Uno scandalo sotto l'albero di Natale
Durante il periodo pre-natalizio l'Italia ha visto infiammarsi una feroce polemica che ha coinvolto il titolo per PS2 Rule of Rose. Ci siamo ormai quasi abituati alle contestazioni che negli ultimi anni stanno venendo rivolte al mondo videoludico, divampate in tutto il mondo e basate sulla presunta pericolosità di alcuni titoli dai contenuti particolarmente violenti o sessualmente espliciti. La polemica in questione, che ha addirittura scatenato interrogazioni parlamentari, venti di censura e richieste di nuovi sistemi di controllo (o rating) è stata generata da articoli di più o meno dubbio valore che sono stati divulgati su riviste cartacee ed online di vari paesi, compreso il nostro. Chi vi scrive si è preso la briga di prendere il gioco, inserirlo nella propria console e giocarlo fino in fondo. E da qui nascono le mie valutazioni, che coinvolgono diversi piani di ragionamento e, non ultimo, alcune considerazioni sui capri espiatori di cui la società moderna ha evidentemente bisogno per sentirsi ancora responsabile e sicura, in tempi di grandi cambiamenti ambientali e comportamentali e conseguente crisi dell'individuo e dei valori una volta considerati stabili, o soggetti a cambiamenti a lungo termine.
Rule of Rose, bisogna ammetterlo, è un titolo dai contenuti decisamente densi di elementi disturbanti. Visto nella sua globalità è, nel suo genere, un buon titolo che porta a suo favore una realizzazione tecnica discreta, una grafica apprezzabile e sicuramente in grado di favorire l'immersione emotiva nel gioco, una colonna sonora davvero ben fatta ed una giocabilità più che discreta. Il gioco scorre senza intoppi, i salvataggi sono raggiungibili con facilità e permettono di proseguire nel gioco senza dover ricaricare e ripetere fasi troppo lunghe nel caso si sia costretti a tornare indietro di un paio di passi. Gli enigmi e la ricerca degli oggetti necessari per procedere nei vari capitoli sono strutturati in maniera tale da non essere frustranti ma nemmeno troppo facili da trovare ed eseguire ed il cane che ci accompagna ed assiste aggiunge un tocco in più alla dinamicità del tutto. Questo è quello che il gioco è, a grandi linee. Quello su cui però poggia veramente è la sua storia dai toni cupi, la cui protagonista è una ragazzina dall'aria tanto ingenua e civettuola da farci quasi desiderare che venga rapidamente eliminata dalla scena, o che improvvisamente si riveli una sorta di Samus travestita da Holly Molly e in maniera grottesca quanto liberatoria si tiri via il vestino grigio a sacco, raddrizzi le spalle ed alzi la vista e in un gesto tanto esasperato quanto rivendicativo si metta perfino, udite udite, un fiocco rosso fra i capelli. Si, beh, sarebbe somigliata pericolosamente a Barbie, ma almeno non ci sarebbe venuta voglia di seppellirla in giardino. Ed è proprio questo, in effetti, quello che accade, è proprio questa la scena che ha creato il terribile scandalo, evocando mostri bambini, orrori di violenza sui minori, perfino scene lesbiche tra minorenni.
Ci sono diversi esempi di questa frammentazione degli interventi che cercano, alcune volte in maniera onesta, alcune volte meno, di rimediare al dilagare quasi incontrollato di contenuti di ogni genere e quello che appare chiaro è il divario fra le generazioni, che diventa quanto mai ampio e profondo. Il famoso gap generazionale è sempre esistito, non è certo una novità dell'ultim'ora, ma forse si sta accentuando sempre di più, la corsa alle tecnologie ed ai nuovi mezzi di intrattenimento non ammette ritardi e chi resta indietro è perduto. Ed ecco che le generazioni “classiche” si lamentano dello scarso attaccamento alla lettura dei nostri giovani, mentre i giovani accusano i “vecchi” di essere incapaci di comprendere il loro mondo. Nulla di nuovo sotto il cielo, è vero, perfino Rossella O'Hara avrebbe potuto raccontare la stessa storia. Solo che ora il mondo nel quale i nostri giovani si riconoscono è veramente diverso da quello dei loro genitori. Si tratta di un mondo che prevede modi di relazionarsi completamente differenti, nuovi tessuti sociali e, sicuramente, un'esposizione ormai pressochè assoluta a qualunque genere di contenuti, perfino quelli a cui una volta non si riusciva nemmeno a pensare.
