Se avete giocato Ghost of Tsushima e state aspettando Rise of the Ronin, se avete una passione particolare o una semplice curiosità nei confronti del Giappone antico, dovete assolutamente tenere d'occhio il calendario perché il 27 febbraio prossimo Shōgun arriverà su Disney+ e ci resterà fino ad aprile. Noi abbiamo già visto otto dei dieci episodi che compongono la miniserie, che poi è il secondo adattamento dell'omonimo romanzo di James Clavell: nel 1980 aveva potuto contare sui volti di Toshiro Mifune e Richard Chamberlain mentre ora tocca a Hiroyuki Sanada e Cosmo Jarvis interpretare gli stessi personaggi, ispirati alle figure realmente esistite di Ieyasu Tokugawa e William Adams.
Tokugawa non dovrebbe essere un nome estraneo agli appassionati di videogiochi, specialmente di Samurai Warriors e Nobunaga's Ambition: essendo stato uno dei tre grandi unificatori del Giappone, è una figura ricorrente nell'immaginario nipponico. Non temete, però, perché non ci sono spoiler significativi in questo speciale di Shōgun, una miniserie che a tratti sembra una sorta di Game of Thrones nel Sol Levante e che potrebbe facilmente diventare una delle produzioni più importanti dell'anno.
La storia di Shōgun
Ambientato nel sedicesimo secolo, Shōgun è incentrato sul conflitto tra i reggenti che vogliono cavalcare la morte dell'imperatore: tra essi, solo Toshii Toranaga sembra essere del tutto disinteressato al potere. Deciso a mantenere il delicato equilibrio sul suolo giapponese, già incrinato dalla diffusione sempre più preoccupante dei gesuiti e dei portoghesi, Toranaga ha messo gli occhi su una nave che è arrivata dall'occidente e che trasporta armi e risorse di monumentale importanza strategica. La nave in questione, la Erasmus, apparteneva a una flotta che è stata decimata da tempeste e scorbuto, ed è approdata in Giappone con pochi superstiti, tra i quali spicca il navigatore britannico John Blackthorne.
In poco tempo, Blackthorne diventa il perno del conflitto. Preso come ostaggio, e affiancato a Mariko Toda, una dama dal passato complicato che, essendo diventata cattolica, ha imparato il portoghese e può fargli da interprete, Blackthorne stringe un'alleanza di comodo con Toranaga che si trasforma in un'amicizia più profonda mentre apprende gli usi e i costumi dei giapponesi.
Prima abbiamo menzionato Il Trono di Spade, ma le due serie TV non si somigliano come pensate voi: tanto per cominciare, Shōgun fa ricorso al sesso e alla violenza con grande moderazione, e se il primo è sempre contenuto, a fuoco e mai eccessivo, la seconda esplode di rado e con grottesca efferatezza, mettendo la marcia sul realismo. Ad avvicinare Shōgun alle Cronache del ghiaccio e del fuoco di G.R.R. Martin è piuttosto il cast enorme, che include moltissimi personaggi secondari, i quali si avvicendano in scena contribuendo a ingigantire e complicare un conflitto che si evince più nelle parole che nell'azione, rara e misurata. I combattimenti sono pochi, ma significativi, mentre la storia si sviluppa soprattutto attraverso dialoghi pregnanti e carichi di tensione.
Shōgun gioca con lo spettatore e, così facendo, cammina sulla sottile lama di un coltello. Blackthorne è la nostra prospettiva, il nostro sguardo occidentale sulle strane tradizioni di un mondo complicato e bellissimo. Per questo motivo, tutti parlano in giapponese (sottotitolato) tranne Blackthorne e i suoi interpreti: il personaggio interpretato da Cosmo Jarvis è sostanzialmente il protagonista della storia, anche se forse non ha il carisma che serve per reggere fino in fondo un ruolo tanto importante. Jarvis è bravo, sì, ma incostante.
