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The Legend of Zelda Majora's Mask: il lato oscuro della saga di Link

Nel 1999 Majora's Mask ha stravolto tutte le regole alla base di Zelda, presentando un'esperienza più vicina al survival horror che al gioco d'avventura.

SPECIALE di Lorenzo Mancosu   —   12/01/2023
The Legend of Zelda Majora's Mask: il lato oscuro della saga di Link
The Legend of Zelda: Majora's Mask 3D
The Legend of Zelda: Majora's Mask 3D
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Orecchie a punta, fatine, boschi incantati, i caldi raggi del sole che si riflettono su uno specchio d'acqua: figurandosi nella mente l'universo di The Legend of Zelda è difficile immaginare qualcosa di diverso dalla festa di colori offerta dal regno di Hyrule, il contesto luminoso e avvolgente che ha accompagnato milioni di videogiocatori dall'infanzia fino all'età adulta. Dalle cavalcate in groppa alla fedele Epona fino alle lunghe traversate a bordo del Re Drakar, l'esplorazione dei mondi tratteggiati dalla fantasia di Shigeru Miyamoto ha rappresentato tutte le volte un rifugio sicuro dal quale farsi cullare in completo relax.

Tutte le volte, tranne una. Nel 2000 Nintendo ha pubblicato The Legend of Zelda: Majora's Mask, capitolo diretto da Eiji Aonuma e Yoshiaki Koizumi che mirava a proseguire la vicenda del Link di Ocarina of Time, trascinandolo nel cuore dell'universo più oscuro ad emergere tra le pieghe della saga. Le atmosfere, i personaggi, persino la colonna sonora: tutti gli elementi di quest'opera trasudavano un magnetico senso d'inquietudine, al punto da trasformare il mondo di Termina nel teatro perfetto per terribili storie dell'orrore capaci di prendere vita anche dal nostro lato dello schermo.

Perché The Legend of Zelda: Majora's Mask emette questa particolare aura dalle tinte horror? Come mai vagando per quel regno si ha la costante sensazione che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato? Ripercorriamo la storia del capitolo più strano e disturbante nella saga di Zelda, un titolo che nasconde molto più di quanto potrebbe sembrare.

Benvenuti a Silent Hi... no, a Termina

L'immaginario di Majora's Mask nella Digital Art di Eric Shoemaker
L'immaginario di Majora's Mask nella Digital Art di Eric Shoemaker

The Legend of Zelda: Majora's Mask trova le sue radici nella sfida impossibile affrontata dagli sviluppatori di Nintendo attorno al 1999: dopo i quattro anni necessari per trasportare in tre dimensioni l'universo di Hyrule, avrebbero dovuto realizzare un nuovo capitolo della serie nell'arco di una singola annata. La difficoltà del compito spinse il team a gettare i particolari assiomi alla base dell'avventura: questa si sarebbe snodata nell'arco di tre diversi giorni in modo da compattare il consumo di memoria - mantenendo inalterata la profondità del gameplay - per poi sfruttare lo stesso motore e gli asset del capitolo precedente al fine di asciugare i tempi di sviluppo. L'idea del loop temporale fu pescata dal film indipendente Lola Corre di Tom Twyker, mentre l'aggiornamento dell'engine richiese il tassativo sfruttamento dell'Expansion Pak da 4MB per Nintendo 64, rendendo Majora's Mask l'unico titolo ad imporlo oltre a Perfect Dark e al Donkey Kong 64 di Rare.

Dopo una breve introduzione, nella quale si vedeva il medesimo Link di Ocarina of Time vagare in sella ad Epona nel cuore delle Lost Woods, il protagonista si gettava all'inseguimento di uno Skull Kid che gli aveva sottratto la fedele Ocarina del Tempo, per poi precipitare come una novella Alice in un pozzo senza fondo che si apriva su un'altra dimensione. Era il mondo di Termina, il più classico degli universi paralleli: i volti che abitavano i paraggi della città di Clock Town erano gli stessi che Link aveva imparato a conoscere nella cara vecchia Hyrule, ma le loro storie e le loro identità uscivano interamente stravolte dal passaggio oltre lo specchio.

Termina era segnata da una terribile caratteristica: tre giorni dopo il momento dell'arrivo dell'eroe, in concomitanza con l'atteso Carnevale del Tempo, la Luna si sarebbe schiantata sul pianeta, portando a un'apocalisse apparentemente inevitabile. Imprigionato in un anello temporale della durata di 54 minuti, l'eroe avrebbe dovuto risolvere un gigantesco enigma tornando di volta in volta all'alba del primo giorno, imparando a conoscere il regno e i suoi abitanti meglio delle proprie tasche, muovendosi tra le pieghe di una regione nebbiosa, mesta e minacciata dalla morte: un fondale molto distante dalle gioiose atmosfere delle opere precedenti, ulteriormente imbrunito dai rintocchi gelidi dell'inesorabile torre dell'orologio.

