Deck Nine non è estranea alla serie di Life is Strange. Nel 2017 è stato pubblicato lo spin off Life is Strange: Before the Storm, al quale ha lavorato proprio lo studio statunitense, dimostrandosi in grado di gestire una narrazione improntata su fatti e personaggi che non gli appartenevano. Sebbene inedita, si trattava comunque di una storia che avrebbe raccontato il passato di Chloe Price e Rachel Amber, due personaggi chiave dell'originale Life is Strange. Non è mai semplice andare a lavorare su qualcosa che non si è pensato in prima persona, ma gli sviluppatori hanno saputo presentarci un gioco piacevole e fedele a quanto fatto da Dontnod.
A distanza di qualche anno, Deck Nine ha avuto un altro compito non esattamente semplice, ossia prendere le redini della serie dopo un non proprio brillante Life is Strange 2 - e Tell Me Why, basato sullo stesso concetto di protagonisti fuori dal comune.
Life is Strange: True Colors è il risultato dei loro sforzi. Un'esperienza molto più intima delle precedenti perché va a toccare il delicatissimo tema delle emozioni ma, soprattutto, un gioco che è riuscito a seguire in maniera fedele la strada tracciata da Dontnod con Life is Strange e dalla quale poi gli stessi autori hanno deviato in favore di capitoli sorretti da temi sociali e null'altro.
La recensione di Life is Strange: True Colors ci consente di scoprire il gioco nella sua versione PS5.
Il peso delle emozioni altrui
Il problema che emerge sempre durante le recensioni di questo genere di giochi, e con Life is Strange: True Colors in particolare, è sempre lo stesso: come raccontare un videogioco narrativo che, alla fine, altro non è se non un viaggio introspettivo costruito in base al singolo giocatore? Come spiegarvi quanto e perché ci abbia colpito la costruzione di personaggi e scene, senza poter entrare nel dettaglio? O in che modo ci siamo sentiti vicini a una situazione, della quale per rispetto nei vostri confronti non parleremo? Semplice, non si può. Non possiamo accompagnarvi nel nucleo di Life is Strange: True Colors, nell'essenza che ci ha catturato portandoci ad apprezzarlo tanto, ma sul viaggio, quello sì, qualche parola possiamo spenderla. Di Alex e nostro, perché, pur essendo un personaggio con una propria, ben definita personalità, Alex ci invita nel suo mondo: a vestire i suoi panni, a controllare un potere che deve renderci onnipotenti e invece ci mette in ginocchio, perché non esiste nulla di più intimo, instabile e pericoloso dell'animo umano.
Cosa fare quando, inconsapevolmente, le persone sono tutte sul palmo della nostra mano? Quando i loro segreti, le emozioni, i pensieri più intimi sono lì, pronti per essere sfogliati? Ecco, l'avventura di Alex a Haven Springs ci ha insegnato soprattutto questo: il valore e il rispetto delle emozioni, persino quando alcune scelte paiono facili, ovvie, scontate - giuste. Giusto e corretto, però, non vanno sempre di pari passo e messi di fronte alle ingiustizie della vita, spesso la scelta migliore è semplicemente accettarlo. Deck Nine ce lo sbatte in faccia: la giustizia è solo un'aspettativa destinata a restare disattesa, oppure una vendetta cui si decide di assegnare un valore più nobile e alto. Possiamo inseguirla e concretizzarla, manipolando gli altri a nostro favore? Certo, l'importante è convivere con le inevitabili conseguenze.
