. È evidente che il numero complessivo di GOTY assegnati sia cresciuto esponenzialmente nel corso degli anni, ma è capitato molto raramente che una singola opera riuscisse a fare piazza pulita come l'ultima fatica di FromSoftware.
In seguito all'esordio il 24 febbraio del 2022, Elden Ring ha conquistato la vetta di Metacritic con una media voto di 96 per poi piazzare 13.4 milioni di copie in un singolo mese. Per fare un paragone, a Dark Souls 3 c'erano voluti quattro anni per oltrepassare la soglia dei 10 milioni, e tale risultato ha infranto i record imposti da The Witcher 3: Wild Hunt e The Elder Scrolls V: Skyrim; sono pochissime le produzioni che possono vantare statistiche simili, come ad esempio Grand Theft Auto V di Rockstar Games, Call of Duty: Modern Warfare II di Infinity Ward o Red Dead Redemption 2. Al di là delle grezze vittorie numeriche, il passaparola ha fatto il resto del lavoro: nella primavera del 2022 tutti i canali social esistenti sono stati letteralmente monopolizzati da contenuti e discussioni maturate attorno all'open world di FromSoftware, che si è trasformato in un vero e proprio fenomeno culturale. Al tempo stesso, alcuni detrattori si chiedono tutt'ora se lo straordinario successo di Elden Ring sia meritato e se, soprattutto, si possa considerare il miglior videogioco di FromSoftware.
Le origini del mito
Siamo agli ultimi battiti dei 2000 quando Hidetaka Miyazaki, già allora uno dei massimi creativi maturati in seno a FromSoftware, decide di allontanarsi dal contesto del celebre Armored Core per tornare a scavare nel passato della compagnia. È allora che il suo sguardo si sofferma su Shadow Tower e soprattutto sull'antico King's Field, tradizionale gioco di ruolo dalla forte carica fantasy e oscura, titolo sovente dimenticato tanto dal pubblico quanto dagli addetti ai lavori. La realtà è che Miyazaki, da sempre grande appassionato di videogiochi, non si trova più a suo agio nell'esplorare mondi virtuali più che mai distanti dalle particolari emozioni che anni prima coloravano anche le atmosfere più dark. Emozioni quali la meraviglia della scoperta, il brivido della sfida, la morsa del pericolo, e soprattutto la soddisfazione associata alla vittoria. Erano i tratti distintivi, questi, di un vecchio mercato che non poteva più soddisfare le esigenze dei publisher, impegnati a finanziare esperienze capaci di accogliere il maggior numero possibile di appassionati per traghettarli dolcemente fino ai titoli di coda. Siamo negli anni in cui i cRPG sembrano giunti al capolinea, in cui serie storiche come Fallout accolgono grosse semplificazioni e raccolgono grandi successi, in cui la percentuale di giocatori che giungono al termine di un'opera diventa un dato rilevante.
Ed è proprio in quegli anni che si verifica un inaspettato allineamento degli astri: FromSoftware ha l'opportunità di sviluppare un titolo in partnership con Sony Interactive Entertainment e si trova per la prima volta completamente slegata dalle briglie dell'industria; il prodotto, infatti, non ha una direzione né una reale supervisione, resta a lungo imprigionato nella burocrazia, e si trova improvvisamente libero di incarnare qualsiasi genere di filosofia. Hidetaka Miyazaki decide che è giunto il momento di provarci, di tornare indietro nel tempo e recuperare quelle emozioni perdute, di presentare al pubblico un'opera che corre a velocità folle in una direzione completamente opposta rispetto alle correnti dominanti. "Se il progetto fosse fallito non sarebbe importato a nessuno: era già visto come un fallimento", ha recentemente dichiarato alla stampa.
È allora che prende forma Demon's Souls, il punto zero di questa rivoluzione creativa, il primo mattone dal quale sarebbe sorta la leggenda della corrente "soulsborne". La risposta del pubblico non tarda ad arrivare: nonostante il regno di Boletaria rimanga tutt'ora confinato in una nicchia, tutta la critica e buona parte del pubblico assorbono come spugne la filosofia creativa della casa, scorgendo nel tessuto del titolo il seme di qualcosa di decisamente più grande. Qualcosa che sarebbe giunto a pieno compimento giusto qualche anno più tardi, nel 2011, quando Dark Souls grazierà per la prima volta le sponde del mercato dei videogiochi.