The Legend of Zelda: Majora's Mask ha completamente stravolto i dogmi alla base della serie, non solo nel contesto del comparto narrativo e nella palette cromatica, ma anche e soprattutto sul piano del gameplay. Da soave videogioco per tutti ed esperienza tanto riflessiva quanto rilassante, ha trasformato il giocato della saga in un costrutto complesso, a tratti indecifrabile, alzando notevolmente l'asticella della difficoltà e introducendo meccaniche anni luce avanti rispetto agli standard dell'epoca. Se oggi abbiamo potuto godere di opere come Outer Wilds di Mobius Digital o The Forgotten City di Modern Storyteller lo dobbiamo soprattutto a Majora's Mask, ma non è certo nel puro e semplice gameplay che si nascondono i suoi lati più oscuri.

C'è qualcosa che non quadra...

Il terribile grido di Link al momento della trasformazione
Il terribile grido di Link al momento della trasformazione

Le paludi a sud di Termina sono avvolte dalla nebbia, un'inquietante colonna sonora batte il tappeto musicale e, mentre ci si fa largo verso le coste della regione, all'orizzonte spunta un cadavere. È Silent Hill? No, è Majora's Mask, una produzione talmente colma di stranezze e significati occulti da aver portato alla creazione di un'apposita raccolta di saggi fondata dall'analista Aaron Suduiko, nella quale diversi ricercatori hanno prodotto dozzine di letture filosofiche e studi di game design legati al capitolo più particolare nella saga di Zelda.

"You've met with a terrible fate, haven't you?", ovvero: "Hai incontrato un destino terribile, non è vero?" è la frase con cui il celebre venditore di maschere - noto come Happy Mask Salesman - accoglieva il giovanissimo Link nel mondo alternativo, spaccando con violenza la quarta parete e alzando il sipario su un vero e proprio teatro dell'assurdo. Mentre i carpentieri più diligenti continuavano imperterriti i preparativi per i festeggiamenti del carnevale, qualche anima in pena spostava lo sguardo verso il cielo, notando che la Luna si faceva sempre più vicina, e con lei anche la fine dei tempi.

Ben Drowned è una delle creepypasta più famose del web
Ben Drowned è una delle creepypasta più famose del web

Majora's Mask ha messo tantissimi giovani appassionati di fronte a un'avventura più vicina a quelle di James Sunderland che al colorato medioevo fantasy della storica principessa; tra le agghiaccianti grida di Link al momento delle sue dolorose trasformazioni e la colonna sonora più cupa nel portfolio di Koji Kondo - che spaziava dall'ammiccante musica della Southern Swamp fino all'onnipresente Song of Healing - la tensione si poteva tagliare con il coltello. Avete presente le pubblicità di videogiochi fasulli che hanno inondato YouTube, nelle quali una familiare resa grafica retrò incontra l'elemento horror? Ecco, quel connubio era capace di prender vita nella seconda avventura tridimensionale di Link.

È da tali fondamenta che è emersa "Ben Drowned", una creepypasta poi trasformatasi in alternate-reality-game che ha esordito sulla board 4Chan nel 2010. Un utente, di nome Jadusable, raccontò di come fosse entrato in possesso di una copia di Majora's Mask a una svendita e soprattutto di come tale videogioco presentasse delle differenze sostanziali rispetto alla classica avventura. Il file salvato sotto il nome "BEN" sembrava aver letteralmente maledetto la cartuccia, trascinando il giovane giocatore in un vortice di follia che sarebbe infine culminato nella sua scomparsa. La vicenda ottenne risonanza grazie ad un sapiente sfruttamento delle hack, che permise a Jadusable di mostrare parecchie 'prove video' delle sue disavventure, ma nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza il solido strato di inquietudine che permea ciascun modello poligonale e ogni effetto sonoro dell'opera.

La morte

La morte dello Zora Mikau
La morte dello Zora Mikau

C'è un elemento di Majora's Mask che lo differenzia profondamente dal resto delle opere ricamate attorno alle avventure di Link: la massiccia presenza della morte tratteggia i contorni di un freddo fatalismo che sporca il carattere di ciascun abitante della regione. La Luna, che tiene costantemente sotto scacco l'intero pianeta, ha calato un pesante velo di rassegnazione che emerge tra le pieghe di ogni singolo dialogo, e si tratta di un'arrendevolezza più che giustificata: allo scoccare della mezzanotte dell'ultimo giorno, il satellite si abbatte con violenza nel cuore del piccolo borgo in una sequenza animata che lascia ben poco spazio all'immaginazione.