Viaggio a Haven Springs
Alex Chen non è una ragazza come tutte le altre. Fin da piccola è affetta da una maledizione: percepire le emozioni altrui al punto tale da esserne condizionata a sua volta, qualora si dimostrino troppo forti da sopportare. Immaginate cosa possa significare per una persona orfana fin da ragazzina, avere a che fare con sé stessa, ma soprattutto con il peso delle emozioni altrui. Alex ha trascorso un decennio passando da una casa all'altra, da una famiglia all'altra, senza mai trovare il suo posto nel mondo. Almeno finché il fratello maggiore Gabe riesce a contattarla e la invita nella pacifica, ridente Haven Springs: una cittadina immersa nel verde, dove tutti conoscono tutti, in cui poter ricominciare - o forse sarebbe meglio dire cominciare, perché una vita vera e propria Alex non l'ha ancora avuta. I suoi poteri la assillano, tuttavia la presenza di Gabe e la benevolenza degli abitanti fanno breccia fin subito: almeno finché un incidente provoca la morte di Gabe, conducendo Alex verso un nuovo, personale inferno.
Rifiutando di arrendersi all'evidenza, ovvero che possa davvero essere stato un tragico incidente, Alex darà tutta sé stessa per scoprire la verità, sfruttando i suoi poteri e trovandosi nella difficile situazione di decidere se chiedere aiuto a qualcuno e dunque rivelare questa parte di sé. I cinque capitoli in cui si divide il gioco godono quasi tutti di un'ottima scrittura, a dispetto della semplicità della trama, perché è la costruzione dei personaggi a rendere realistica la quotidianità di Haven Springs: nonostante la presenza del paranormale dettato dai poteri di Alex, non sono questi il fulcro delle vicende. Sono un mezzo per esplorare lei stessa e chi la circonda, mettendoci nelle condizioni di scoprire i segreti degli altri e decidere cosa farne. C'è la tragedia, sì, ma c'è anche la consapevolezza che la vita va avanti persino quando chi amiamo non c'è più. È qui il bello di Life is Strange: True Colors, nella capacità di dipingere scene reali, plausibili, che nel loro evitare di soffermarsi esclusivamente sul lutto non stonano affatto.
Alex insegue la sua fame di giustizia, sempre, e al tempo stesso è una ragazza di ventun anni che da tempo non conosce la serenità di una vita normale. Per questo è semplice empatizzare con lei e con ciò che la circonda. In un climax fatto di serietà e spensieratezza, che solo nelle battute finali scivola e si sporca, accelerando alcuni passaggi, quello di Alex a Haven Springs è uno spaccato realistico dove ognuno cerca di venire a patti con le proprie emozioni - la paura, la sofferenza, la preoccupazione, il rimpianto, ignaro che noi siamo sempre un passo avanti. La nostra supposta onnipotenza è però la debolezza peggiore.
Un gameplay capace di sorprendere
In termini di gameplay, Life is Strange: True Colors si mantiene sulla strada tracciata in precedenza: ci si muove liberamente per Haven Springs, si utilizzano i poteri per sondare le emozioni della gente ed eventualmente fare qualcosa per loro, si va alla ricerca di oggetti che conservano la memoria di chi li ha maneggiati a loro tempo - un escamotage piacevole per approfondire la storia della cittadina e dei suoi abitanti. Tutte cose che abbiamo già visto, una formula che data la natura del gioco non ha senso cambiare.
Ciò non significa però che Deck Nine sia davvero rimasta con le mani in mano e c'è un punto specifico del gioco, un intero capitolo anzi, che tocca il picco sia a livello narrativo sia per il gameplay che offre: gli sviluppatori l'hanno costruito attorno a un unico concetto, arrivando a mescolare due generi completamente diversi. Non vi diciamo nient'altro, ma siamo rimasti sorpresi e genuinamente divertiti da come siano riusciti a implementare un genere in un altro senza farlo sembrare forzato.
Anzi, a onor del vero saremmo rimasti delusi se non l'avessero fatto, date le premesse narrative: eppure sono comunque riusciti a sorprenderci sul finale, creando il giusto contesto per farci prendere respiro e riprendere poi la storia seguendo il normale flusso del gameplay. Life is Strange: True Colors resta un'avventura narrativa, accompagnata tutt'al più da un paio di minigiochi nella forma di arcade rétro, ma quella pennellata di colore inaspettata è ciò che lo rende unico rispetto ai videogiochi precedenti.
