La storia
Chicago, ore 5.15 di una fredda giornata invernale, la gente pigramente si muove per le strade, ignara di quello che sta per accadere, di quello che darà vita ad una guerra.
Da un vicolo, nascosto dall’oscurità, emerge una figura coperta da un mantello, evitando i robot che pattugliano la zona si precipita al centro di un incrocio, estrae una misteriosa fiala e da il via alla catastrofe.
Quasi in un gesto di vittoria una nube di gelo si sprigiona dalla sua mano, congela il suo corpo e si espande attraverso tutta la città, uccidendo e distruggendo qualsiasi cosa incontri lungo il suo inarrestabile cammino. In pochi istanti è la calma, la città di Chicago è distrutta e una guerra invisibile è appena cominciata…
Questi sono i fatti che fanno da prologo a Deus Ex Invisible War.
Che personaggio
La creazione del personaggio avviene subito dopo aver cominciato una nuova partita, già da questo punto emergono alcune importanti differenze rispetto al primo Deus Ex: innanzitutto è possibile scegliere di impersonare una donna (anche se questo non cambia assolutamente nulla ai fini dell’avventura), in secondo luogo manca la benché minima caratterizzazione iniziale del personaggio, presente nel predecessore sottoforma di punti abilità da spendere tra diverse caratteristiche.
Proseguendo fiduciosamente nel gioco, ma nonostante diverse ore di attività non si nota alcuna traccia di statistiche, abilità o quant’altro di simile: la personalizzazione del personaggio è pressoché assente, addio statistiche, addio esperienza, addio gestione del personaggio, in DEIW gli unici aspetti modificabili sono i biomods, una serie di “appendici” ipertecnologiche delle quali parleremo in maniera più approfondita più avanti nel corso dell’articolo.
Si tratta certamente di una scelta per rendere il gioco più semplice, più appetibile per il pubblico meno abituato ad avere a che fare con numeri e regole da rispettare.
Mancando i punti esperienza ovviamente viene a mancare uno dei “motori” che possono spingere il giocatore a compiere alcune azioni piuttosto che altre; nel predecessore l’affrontare una determinata situazione in un modo piuttosto che in un altro permetteva al giocatore di guadagnare più o meno esperienza. Ora venendo a mancare tutto questo, assalire un avamposto nemico sparando razzi a destra e a manca, o aggirare gli avversari di nascosto, con l’inganno o con l’ingegno, non cambierà assolutamente nulla (e non porterà alcuna gratifica se non la soddisfazione personale), e raggiunto l’obbiettivo non vi vedrete assegnare alcuna tipo di premio o gratifica.
Insomma, DEIW non interferisce assolutamente nelle scelte del giocatore, è possibile comportarsi da novelli Garret (il famigerato ladro della serie Thief) oppure da agguerriti Duke Nukem, e questo ai fini del gioco non farà alcuna differenza, l’unica cosa importante è il completamento delle quest.
I gadget
Come abbiamo già avuto modo di accennare, Alex D., il protagonista del gioco, è un ragazzo “speciale”, egli infatti possiede una serie di impianti cibernetici che gli permettono di migliorare le proprie performance fisiche e sensoriali.
In questi innesti (posizionati in precisi punti del corpo) è possibile inserire degli appositi biomod; si tratta di particolari artefatti che permettono di sviluppare inusuali capacità, come ad esempio il movimento silenzioso, la possibilità di interfacciarsi con terminali e computer, la capacità di controllare telecamere e robot, la rigenerazione dei tessuti.
Ciascun biomod è upgradabile fino al terzo livello, per fare questo il giocatore deve utilizzare i necessari moduli, che al termine dell’operazione vanno distrutti. Rispetto al predecessore ora vi è la possibilità di modificare il biomod scelto in precedenza, ciò permette di riparare a scelte troppo affrettate, oppure a situazioni improvvise e non prevedibili in precedenza; ovviamente cambiando caratteristica i moduli spesi nella precedente vanno persi e il livello della nuova parte da zero.
I moduli per abilitare e upgradare le caratteristiche sono reperibili nelle varie locazioni di gioco, e possono essere diffusi dalle autorità legali oppure attraverso il mercato nero; per ciascun innesto presente sul corpo di Alex è possibile scegliere tra due caratteristiche legate ai moduli legali e una ai moduli clandestini. La cosa ancora più eccitante è il fatto che l’utilizzo di un modulo illegale potrebbe portare a malfunzionamenti o effetti imprevisti, questo almeno secondo le dichiarazioni degli sviluppatori; se questo è vero significa che la possibilità che ciò accada è estremamente remota, dato che ho terminato il gioco utilizzando spesso caratteristiche illegali e non è mai capitato che incappassi in questo tipo di problemi...
