Ormai è ufficiale: l'E3 2023 non si farà. Una notizia, questa, che spinge a pensare che la kermesse losangelina sia definitivamente giunta al capolinea: l'ultima edizione, quella del 2019, porta ormai quattro anni sul groppone, nel corso del tempo la fiera ha esaurito tutte le possibili giustificazioni per le assenze, e quello che avrebbe dovuto rivelarsi l'anno della rinascita si è appena trasformato nell'anticamera dell'epilogo vero e proprio.
La motivazione della cancellazione risiede nella mancanza "dell'interesse necessario per mettere in piedi una fiera capace di rendere onore alla dimensione, alla forza e all'impatto dell'industria". Ed è una dichiarazione, quella degli organizzatori, che punta indirettamente il dito verso i grandi 'disertori', quelle Sony Interactive Entertainment, Microsoft, Nintendo, Ubisoft, Sega e Tencent - per citarne alcune - che già avevano annunciato di non voler partecipare alla manifestazione o che si sono tirate indietro dagli showfloor.
L'Electronic Entertainment Expo era ormai uno spettro di sé stesso, un fantasma stanco e spoglio dei suoi più grandi palchi, orfano di Nintendo e privato della sfida titanica fra Microsoft e Sony, indebolito sul fronte dei prodotti da testare, inadatto a sostenere i nuovi ritmi del mercato. Ma era pur sempre l'E3, per alcuni un appuntamento fisso, praticamente la variante videoludica di Una Poltrona per Due a Natale, uno dei pochi momenti in cui agli appassionati era concesso di sognare concretamente un futuro di divertimento.
Non bisogna, d'altra parte, organizzare un funerale dorato per un evento che ha storicamente portato con sé una serie di evidenti problematiche. L'E3 è stato anche la culla della cultura dell'hype, la ragione che ha costretto determinati studi ad assemblare trailer fittizi in fretta e furia per non presentarsi a mani vuote di fronte al mondo intero, il luogo dove molte date di pubblicazione irrealistiche sono state scolpite nella pietra condizionando irrimediabilmente il lavoro degli sviluppatori.
Una culla di problemi
L'edizione 2019 dell'E3, già all'epoca bollata come 'sottotono', si configurò come un ricettacolo colmo delle crepe strutturali che da qualche anno sporcavano i contorni dell'evento. Allora fu mostrata alla stampa una presentazione a porte chiuse di Cyberpunk 2077 che si sarebbe rivelata molto diversa dal prodotto finito, e la stessa cosa accadde nei confini di Dying Light 2, quando l'obiettivo era ancora stretto attorno alla funambolica narrativa ramificata a firma di Chris Avellone. Nei meandri degli showfloor fu persino concesso di provare Hollow Knight: Silksong su Nintendo Switch, un'opera che non solo quattro anni più tardi deve ancora vedere la luce del sole, ma che nel frattempo sembra aver cambiato bandiera trovando un nuovo alleato nel Game Pass di Microsoft.
La pressione dell'E3, stando al celebre report di Kotaku, è proprio ciò che ha convinto BioWare a realizzare l'ormai ben noto trailer artificiale di Anthem, quello che durante le conferenze lasciò milioni di persone col fiato sospeso di fronte a una formula tanto fantascientifica quanto effettivamente inesistente. Ed era una pressione sfiancante, la ragione che spingeva produttori hardware ad annunciare videogiochi che sarebbero stati assenti dalle console per oltre un lustro, al fine di gridare al mondo intero che si poteva contare su un ulteriore asso nella manica rispetto alla concorrenza.
Anche la concorrenza stessa non era da sottovalutare: per infiniti anni, durante l'ottava generazione di console, quando calava il sipario sulle conferenze di Sony e Microsoft emergevano il vincitore e lo sconfitto, il videogioco da sognare la notte e quello da dimenticare il giorno stesso. Ha senso, per i colossi dell'industria, darsi battaglia sullo stesso palcoscenico correndo il rischio concreto di farsi eclissare dall'offerta del rivale? Talvolta capita di non avere prodotti da presentare, nel caso di Microsoft è successo di attraversare quasi una decade di transizione. Sony prese coscienza di tale situazione e, già a partire dal 2019, scelse di abbandonare le sponde dell'E3, seguendo a ruota coloro che da tempo si affidavano a finestre di comunicazione cucite su misura.
Una filosofia, questa, che incidentalmente si piega perfettamente alla nuova struttura dell'informazione, al peso del web e dei social network, che ormai da quelli che sembrano secoli consentono di raggiungere chiunque in qualsiasi momento. L'E3 2023 non si farà, e a deciderlo sono stati i publisher dei videogiochi. È meglio affidarsi ai keynote, agli State of Play, ai Direct, ai creator, al volto rassicurante di Geoff Keighley e alla comunicazione non mediata della Summer Game Fest. Ma se da una parte ciò significa che le succitate problematiche potrebbero non verificarsi più, dall'altra emergono spettri ugualmente preoccupanti.