Ed è proprio su questo che si consumano i paradossi. Apocalypto, attuale focus dell'attenzione di coloro che invocano maggiore protezione contro i contenuti violenti, è stato reclamizzato, proprio a causa di queste polemiche, come un film con scene di una violenza mai vista, che avrebbe fatto impallidire perfino il precedente La Passione di Cristo, con le sue fustigazioni. In realtà è un film di medie pretese, le cui scene violente riescono ad esserlo perfino meno di quelle viste in Indiana Jones ed i suoi strappacuore. Tutto fumo e niente arrosto. Pensate forse che gli araldi della censura abbiano allontanato il pubblico giovanile dai cinema? Io sono convinta che tale pubblicità abbia generato maggior affluenza di pubblico, e nulla più. D'altra parte, chi non conosce la sindrome da incidente stradale?
Un altro punto che secondo me appartiene alla polemica erratamente in corso è lo scarso attaccamento alla lettura dei nostri giovani, che raggiungono i maggiori livelli di istruzione con sempre minor preparazione, e sempre maggior incapacità comunicativa, dialogativa e di espressione scritta. Non c'è da stupirsi, considerata l'immediatezza della narrazione interattiva dei videogiochi, e quel serbatoio di (apparenti) esperienze che è l'online. E che probabilmente nasconde pericoli realmente maggiori di quelli insiti nel cuore estirpato (pure male) di Apocalypto o nelle regole della rosa giapponesi. Ed è terribilmente vero, il videogioco può diventare una condizione alienante, sicuramente distoglie dalla lettura, ma solo chi non ha potuto apprezzarla, chi non è stato educato alla stessa, così come si educa il gusto, così come si educa allo stile. Perfino ai videogiochi si può educare, ma occorre conoscerli. E saperli gestire. Viviamo in una società controversa, che vive di contraddizioni ed estremi, abituati a telegiornali che ci propongono ogni giorno immagini e storie di una violenza estremamente superiore a qualunque forma di violenza virtuale, perchè violenza vera, violenza consumata appena fuori dalle nostre porte, ed in qualche caso perfino dentro. Violenza che ci viene proposta durante i pasti, mentre le famiglie dovrebbero essere riunite ed i figli tornati da scuola raccontano alle madri i risultati ottenuti. E se le bombe esplodono troppo forte, abbassate il volume. Oppure la voce, nel caso che le bombe siano più interessanti. Credo che sia arrivato il momento di indirizzare le nostre preoccupazioni, gestirle ed affrontarle, piuttosto che dispensando casuali lettere scarlatte sulla base di sentito dire, pregiudizi, ignoranza. Questo, ovviamente, a doppio senso di circolazione. Una volta ancora rinnovo il mio invito alla comunicazione, all'espressione, al confronto, e non allo schieramento cieco e sterile, che affligge un male che si chiama estremismo.
Che fine ha fatto l'informazione?
E' vero, esiste la pirateria, esiste la violazione di tali norme, esiste perfino il genitore che va a comprare il titolo vietato ai 18 per il figlioletto di dieci anni, purche' lo faccia star buono per qualche ora e lo guardi per un attimo con occhi colmi di gratitudine. Ora, di chi è la colpa, del videogioco o del padre con evidenti incapacità relazionali? Sono rimasta onestamente sconcertata quando ho visto scagliarsi contro un videogioco personalità del mondo politico che per loro stessa ammissione “non sanno accendere una PS2”. Sono rimasta altrettanto sconcertata quando ho scoperto che altre personalità politiche si sono basate, nella loro critica, su quanto riportato da una rivista nazionale non di settore.