In generale, sebbene non rappresenti certo una novità, la trovata dei biomod è interessante, le uniche note dolenti sono rappresentate dal numero delle caratteristiche attivabili troppo basso (tre per ciascun innesto per un totale di quindici), dalla relativa inutilità della maggior parte di essere e dal fatto già durante le prime ore di gioco chiunque può riuscire a portare al massimo livello i biomod più importanti (primi fra tutti hacking e rigenerazione).
L'interfaccia
La parte iniziale del gioco si svolge all’interno della Tarsus Academy di Seattle, una fase più che altro propedeutica durante la quale viene mostrato al giocatore come interagire con l’ambiente, col proprio inventario e con gli NPC (personaggi non giocanti).
Per l’interfaccia di gioco gli sviluppatori hanno optato per una struttura in stile HUD (Head Up Display, termine adottato per indicare una interfaccia che si sovrappone alla visuale del giocatore), la quale nonostante possa apparire fastidiosa, non pregiudica mai ne la visibilità del campo né la giocabilità, tant’è che ciascun giocatore può deciderne trasparenza e colore attraverso le apposite opzioni. Questa scelta sicuramente originale farà storcere il naso a parecchi giocatori amanti dei pratici menù posti nella parte bassa dello schermo, tenete però presente che il gioco è stato sviluppato anche per console, il che ha costretto gli sviluppatori ad inventarsi un’interfaccia più facilmente gestibile con un joypad.
L’inventario è costituito da una serie di alloggiamenti nei quali mettere oggetti, armi e quant’altro, una parte è accessibile direttamente durante il gioco, l’altra solamente passando all’apposita visuale.
In questo caso non si può non notare l’eccessiva semplicità di questo importante aspetto di gioco, caratteristiche fondamentali come peso e dimensione degli oggetti non influenzano in alcun modo la loro trasportabilità.
Interagiamo
Come in tutti i giochi con visuale in prima persona, i comandi vengono gestiti attraverso la classica accoppiata mouse-tastiera tipica del genere FPS (sparatutto), la quale con pochi click permette di portare a termine qualunque azione.
Non solo è possibile raccogliere qualsiasi oggetto, spostarlo e lanciarlo, ma anche interagire con apparecchiature elettroniche come computer o terminali di controllo. Ad un primo impatto ovviamente tutto ciò fa molto piacere, anche perché dà la sensazione di poter fare praticamente qualsiasi cosa, dallo sgranocchiare uno spuntino preso al distributore automatico al giocare a pallacanestro.
Un aspetto del gioco pienamente riuscito? Purtroppo no, e in questo caso si evince ancora più chiaramente come DEIW sia un gioco dalle enormi potenzialità purtroppo sfruttate solo superficialmente; è possibile interagire praticamente con quasi ogni oggetto, il problema è dato dal fatto che si tratta di puro esercizio di programmazione in quanto gli oggetti con cui si interagisce non servono pressoché a nulla. Nell’ultimo nato di casa Ion Storm le locazioni non sono altro che splendide vetrine piene di oggetti, si possono toccare, lanciare, rompere, farci quasi qualsiasi cosa si voglia tranne che utilizzarli per qualcosa di utile (tranne le casse da spostare e su cui salire per raggiungere locazioni altrimenti irraggiungibili).
Sempre parlando di interazione c’è da notare come l’arte dello scassinare e la forzatura di strumenti elettronici siano stati accorpati. Ora l’utilizzo degli appositi strumenti (chiamati multitool) non è in alcun modo legato all’abilità del personaggio (in effetti mancando l’esperienza o la benché minima statistica in merito…) e “consuma” un numero di tools proporzionale alla difficoltà della serratura; è inoltre aumentato il numero di operazioni gestite in modo automatico dal sistema, qualsiasi informazione vitale, sia esso un nome, un codice di accesso o quant’altro, viene automaticamente memorizzato e richiamato quando il personaggio viene ad interagire con il destinatario di quell’informazione, in questo modo viene meno una delle funzioni fondamentali del diario presente nel primo Deus Ex.
Quest’ultimo è composto da tre sezioni, una per le quest ricevute, una per quelle risolte e una per immagini o mappe utili alla risoluzione delle missioni.
Come già precedentemente annunciato dagli sviluppatori, le quest assegnate al protagonista lo costringono a schierarsi con l’una o con l’altra parte; tranne rare eccezioni la norma prevede che vi siano sempre due fazioni in lotta tra loro, ciascuna disposta a offrire equipaggiamento, denaro o favori differenti rispetto alla controparte.
