Meglio la mazza ferrata o l’alabarda?
Se c’è una cosa più difficile di realizzare un capolavoro, questa è realizzare il seguito di un capolavoro. Mantenere le caratteristiche che ne hanno decretato il successo, aggiungendo allo stesso tempo una buona dose di migliorie e soddisfare così le aspettative del pubblico è un motivo di enorme sfida e grandissima frustrazione per ogni programmatore. Inutile dire che Soul Calibur 2 rientri in questa categoria. La schema di gioco, uno dei punti cardine della serie, è stato ulteriormente perfezionato pur mantenendo ovviamente intatte gran parte degli aspetti fondamentali. Ecco quindi combattimenti veloci e adrenalinici, fatti di stoccate, parate e rapidi contrattacchi; l’implementazione di elementi come l’8 way run system inoltre trasmette una maggiore sensazione di controllo del proprio personaggio, ora ancor più reattivo ai comandi impartiti dal giocatore. In linea di massima comunque, Soul Calibur 2 dal punto di vista del gameplay non è altro che la conferma della effettiva bontà della versione per Dreamcast: pur con 4 anni sulle spalle infatti, la freschezza di una meccanica di gioco così ben studiata si trasmette ancora come meglio non potrebbe, e giocare alla produzione Namco può rapidamente diventare motivo di assuefazione per ogni appassionato del genere. Ma, dal momento che la perfezione non è di questo mondo, non mancano i difetti; su tutti, pesa in maniera indiscutibile un non perfetto bilanciamento dei lottatori con alcuni di questi che, grazie a combo di particolare efficacia o comunque a mosse difficilmente parabili, si rivelano estremamente temibili soprattutto se affidati a mani esperte. Alla folta rosa di combattenti disponibili, oltre a numerose vecchie conoscenze, si aggiungono nuovi personaggi creati ex novo. Non tutti ispiratissimi, confessiamolo; d’altra parte, replicare il carisma dei vari Mitsurugi, Ivy, Voldo, Maxi e via dicendo non è certo affare da poco. Tra gli extra disponibili nella edizione occidentale figurano inoltre le versioni giocabili di Lizardman, Assassin, Berserker, disponibili però solo in modalità pratica, team battle o versus. Come molti sapranno inoltre, Namco ha deciso di diversificare le tre versioni del gioco inserendo in ognuna un personaggio esclusivo; quella per Gamecube può contare su Link, fattore questo che ha spinto moltissimi videogiocatori ad acquistare l’edizione Nintendo, curiosi di vederne per la prima volta una versione “realistica” a 128 bit. Il risultato è un personaggio assolutamente fedele alle caratteristiche che ne hanno delineato la personalità e l’aspetto nel corso degli anni, ma –per forza di cose- incapace di amalgamarsi in maniera ottimale sia per quanto riguarda la caratterizzazione grafico che lo stile di combattimento.
Two is better than one?
Una delle più aspre critiche mosse a Soul Calibur 2, fin dal momento della diffusione delle prime immagini, è stata sul presunto scarso miglioramento grafico rispetto al precedente episodio su Dreamcast. Una analisi di questo aspetto deve però anzitutto basarsi su due presupposti: il primo è che la natura multipiattaforma del progetto (pur nato su un hardware estremamente simile a quello di Ps2) ha impedito ai programmatori di lavorare “sul metallo” della console, come al contrario fatto per il capitolo sull’hardware Sega. In secondo luogo, va dato merito ai grafici Namco che lavorarono su Soul Calibur per Dreamcast; si trattò, con ogni probabilità, di uno dei massimi esempi di sfruttamento di un hardware dell’intera storia recente dei videogames. Con Soul Calibur 2 è stata evidentemente scelta la via della continuità, proponendo un titolo con delle caratteristiche visive attinenti ad un certo stile grafico. Per tutte queste ragioni, la fatica di Namco non può e non vuole avere l’impatto devastante che ebbe il precedente capitolo; detto questo, è assolutamente indiscutibile una superiore qualità tecnica sotto ogni singolo punto di vista. Texture, poligoni su schermo, effetti grafici, fluidità, tutto contribuisce a rendere Soul Calibur 2 davvero un gran bel vedere. Uniche, reali riserve per quanto riguarda la componente estetica possono generarsi facendo una valutazione artistica; se, come già detto, alcuni dei nuovi personaggi semplicemente non reggono di fronte al carisma dei veterani della serie, a ciò va aggiunta una altalenante qualità sia per quanto riguarda gli stage che i costumi. Ad ambientazioni epiche se ne alternano altre abbastanza banali e poco caratterizzate, così come è innegabile denotare tra i vari abiti, alcune variazioni probabilmente realizzate con eccessiva fretta e inserite “per fare numero”. Discorso analogo per quanto riguarda l’impianto sonoro: ad effetti tutto sommato più che buoni si contrappongono brani capaci di passare dall’esaltante all’assolutamente anonimo. Un consiglio: è molto meglio lasciare il parlato dei personaggi in lingua originale… l’adattamento in inglese potrebbe provocare momenti di sincera ilarità. Cosa che, crediamo, non fosse esattamente tra gli intenti dei produttori.