Nel corso del tempo, tale filosofia si è evoluta e trasformata lungo sette diversi lanci, differenti nella forma, nella tecnica e nel colore, ma tutti figli delle medesime emozioni. Le atmosfere cupe di Dark Souls, gli orrori vittoriani di Bloodborne, il crudo medioevo action di Sekiro e la luminosa anima di Elden Ring, sono singole parti di un unico grande affresco capace di regalare una nuova casa a milioni di giocatori, persone che da tempo non trovavano un rifugio sicuro nel loro medium di riferimento e che, proprio come Miyazaki, sognavano di rivivere antiche sensazioni ormai sopite. La sola "Souls Saga", oggi, ha infranto il muro delle 27 milioni di copie vendute, dimostrando al mondo che la sua nicchia non era poi così contenuta. Eppure si tratta di numeri che impallidiscono di fronte ai risultati raggiunti da Elden Ring, titolo che ad agosto aveva già oltrepassato il confine dei 17,5 milioni di copie piazzate. Ed è qui che sorge il dubbio: Elden Ring è ufficialmente l'opera ad aver raccolto più premi per il Game of the Year della storia, ma è veramente il videogioco del decennio, o anche solo la migliore produzione di FromSoftware?
Il miglior gioco di FromSoftware?
Se è vero che non esiste una formula matematica per definire con certezza assoluta quale videogioco sia migliore di altri, nel tempo emergono piccoli elementi distintivi che - ad anni di distanza dall'esordio delle opere - tracciano una visione completa delle filosofie creative e del loro impatto nel settore. Oggi, ad esempio, sappiamo di dovere a Dark Souls quella che è diventata la storica interpretazione del level design secondo FromSoftware, così come l'inedita messa in scena di una componente narrativa compressa nel concetto di "lore". Sappiamo di come Demon's Souls abbia fissato gli assiomi alla base del sistema di combattimento duro e puro che ha caratterizzato tutte le produzioni della casa. Sappiamo che Elden Ring, dal canto suo, ha dimostrato che l'intero scatolone creativo costituiva una formula scalabile, e che sarebbe stato possibile prendere tali regole e portarle in una nuova gigantesca dimensione. Ciascuna opera della casa ha dei meriti, ha fissato delle pietre miliari, ma qual è la migliore?
Stando a Metacritic, Elden Ring occupa il gradino più alto del podio (96), seguito da Bloodborne (91) e da Dark Souls 2 (91). E così abbiamo chiarito che non si può fare affidamento neppure sull'aggregatore di recensioni, dal momento che il secondo episodio della Souls Saga è stato in realtà recepito come un clamoroso fallimento dalla setta dei fan più accaniti. E allora cosa fa di un "soulsborne" un eccellente videogioco? I grandi punti di forza delle produzioni di FromSoftware, oltre alla capacità di riportare in vita le sensazioni agognate da Miyazaki, risiedono nella direzione artistica, nella profondità tecnica, nella costruzione del mondo e soprattutto in un sistema di progressione unico nel suo genere, che non si limita a coinvolgere solo l'avatar ma arriva a toccare in prima persona il giocatore. Se tali elementi sono comuni all'intera produzione dello studio, diventa oltremodo difficile decidere quale opera porre su un gradino più elevato rispetto alle altre, e l'unica discriminante rischia di cadere nel puro e semplice gusto.
Molto spesso gli appassionati dell'immaginario oscuro scaturito dalla fantasia di Lovecraft finiscono per amare le sagome dei palazzi vittoriani di Yahrnam più di quanto apprezzino le guglie di Anor Londo, o che i fanatici del tardo periodo Sengoku trovino nella Ashina fantasy di Sekiro una scenografia decisamente più affascinante della Lothric di Dark Souls 3. Ma non si può neppure ridurre la questione al semplice gusto estetico, perché tutti coloro che adorano vestire i panni dell'impenetrabile guerriero high fantasy collideranno a loro volta con gli estimatori del combattimento rapido e aggressivo che sporca di sangue i fondali di Bloodborne, dando vita a un conflitto che si sposta anche sul piano delle meccaniche.