Di per sé questo schema aiuta a far sentire il giocatore parte integrante degli intrighi per permeano la trama. Vi è solo un difetto in tutto questo: la ripetitività. Passando da una locazione alla successiva sembra che vi sia uno schema prefissato che preveda sempre la contrapposizione delle stesse fazioni, a volte addirittura con le stesse missioni.
La stessa impressione è data dal modo in cui è possibile raggiungere “fisicamente” l’obiettivo di una quest; si ha l’impressione di dover ripetere percorsi sempre uguali, non importa che vi troviate a Nuova Cairo piuttosto che a Seattle, che stiate completando una missione per l’Ordine piuttosto che per il gruppo degli Omar; qualunque sia la situazione in cui vi trovate sappiate che ci sarà sempre la possibilità di irrompere in stile Rambo, che ci sarà sempre una conduttura per il condizionamento attraverso cui passare, che ci sarà sempre una fogna o un tetto attraverso cui raggiungere l’obbiettivo. Insomma, ci sono sempre vari modi di raggiungere il proprio target, è un peccato che questi differenti percorsi siano bene o male sempre simili.
E’ comunque piacevole notare come invece, la conclusione delle missioni sia spesso molteplice e ben congegnata, per esempio per liquidare un avversario si può ricorrere alla violenza, all’astuzia (magari fingendosi un alleato e convincendolo a sparire dalla circolazione), oppure addirittura alle minacce (confessando le proprie intenzioni per spingerlo a offrirvi di più del precedente mandante).
Tramiamo
Senza alcuna ombra di dubbio parlare della trama significa toccare l’aspetto meglio riuscito di questo ultimo parto di casa Ion Storm; DEIW da questo punto di vista eredita tutto il fascino del predecessore, basando le proprie vicende su intrighi tra fazioni planetarie che hanno come campo d’azione il pianeta intero.
L’atmosfera è sempre abbastanza cupa, a tratti nebulosa, dando l’impressione al giocatore di trovarsi sempre in mezzo a qualcosa di sconosciuto ma sicuramente più grande di lui; si ha l’illusione di rappresentare un’importante pedina nella partita che deciderà le sorti dell’umanità, una pedina che sa non dove e come muoversi, che, a causa di alcuni colpi di scena ben studiati, vede sgretolarsi certezze e alleanze.
Tutto questo si concretizza in un finale multiplo, che dà al giocatore la possibilità di schierarsi con quattro differenti fazioni in modo da ottenere un futuro diverso per l’intera umanità. Sebbene il finale multiplo sia una buona trovata, questo non viene in alcun modo influenzato dalle scelte fatte precedentemente dal giocatore; per esempio l’opporsi per tutta la durata del gioco ad una fazione non pregiudica la possibilità di terminare il gioco in modo favorevole per questa, contraddicendo in tal modo tutta la condotta precedente.
Nonostante la possibilità di scegliere come risolvere, ma soprattutto in favore di chi risolvere le quest (cosa che però perde un po’ di significato per i motivi elencati poco fa), e nonostante il finale multiplo, il gioco ha una struttura sostanzialmente lineare, poco incline a concedere al giocatore una totale libertà d’azione. La cosa non deve stupire, del resto sappiamo tutti quanto una trama forte poco si sposi con una libertà alla Morrowind, resta però l’impressione di trovarsi in ambientazioni che potrebbero concedere molta più interazione (basti pensare che a parte i venditori di contrabbando non ci sono negozi o altri punti in cui acquistare equipaggiamento), e che invece si riducono ad un ammasso di semplici “hotspot” sui quali agire per dare il via alle quest…
Andando ad analizzare il fattore longevità non c’è molto di cui andar fieri, il gioco risulta decisamente corto (10, 15 ore di gioco al massimo) e presenta un livello di difficoltà mediamente troppo semplice, questo principalmente a causa della facilità con la quale si possono raggiungere i livelli massimi nei biomod essenziali.
Armiamoci (e partiamo)
Le armi presenti nel gioco rientrano un po’ tutte nell’inventario classico presente ormai da anni in qualsiasi gioco di stampo FPS (sparatutto in prima persona); quasi tutte presentano una doppia funzionalità, in alcuni casi indispensabile (come il mirino dell’immancabile fucile da cecchino), in altri divertente (come la possibilità tipica del lanciarazzi di controllare a distanza il colpo sparato), in altri ancora totalmente inutile (come la lampada supplementare della pistola). Tutte invece sono equipaggiabili con alcune modifiche liberamente selezionabili dal giocatore.