Parte dell'essenza dell'opera si nasconde dietro una peculiare missione secondaria che ha letteralmente portato alla follia gli appassionati di Majora's Mask, ovvero quella che coinvolge i personaggi di Anju e Kafei. La timida locandiera di Clock Town è disperata per la scomparsa del suo promesso sposo, il giovane figlio di Madame Aroma tramutato in bambino dalla maledizione della maschera. Non sapendo come spiegare la situazione alla sua amata, quest'ultimo se ne resta nascosto in attesa del deus ex machina che possa salvarlo, e l'obiettivo più occulto di Link è proprio quello di riunire la coppia di amanti al fine di celebrare il matrimonio prima della fine dei mondo.

Anju e Kafei attenderanno l'alba... insieme
Anju e Kafei attenderanno l'alba... insieme

Per esaudire il sogno di Anju e Kafei, Link deve abbandonare il desiderio di tornare a casa e perdersi completamente nel loop temporale, andando incontro a diversi fallimenti forzati e risolvendo pian piano il grande enigma dietro i promessi sposi. La missione si conclude a pochi secondi dallo scoccare della mezzanotte dell'ultimo giorno, costringendo Anju e Kafei a convolare a nozze a un passo dall'imminente catastrofe, e solo allora - finalmente abbracciati - accetteranno il loro triste destino con un sorriso spezzato, sospesi in equilibrio tra felicità e melancolia. Per un giocatore esperto è possibile completare la quest e sconfiggere in una manciata di secondi il boss finale, ma tendenzialmente quella dei giovani amanti è una gioia destinata ad aver vita molto breve: riavvolgendo il nastro fino all'alba del primo giorno capita d'incontrarli ancora e ancora, scoraggiati come la prima volta e completamente ignari di aver esaudito il proprio grande desiderio tra le pieghe di un'altra linea temporale.

La vicenda degli sposi non è l'unica nota disturbante ad ammantare le strade di Termina: tutte le forme in cui si può trasformare Link rappresentano infatti l'incarnazione di creature cadute sotto i colpi della maledizione. Il piccolo Deku Scrub che gli presta le sembianze si scopre essere il giovane figlio scomparso del Maggiordomo Deku, partito in cerca di funghi e mai rientrato a casa in seguito all'intervento della malefica maschera. Ancor più iconica è la sequenza in cui il protagonista seppellisce lo Zora Mikau, ferito a morte per mano dei pirati che hanno sottratto le uova dei piccoli Zora, creatura che esalerà il suo ultimo respiro proprio tra le braccia dell'attonito Link. Infine c'è Darmani III, leggendario eroe Goron che si è sacrificato nel tentativo di spezzare la maledizione dello Snowhead Temple e che chiederà al ragazzo di portare a termine la sua missione ancestrale.

Un eroe senza un nemico, un regno senza un eroe

Il pittoresco Skull Kid controllato da Majora
Il pittoresco Skull Kid controllato da Majora

In quasi tutti i capitoli della saga esiste un tiepido e rassicurante dualismo: c'è Link e poi c'è Ganon, c'è il bene e poi c'è il male assoluto, e tale struttura chiude un triangolo ideale con la figura della principessa Zelda. Ma non in Majora's Mask: non c'è Zelda, non c'è Ganon, non c'è la Triforza, persino il principale avversario dell'avventura - ovvero lo Skull Kid - non è altro che un innocuo bambino della foresta che, nel tentativo di sfuggire alla solitudine, ha ceduto il controllo a un atarassico agente del caos che scherza con Termina come il Joker secondo Heath Ledger giocava con Gotham. E in un mondo nel quale non c'è spazio per il male in senso stretto, anche il bene assume contorni frastagliati.

Nella linea temporale di Termina, Link non è mai esistito. Non ci sono antichi saggi a indirizzargli la via, non c'è nessun compito profetizzato che solamente l'eroe prescelto possa svolgere. C'è solo un ragazzo che vuole recuperare la sua Ocarina e trovare un modo per tornare a casa, e tale impresa passa solo incidentalmente per il salvataggio di quel regno già condannato. È stato osservato che il gufo e mentore Kaepora Gaeora, in Ocarina of Time, si rivolge al giovane hylian chiamandolo "Eroe del Destino" o "Prescelto dal Fato", mentre in Majora's Mask non lo menziona nemmeno, limitandosi a delineare contorni criptici che parrebbero più affini alla saga di Dark Souls che a quella di Zelda: "Termina is destined to fade" afferma, ovvero "Termina è destinata a svanire"; le antiche divinità che proteggevano quelle terre - i giganti - sono ormai morte da anni, e solo "chi avrà coraggio e determinazione sufficiente" potrà tentare l'impresa impossibile. Ma sta parlando di Link oppure - ben consapevole delle tribolazioni che costellano l'opera - della persona che impugna il pad?

