Nel corso del suo intervento al DICE Summit Asia, Yasuhide Kobayashi, vicepresidenti della divisione giapponese di Sony, ha aperto un'ampia parentesi sulle difficoltà dei publisher nipponici nel contesto dell'odierno mercato videoludico.
La tesi di Kobayashi non si segnala certo per l'originalità, ma ha indubiamente il pregio della chiarezza: sino a qualche tempo fa - ricorda il dirigente Sony - il Giappone rappresentava un terzo del mercato videoludico mondiale; oggi siamo scesi ad un quinto, contestualmente ad un aumento dei costi di produzione che impone - più che consigliare - l'apertura ai mercati esteri.
La ripartizione geografica degli utili di Capcom, Sega, Konami, Square-Enix o della stessa Sony, secondo Kobayashi, sarebbe sintomatica delle difficoltà con cui devono fare i conti oggi i publisher nipponici. Per tutte queste società, oltre il 70% delle entrate del 2008 derivano dal mercato interno, con picchi addirittura del 90%.
Il quadro fin qui delineato non è dei più esaltanti, ma se alla Sony si rendono conto del problema, non rinunciano neanche a speculare sulle possibili soluzioni: concept appetibili per i giocatori occidentali e strategie di marketing più vicine ai loro gusti ( Kobayashi ha fatto l'esempio di The Last Guardian, titolo scelto in prospettiva filo-occidentale) possono fare la differenza, nell'immediato e sulla lunga distanza.
E' solo questione di tempo, quindi, e l'industria giapponese raccoglierà il guanto di sfida lanciato dall'Occidente? A giudicare dalle recenti fortune di Nintendo non è difficile credere che nella terra dei sol levante ci siano risorse tecnologiche e culturali per affrontare la sfida. Va ricordato, tuttavia, che l'esempio della casa di Kyoto è stato praticamente ignorato sino a questo momento. Nemo propheta in patria?