Per fare questo è necessario procurarsi gli appositi moduli (reperibili tra i livelli, come ricompensa per una missione completata, oppure acquistabili al mercato nero), la cui installazione provoca l’irrevocabile eliminazione di uno dei due alloggiamenti previsti su ciascuna arma; tra queste modifiche vi è l’aumento del numero di colpi per caricatore, la possibilità di infliggere danni elettromagnetici (utili per disabilitare torrette, telecamere o robot), l’uso di proiettili a frammentazione, la possibilità di abbattere vetrate senza provocare rumore, incremento del danno, incremento del raggio d’azione dell’arma, aumento del rate of fire (ovvero il numero di colpi sparati al secondo) ed infine la possibilità di rendere l’arma pressoché silenziosa.
L’inventario bellico permette di utilizzare, coltelli, pistole in grado di lanciare dardi stordenti o di stordire con una scossa elettrica, pistole standard, fucili a pompa, mitragliette, fucili da cecchino, lanciarazzi, spade energetiche e un’ultima arma che evito di citare per non dover spoilerare.
Sebbene l’arma indubbiamente più conveniente sia il fucile da cecchino, vi troverete spesso a provare alternative a quest’ultimo; a parte la pistola a dardi narcotici (totalmente inutile), le altre armi si lasciano utilizzare con piacere, specialmente se avrete l’accortezza di affrontare i combattimenti con approcci sempre diversi.
Un aspetto che però non può che lasciare perplessi è il fatto che le munizioni siano UNIVERSALI: la più banale delle pistole ha le stesse munizioni di un lanciarazzi, idem per la pistola a dardi stordenti. Gli sviluppatori hanno asserito di aver operato questa scelta per rendere più semplice il gioco.
Commento finale
Se Deus Ex Invisible War non fosse il seguito di uno dei più grandi titoli di tutti i tempi e non avessimo tutti maturato grandi aspettative potrebbe essere considerato un ottimo titolo, con una trama avvincente, un’atmosfera curata e una realizzazione tecnica all’avanguardia.
La realtà dei fatti però è che il gioco è sicuramente divertente ma mostra diverse lacune, alcune addirittura inspiegabili (come le munizioni universali); gli aspetti tipici del genere RPG sono pressoché irriconoscibili, alcuni addirittura presenti nel primo episodio e scomparsi in quest'ultimo, la longevità è limitata e i personaggi che fanno da contorno alle vicende (siano essi alleati o avversari) sembrano dotati di un'intelligenza artificiale insufficiente per un gioco di questo livello.
Concludiamo quindi assegnandogli un sette e mezzo, che andrebbe diminuito di almeno un punto se foste degli amanti dei giochi di ruolo, perchè in Deus Ex Invisibile War di RPG è rimasto ben poco.
- Pro
- Trama e atmosfera curate
- Graficamente notevole
- Contro
- Interazione e intelligenza artificiale limitate
- Caratterizzazione del personaggio praticamente inesistente
Tecnicamente parlando
L’engine grafico utilizzato è quello utilizzato da Epic per l’ultima versione di Unreal Tournament, un motore già di suo dotato di enormi potenzialità. Non contenti di tutto questo alla Ion Storm hanno pesantemente messo mano al codice modificando alcune delle sue funzionalità.
Il risultato, almeno dal punto di vista estetico è notevole, DEIW si distacca completamente dal predecessore e da tutti gli altri crpg attualmente usciti sul mercato, proponendo un mondo graficamente fantastico anche se abbastanza atipico per gli occhi di un comune videogiocatore.
DEIW offre un’esperienza visiva diversa rispetto ai videogiochi che siamo stati abituati ad osservare, pieno di luci e ombre dinamiche, con un dettaglio delle texture e superfici semplicemente... vere!
Il reparto audio svolge il suo lavoro più che onestamente, gli effetti sonori sono molto buoni, sfiorando la perfezione nel doppiaggio (ricordiamo che i dialoghi sono TUTTI accompagnati dalle voci dei protagonisti), un plauso particolare va alle voci dei robot, elaborate in modo veramente esemplare.
I requisiti minimi prevedono un processore ad almeno 1 GHz, 128 MB di ram, 1,9 GB di spazio su hard disk e una scheda video da 32 MB compatibile directx 8.1; ovviamente tale configurazione è sufficiente a stento ad installare il gioco e a farlo partire, è necessario ben altro per godere pienamente dell’ultima opera targata Ion Storm, una configurazione ben più realistica prevede un processore ad almeno 1.5 GHz, 256 MB di ram, 1,9 GB di spazio su hard disk e una scheda video GeForce 3 Ti500 o Radeon 8500, equipaggiata con almeno 64 MB di ram.