I rischi della nuova comunicazione
È molto difficile immaginare un'edizione della Milan Fashion Week, o dell'equivalente parigina, dalla quale i grandi della moda decidano di disertare. È altrettanto improbabile che le manifatture di hardware e TV affermino che non valga la pena presenziare al CES di Las Vegas. Il mercato dei videogiochi, dal canto suo, è cambiato al punto da configurarsi come un'entità unica nel suo genere, probabilmente una delle industrie più centralizzate in assoluto. I produttori vendono direttamente al pubblico quasi senza mediazione, oggi vogliono comunicare con il pubblico quasi senza filtro. C'è stata un'epoca lontana in cui l'E3 era anche il luogo in cui nascevano le collaborazioni e soprattutto si siglavano i grandi accordi di distribuzione, mentre di questi tempi è sufficiente superare i procedimenti di verifica di un negozio digitale per vedere la propria opera esposta sugli scaffali virtuali.
Nella comunicazione di ReedPop, organizzatore dell'E3 2023, si legge: "Apprezziamo e capiamo che le aziende interessate non avrebbero demo giocabili pronte", un passaggio che - forse lanciando anche una velata frecciatina - spiega come mai molti produttori, fra cui ad esempio Ubisoft e Microsoft, avessero recentemente annunciato la propria defezione dallo showfloor. I videogiochi del futuro saranno mostrati e non testati, per quanto ultimamente fosse percepita come leggera l'intermediazione sarà per lo più assente, e lo scettro sarà definitivamente raccolto dagli eventi in digitale e dalle voci selezionate, che per loro stessa natura rischiano di penalizzare determinati attori.
Una delle cose di cui più si sentirà la mancanza sono piccole ali come la Kentia Hall e la Concourse Hall del Los Angeles Convention Center, per chi non lo sapesse una sorta di E3 collaterale, i saloni che in tempi recenti usavano ospitare i booth dei piccoli publisher, intenti a presentare le opere che non avrebbero trovato spazio sul grande palcoscenico in prima serata. Titoli che spesso, quando inseriti in contesti più blasonati - come State of Play o Nintendo Direct carichi di aspettative - vengono percepite come produzioni di serie inferiore, rischiando di finire tagliate fuori dalle nuove dinamiche della comunicazione.
Alcuni dei grandi eventi digitali hanno infatti dei veri e propri prezzari: è il caso della Gamescom Opening Night Live, che oscilla tra un minimo di 85.000€ per un trailer di 30 secondi e 210.000€ per uno di due minuti; questo genere di "partnership", nel caso della Gamescom, richiedono la presenza nello spazio espositivo e si integrano con altri annunci di natura puramente editoriale, ma nel corso dell'evento vero e proprio risulta piuttosto difficile distinguere le une dagli altri.
L'E3 mancherà, con tutti i suoi difetti
Anche se il viaggio dell'E3 potrebbe non essere effettivamente giunto al termine, la recente comunicazione profuma di tramonto definitivo come mai aveva fatto in passato. Forse gli sviluppatori non dovranno più lavorare sotto la spada di Damocle di una data di pubblicazione svelata in modo troppo zelante, forse non capiterà più che gli studios si debbano attrezzare in fretta e furia per avere qualcosa da mostrare a un pubblico affamato, forse quella del rinvio del videogioco diventerà una situazione rara da incontrare. Ma a conti fatti sono ormai tre anni che l'Expo manca dalle sponde di Los Angeles e tutti questi fenomeni continuano a verificarsi: a mutare sono stati solamente i tempi e i luoghi della comunicazione, e non sempre in meglio.
L'E3 mancherà, perché era un momento in cui tutti i videogiocatori, a prescindere dalle piccole bandiere, una volta l'anno si radunavano sotto il medesimo grande stendardo, desiderando e talvolta toccando con mano un futuro accattivante per l'industria. Era il cancello sull'estate e su una nuova stagione di divertimento, una fiera dei sogni che prendeva forma lungo settimane di speculazione e che talvolta scatenava boati capaci di attraversare il mondo, inquadrando in primo piano la Buster Sword di Cloud Strife dopo vent'anni, accogliendo sul palco un Keanu Reeves "da togliere il fiato", mostrando la commozione di Davide Soliani mentre Shigeru Miyamoto presentava un videogioco italiano. Nick Hornby scriveva: "Anche se tutto va male, perdi il lavoro, ti lascia la ragazza, c'è sempre un campionato che inizia a settembre". Da questo momento in avanti, invece, rischiamo di non poter mai più dire che c'è sempre un nuovo E3 che ci aspetta a giugno.