La versione Fierce Deity di Link, un'entità terribile
La versione Fierce Deity di Link, un'entità terribile

Il Link di Majora's Mask potrebbe fermare l'incedere della Luna e salvare il mondo, ma potrebbe anche scegliere di non farlo. O forse sarebbe più corretto dire che ha già scelto di salvarlo e al tempo stesso di non salvarlo; la meccanica quantistica esclude il libero arbitrio? A ben vedere, i terreni di Termina sono estremamente fertili per quesiti di questo genere. Uno degli elementi caratterizzanti dell'opera si cela tra le dozzine di missioni secondarie volte ad ampliare la collezione di maschere, che hanno poco o nulla da spartire con l'opposizione al cataclisma imminente. Anzi, spesso e volentieri richiedono che Link fallisca di proposito, che abbandoni completamente la ricerca della grande soluzione per dedicarsi ad attività apparentemente triviali e ben lontane dal destino del regno, trasformando ogni singolo risveglio in un crocevia fra le strade del tempo stesso.

Ci si è chiesti spesso se Majora's Mask si possa considerare effettivamente parte della leggenda di Zelda, specialmente in ragione dell'ingombrante assenza della principessa - che appare giusto in un timido ricordo di Link - così come ci si è domandati se effettivamente esistano buoni e cattivi nei confini dell'universo oltre lo specchio. La ricompensa per coloro che riescono a raccogliere tutte le maschere nascoste nei meandri di Termina è la Fierce Deity Mask, la manifestazione fisica delle emozioni delle vittime di Majora, uno strumento pericoloso, che trasforma il giocatore in una furiosa divinità vendicativa. Quando il bambino della Luna la consegna nelle mani di Link, gli dice: "Vuoi giocare con me? Ok, giochiamo a buoni contro cattivi... e tu sei il cattivo".

Il passato e il futuro

Probabilmente non vedremo più un capitolo come Majora's Mask
Probabilmente non vedremo più un capitolo come Majora's Mask

Il connubio tra gli elementi più rassicuranti dell'abbagliante saga di Zelda e le dense ombre del mondo di Termina ha funzionato a meraviglia, trasformando Majora's Mask in un unicum del quale si sente indubbiamente la mancanza. Ma se è vero che le classiche atmosfere della serie sono lentamente maturate nel corso degli anni, è ancor più vero che la volontà di esplorare quel particolare sentiero non sia più riemersa, probabilmente anche in ragione degli scarsi numeri legati alle vendite, che si attestarono a meno della metà delle copie piazzate rispetto all'intramontabile Ocarina of Time.

Nonostante ciò, The Legend of Zelda: Majora's Mask, originariamente pubblicato nel 1999, era un titolo filosoficamente vent'anni nel futuro. La particolare impostazione del suo gameplay può vantare tratti comuni con le architetture delle moderne esperienze roguelike, con la componente narrativa del riuscito Outer Wilds, nonché con gli elementi distintivi delle tantissime opere che hanno adottato la soluzione del loop temporale, compreso il recente Deathloop di Arkane Studios.

Tears of the Kingdom è ancora avvolto nel mistero, e sono in molti a sperare in qualche nota oscura
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Allo stesso modo, l'assenza quasi totale di una narrativa chiara ed esplicita, e la conseguente scelta di celare diverse informazioni nelle trame intessute dai singoli abitanti, trova parecchie similitudini con la scrittura alla base dei soulsborne di FromSoftware, opere che dal canto loro hanno pescato più di un'ispirazione dalla leggenda tipizzata da Shigeru Miyamoto. Ed è innegabile che quando i videogiochi d'avventura scelgono di ancorarsi a formule espressive criptiche e difficilmente decifrabili, il fascino che le pervade aumenta a dismisura.

Per la prima volta a distanza di oltre vent'anni, un capitolo della serie principale di Zelda costituirà il sequel diretto del suo predecessore: The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom sembra legato a doppio filo con la vicenda protagonista di Breath of the Wild, e la speranza di alcuni appassionati - compreso il sottoscritto - è che tra ritrovati dungeon e isole fluttuanti si nasconda anche solo un frammento dell'antico immaginario che ha tratteggiato i contorni di Majora's Mask. Quello che è indubbiamente il titolo più atteso del 2023 si sta facendo sempre più vicino, e la fitta coltre di mistero che ancora lo avvolge potrebbe dipanarsi su un ritorno alla cara vecchia oscurità che accarezzava il mondo di Termina.