Proprio come in passato, Alex può prendere decisioni che andranno a cambiare drasticamente la narrazione ma in questo caso, in virtù dei suoi poteri, si aggiunge la meccanica della Nova: sono così chiamate quelle emozioni talmente potenti da trasformare il mondo attorno e permettere ad Alex di risalire alla natura del trauma, aiutando a superarlo. In rarissimi casi, è persino possibile assorbire l'emozione che sta corrodendo la persona in questione, andando ancora una volta ad agire sulla storia e le sue conseguenze. Se da un lato queste occasioni sono davvero sparute, dall'altro è anche comprensibile lo siano, sia per il numero dei personaggi coinvolti nelle vicende, sia per la natura delle loro emozioni. Per non citare il fatto che, assorbendole, Alex diventa una sorta di bomba a orologeria e questo avrebbe comportato una gestione incoerente del personaggio e di una probabile schizofrenia emotiva. Gli sviluppatori hanno giocato con cautela la carta, ma nel complesso non si sente debole come potrebbe sembrare.
Comparto tecnico
Grazie alla performance capture, Life is Strange: True Colors risulta esteticamente il prodotto migliore della serie. I personaggi godono finalmente di un'espressività genuina e convincente, capace di parlare per loro, lasciando spesso ai gesti e alle espressioni il compito di caratterizzarli e convogliare il loro stato d'animo: l'incapacità di Alex di relazionarsi con gli altri viene dettata dal suo sguardo a volte sfuggente, da occasionali tic alle mani; Steph (ripresa da Life is Strange: Before the Storm) è irruenta e sfacciata, atteggiamenti perfettamente leggibili osservandola con attenzione. Ciascuno dei personaggi ha dei tratti che la sua prossemica esprime, più o meno chiaramente, permettendo al gioco di dar vita a un cast convincente e diversificato. I personaggi di contorno non godono della stessa cura ma non ci è capitato di vederne uno uguale all'altro e persino quei pochi con cui interagiamo per svelarne le emozioni riescono a spiccare nel loro piccolo.
C'è poi la colonna sonora, pilastro portante dei Life is Strange che negli ultimi lavori di Dontnod si era andata a perdere e qui ritorna in grande stile: nessuna traccia è mai davvero fuori posto, che sia di trama o legata a quei momenti di pausa che Alex può prendersi per riflettere su se stessa e cosa la circonda.
Conclusioni
Life is Strange: True Colors è la prova che i ragazzi di Deck Nine si meritavano tutta la fiducia che abbiamo riposto in loro. Questo nuovo capitolo, staccato dai precedenti se non per la presenza di Steph, ripresa da Before the Storm e qui ammantata di un ruolo più importante, non commette l'errore di Life is Strange 2 e Tell Me Why: non c'è alcun tema sociale da inseguire, nessun aspetto del personaggio da stressare perché è il tema importante del momento. Abbiamo una storia semplice nel suo intreccio, in sporadici casi prevedibile e che nel finale presta il fianco a dei piccoli inciampi, valorizzata da una caratterizzazione dei personaggi realistica e convincente nel bene come nel male: ci sono personaggi pavidi, arroganti, stupidi, coraggiosi, fragili, estroversi, egoisti e tutti funzionano. Il fatto che un personaggio possa essere negativo non significa che sia scritto male e in questo Deck Nine riesce, proponendo un cast ben diversificato che non risulta fuori posto nel piccolo contesto di Haven Springs. Dal punto di vista del gameplay, pur non cambiando significativamente la formula, si prende una libertà molto particolare che risulta azzeccatissima e divertente. Forte di un comparto tecnico che lo rende il migliore della serie, Life is Strange: True Colors riprende e migliora la strada tracciata da Dontnod con il capitolo originale.
PRO
- Cast ben scritto e caratterizzato
- Tecnicamente il migliore della serie
- Colonna sonora ancora una volta azzeccata
- Il concept delle emozioni lega bene narrazione e gameplay
CONTRO
- Alcuni passaggi di trama sono prevedibili e sul finale ci sono degli inciampi