Il recente portfolio di FromSoftware è caleidoscopico, cambia costantemente forma e colore a seconda delle lenti che lo stanno osservando, e al netto di vette più elevate e qualche inciampo, risponde di volta in volta alle esigenze di un pubblico differente. Esisterà sempre, di conseguenza, chi riterrà in eterno la Lordran di Dark Souls il miglior mondo virtuale ad aver graziato il medium, chi pagherebbe oro per tornare ad esplorare le strade di Yarhnam, e chi sacrificherebbe tutta la tradizione soulslike per vedere sviluppata la formula action alla base di Sekiro. Eppure, Elden Ring rimane una creatura molto diversa dalle sue antesignane.
I meriti di Elden Ring
Elden Ring è l'epitome della produzione capace di trascinare orde di inconsapevoli nuovi appassionati nei confini di un immaginario che certamente li definirà come videogiocatori. È una circostanza che già si è verificata nella storia dei videogiochi: milioni di persone, tra i '90 e i 2000, hanno vissuto opere del calibro di Final Fantasy VIII e Final Fantasy X senza sapere nulla della saga di riferimento, per poi trasformarsi nei fan più accaniti della produzione di Square. La stessa cosa è successa a novembre del 2011 in seguito all'esordio di The Elder Scrolls V: Skyrim, che ha letteralmente decuplicato le vendite dei suoi predecessori introducendo all'universo di Tamriel i giocatori di mezzo mondo. È emblematico anche il caso di The Witcher 3: Wild Hunt, tanto impattante da trasformare un piccolo gioco di ruolo di nicchia in una creatura capace di imporsi nel mondo delle serie televisive. Elden Ring ha compiuto sì il medesimo gioco di prestigio, ma lo ha fatto in un contesto decisamente più complesso.
Le opere di FromSoftware trasportano da anni un pesantissimo fardello: i videogiocatori le considerano produzioni "hardcore", titoli destinati a pochi eletti, videogiochi troppo difficili per il pubblico di massa. Un'eredità, questa, che sì è ulteriormente cementificata alla luce dei comportamenti della comunità di appassionati, spesso eccessivamente protettiva, orgogliosa, determinata a restare un'élite e a custodire gelosamente i mondi che ha imparato ad amare. Ma la realtà è molto diversa: quelli di FromSoftware sono videogiochi per tutti, sono pensati per essere completati da qualsiasi genere di giocatore; anzi, funzionano proprio per merito del lungo percorso di miglioramento progressivo che porta qualunque neofita a trasformarsi in un maestro. Solo allora, quando gli avversari apparentemente invincibili vengono finalmente sconfitti, tali opere si mettono a nudo mostrando l'anima creativa della casa.
Elden Ring ha fatto proprio questo: è riuscito a comunicare cosa fossero i videogiochi di FromSoftware molto meglio di quanto i media, gli influencer e gli appassionati siano mai riusciti a fare. Si è consegnato nelle mani del pubblico forte di una formula leggermente più accessibile e libera, avvicinando i videogiocatori più diffidenti quel tanto che bastava per catturarli in un vortice dal quale sarebbe stato impossibile uscire. Se Dark Souls ha segnato il coronamento di una fra le più grandi rivoluzioni del game design, se Bloodborne ha dimostrato che il talento della casa potesse piegarsi a diversi immaginari, Elden Ring è l'opera che ha portato milioni di nuovi appassionati a scoprire le qualità delle sue antenate. Storicamente esisteva un baratro tra i fan dei "soulsborne" e il pubblico di massa, ma questo titolo è riuscito a costruire un ponte fra le comunità.
Quindi Elden Ring è il miglior videogioco di FromSoftware e merita di fare incetta di premi per il GOTY? Dipende dai punti di vista. Elden Ring ha avuto il medesimo impatto di produzioni come Skyrim e GTA V: ci sarà sempre chi riterrà Morrowind un'opera ineguagliabile, così come chi ha lasciato il cuore per le strade di GTA: San Andreas. Ma se tanti giocatori hanno abbandonato la propria zona di comfort per scoprire la filosofia creativa di Hidetaka Miyazaki, è soprattutto merito di Elden Ring. Che sia o meno il GOTY tra i GOTY in fin dei conti è irrilevante: la capacità di dimostrare al mondo che non esistono esperienze per 'pochi eletti' è una qualità più unica che rara.