L’orgia delle modalità
Ciò che, invece, lascia spazio a ben poche critiche è la struttura di gioco studiata da Namco, e per la precisione la enorme quantità di diverse modalità presenti. In realtà però, più che la quantità, esalta la splendida progressione offerta da Soul Calibur 2, che prende per mano il giocatore stimolandolo e premiandolo in continuazione per i suoi progressi e la sua dedizione. Il climax di questa “filosofia” di gioco si può certamente ricondurre al Weapon Master Mode, naturale evoluzione delle analoghe modalità presenti in Soul Edge e Soul Calibur. Fondamentalmente, si tratta di affrontare una lunga serie di combattimenti sottostando a regole ben precise, che possono variare dalla necessità di colpire l’avversario solo con uno specifico tipo di attacco, quanto piuttosto di affrontare 5 nemici con una singola barra di energia, o piuttosto uscire vincitori entro un tempo limitato e via dicendo. Appare evidente che una tale varietà di obiettivi consente di garantire una freschezza invidiabile e costante per tutto il tempo necessario a completare tutti gli obiettivi; a questo si aggiunge alla possibilità di acquistare, col denaro ottenuto tramite i propri successi, tutta una serie di costumi, armi, gallerie di immagini, e addirittura modalità di gioco, personaggi, ambientazioni. Al costante stimolo di proseguire nel Weapon Master Mode si affianca così il desiderio di sbloccare mano a mano tutto quanto il gioco ha da offrire che, vi assicuriamo, è davvero tanto. Gli unici punti deboli della modalità in questione vanno ricercati nei livelli dei dungeon, che altro non sono se non snervanti e ripetitive serie di anche oltre 20 combattimenti, spesso addirittura contro lo stesso nemico; è davvero difficile, in tali occasioni, evitare di supporre che il loro scopo sia puramente quello di dilatare in maniera piuttosto forzata la longevità complessiva. Analoga impressione lascia anche la storia che fa da “collante” alle varie missioni, che spesso si risolve in una prolissa e poco ispirata successione di righe di testo che la maggior parte dei giocatori finirà per saltare a piè pari.
COMMENTO
Soul Calibur 2 rappresenta, inutile dirlo, il miglior picchiaduro a incontri disponibile per Gamecube. Ma anche se la concorrenza fosse agguerrita, la produzione Namco sarebbe capace di imporsi sugli avversari grazie ad una meccanica di gioco semplicemente eccellente, ad una varietà a dir poco invidiabile per un titolo del genere e ad una grafica di assoluto valore. Ciò nonostante, vuoi per l’attesa che si era creata attorno ad un gioco atteso per 4 anni, vuoi per la pesantissima eredità del predecessore, Soul Calibur 2 presenta alcuni aspetti non del tutto in grado di convincere appieno, e che ne compromettono quindi il giudizio finale. Detto questo, va ribadito ancora una volta che la fatica di Namco rappresenta un acquisto assolutamente d’obbligo per chiunque, appassionato o non del genere; in un periodo di crisi dei picchiaduro a incontri infatti, Soul Calibur 2 ha tutte le carte in regola per decretarne la rinascita in grande stile.
- Pro:
- Meccanica di gioco semplicemente eccellente
- Progressione e sviluppo estremamente stimolante
- Aspetto tecnico di prim’ordine
- Contro:
- Qualità stilistica leggermente altalenante
- Alcune scelte non del tutto condivisibili
- Non perfetto bilanciamento dei personaggi
Tutto iniziò con Soul Edge. Era la fine del 1996 e Namco, forte del successo ottenuto con Tekken 2 che l’aveva consacrata come regina dei picchiaduro 3d, decise di tentare il colpaccio anche nel genere dei beat’em up a incontri all’arma bianca. Il risultato fu un prodotto estremamente godibile, curato sotto tutti i punti di vista e rafforzato da una caratterizzazione dei personaggi davvero notevole. Ma solo poco meno di tre anni più tardi, nell’estate del ’99, si poté assistere alla definitiva consacrazione della serie col secondo episodio: ci riferiamo ovviamente a Soul Calibur per Dreamcast, vero capolavoro del genere e pietra miliare di enormi proporzioni per l’intero mercato dei videogiochi. Non fu quindi necessario attendere molto perché il coro delle voci degli appassionati si levasse, nella richiesta di un seguito capace di esaltare ulteriormente un concept così ben riuscito; ma il tracollo dell’ultima console Sega prima, e la crisi creativa di Namco poi, resero impossibile la realizzazione in tempi brevi del sogno dei tanti fan sparsi in tutto il mondo. Oggi, finalmente, il tanto atteso Soul Calibur 2 è finalmente disponibile su tutti i 3 formati casalinghi, raggiungendo anche il mercato europeo.