Rimango sempre, inoltre, sconcertata, quando vedo preferirsi una caccia alle streghe e l'applicazione di una terribile lettera scarlatta al capro espiatorio di turno, senza peraltro che venga fatta una reale indagine sulla bontà o nocività del prodotto e sulla correttezza del giudizio di rating che ne limita la diffusione. Io credo che, nel caso in cui abbia necessità di comprendere le possibili conseguenze sul mio organismo di un medicinale e le sue eventuali controindicazioni in base al mio quadro clinico, deciderò di andare da un medico, piuttosto che affidarmi al giudizio del fruttivendolo o del postino. Con tutto il rispetto per due professioni indispensabili, ma trattandosi della mia salute penso che vorrei andare sul sicuro e non rischiare di prendere una cantonata, rivolgendomi al professionista deputato. La stessa cosa dovrebbe avvenire con i videogiochi.
vedo preferirsi una caccia alle streghe e l'applicazione di una terribile lettera scarlatta al capro espiatorio di turno
Che fine ha fatto l'informazione?
Esistono dei professionisti del settore, in grado di illuminare i non esperti sui contenuti e le potenzialità di influenza degli stessi sulle varie fasce di utenza. Esistono degli esperti. Perchè non fare riferimento a loro, quando si toccano argomenti che destano preoccupazioni tali da invocare lo spettro orribile della censura, quando si grida difesa per i nostri figli? Ritengo ipocrita, se reale è l'interesse per la tutela dei minori, alzare polemiche che non fanno altro che contrapporre degli schieramenti piuttosto che collaborare ricercare reale conoscenza e quindi giudizio equilibrato. Nel caso di Rule of Rose, se invece di cercare pubblicità si fosse operato in tal senso ci si sarebbe forse accorti che il titolo sarebbe finito in misura minore nelle mani dei minorenni che si volevano tutelare e forse si sarebbe stati più preparati a prepararli. Perchè si tratta proprio di preparare i nostri figli, se li si vuole tutelare, non cercare di creare campane di vetro e limiti al materiale che li raggiunge in una società globalizzata dove tutto è accessibile a tutti. Non smetterò mai di ripetermi: se si vuole combattere con efficacia bisogna conoscere il proprio nemico. E talvolta scoprirlo nostro alleato.
Bene, dobbiamo dire la verità. Il gioco in effetti ci porta in uno strano universo in cui i bambini ospiti di un orfanotrofio, per motivi che non vi sveleremo, in qualche modo deviano completamente dai normali comportamenti e si fondono in un universo popolato di mostri e strane creature forgiando una sorta di circolo elitario dedito a pratiche che assumono i contorni sadici che un po' tutti i bambini ed i ragazzini prima o poi esercitano nei confronti dei compagni più deboli. La mano viene però notevolmente calcata ed il risultato è che alcune scene possono effettivamente dare fastidio e sconvolgere emotivamente in maniera non proprio del tutto positiva. Non è la prima volta che tali artifici narrativi vengono utilizzati per colpire l'utenza. In effetti, qualcuno forse seguirà il mio pensiero, a me in questo caso viene in mente “Il Signore delle Mosche”, romanzo degli anni '50 di William Golding che affrontava le stesse tematiche, seppur in maniera abbastanza differente.
Ora, il punto è: quale delle due parti aveva dunque ragione? Quella dei “difensori” della regola della rosa o quella di coloro che ne invocavano la censura? Il punto, signori, è proprio la ragione. Quella che io invoco venga utilizzata quando si affrontano tali argomenti, possibilmente su una base di conoscenza dell'argomento stesso, del mezzo mediatico, del suo target... in generale che si conosca l'argomento del quale si va parlando. Rule of Rose non è, sicuramente, un titolo adatto ad un pubblico di pre-adolescenti. E' stato valutato da un rating, che ne ha imposto il divieto ai minori di sedici anni, ed è stato messo in commercio con tale divieto. Inutile quindi inalberarsi chiedendo che ne venga impedita la distribuzione ai bambini, perchè di fatto esiste già una regolamentazione volta proprio ad assicurarsi che questo non avvenga.