Ciò accade anche per un motivo molto semplice che forse la produzione non aveva calcolato: Hiroyuki Sanada e Anna Sawai sono giganteschi. Il primo, che dovrebbe essere un volto abbastanza noto nella cultura pop contemporanea, probabilmente è alla prova attoriale migliore della sua carriera: il suo machiavellico Toranaga domina ogni singola scena, pronunciando le battute con un'inflessione carica di significato o minaccia. Fa un effetto difficile da descrivere a parole, bisogna per forza guardarlo. Sawai, dal canto suo, interpreta Mariko con una grazia feroce, un altro ossimoro che si capisce soltanto guardando Shōgun: un personaggio granitico che bilancia in maniera disarmante la dolcezza, la naturalezza e l'inflessibilità di una perfetta dama giapponese.
Jarvis, Sanada e Sawai sono i tre pilastri di Shōgun, ma gli altri comprimari non sono meno bravi, anzi. Tadanobu Asano e Shinnosuke Abe, in particolare, sono azzeccatissimi nelle loro parti, anche se bisogna aspettare qualche episodio per comprendere la bontà del loro lavoro e la profondità, o l'importanza, dei loro personaggi. In generale, possiamo dire che il cast quasi tutto giapponese non delude per niente e, anzi, aiuta lo spettatore a viaggiare nel tempo nel corso di ogni episodio.
Una serie TV memorabile
Forse Shōgun funziona benissimo, nonostante i toni solenni e il ritmo compassato del racconto, perché dietro c'è un lavoro sinergico incredibilmente fortunato: non solo la scrittura di Justin Marks e sua moglie Rachel Kondo, ma anche la supervisione dello stesso Sanada, attore protagonista e produttore esecutivo. Sanada ha preteso carta bianca sotto diversi aspetti, scegliendo con cura il cast e i collaboratori col preciso scopo di rappresentare il periodo storico di riferimento nel modo più fedele e accurato possibile. In questo senso, sono impressionanti la ricercatezza nei dettagli, la scrupolosità con cui sono stati costruiti gli scenari e riprodotti i costumi. Chiunque sia stato in Giappone, per esempio al castello di Nijo a Kyoto, riconoscerà le peculiari caratteristiche delle residenze nobiliari nipponiche dell'epoca antica: il lavoro svolto, da questo punto di vista, è strabiliante.
Pur ricorrendo a una pletora di registi, Shōgun non cambia stile in modo appariscente: non ci sono riprese particolarmente audaci o innovative, e ai campi larghi pieni di computer grafica si preferisce mettere in risalto i particolari summenzionati con inquadrature ravvicinate e più intime, ma in alcuni episodi non si disprezza la spettacolarità se e quando serve, grazie anche alle musiche intense di Atticus Ross, già vincitore di un Oscar per The Social Network.
Tutto sommato, quella di Shōgun è una storia che già conosciamo. L'abbiamo vista e rivista al cinema e in TV: ne L'ultimo samurai, in Balla coi lupi, in Avatar e così via. È la storia dello straniero che scopre una cultura diversa e inizialmente ostile, l'abbraccia e impara a lottare per essa. È una storia che, nel sangue e nella guerra, parla di speranza, di fede e di destino.
Al di là del fatto che si ispira a una storia vera, Shōgun non è neppure sorprendente nell'intreccio. C'è l'inevitabile storia d'amore, ci sono traditori più o meno evidenti, qualche colpo di scena prevedibile, ma tutto funziona perfettamente e, soprattutto, è talmente bello da vedere e da sentire, se amate il Giappone e la sua storia, che si può rimanere solo soddisfatti: Shōgun è una serie TV di altissimo livello, consigliata agli amanti delle fiction storiche e realistiche che preferiscono l'introspezione alla violenza a tutti i costi e, soprattutto, che amano il Giappone e le sue tradizioni. Seguirla può essere impegnativo - è sottotitolata in gran parte, con un cast importante e un complicato intreccio di nomi e ruoli - ma ne vale assolutamente la pena.