La storia dei videogiochi è stata interamente costruita sull'ispirazione, in certi casi anche sulla copia in senso stretto: a tal proposito, fa riflettere che la nascita stessa del videogioco come oggetto commerciale, nella forma di Computer Space prima e di Pong poi, coincida proprio con la messa in atto di operazioni di questo genere. Anche oltrepassando il confine dei casi limite, pescando a piene mani dai più grandi capolavori del medium, è fuori di dubbio che siano state proprio le influenze a traghettare l'industria fino alla sua forma contemporanea: non esiste Castlevania: Symphony of the Night senza Metroid, non esiste Super Metroid senza Xanadu, e questo è solamente un esempio pescato a caso nell'oceano di produzioni che si possono facilmente ricondurre a progenitori comuni.
Tuttavia, accanto a queste fattispecie se ne incontrano altre che hanno scatenato alcune delle peggiori crisi di tutti i tempi, radicate proprio nell'emersione di progetti "low-effort low-quality" nati al solo scopo di monetizzare formule dal comprovato successo, come accaduto durante l'escalation che a partire dalla fine degli anni '70 ha infine condotto al crollo di Atari nel 1983. Da quel momento in avanti il rapporto del pubblico con le influenze è profondamente mutato, generando ondate d'ilarità al cospetto delle copie più esplicite e ammantando il pubblico in un sentimento di sfiducia di fronte alla clonazione di una formula nota. Oggi, tuttavia, le cose stanno cambiando ancora una volta e c'è chi sembra averne preso coscienza molto rapidamente: nel mondo dei videogiochi sta per iniziare una sorta di guerra dei cloni?
Il caso Palworld
Palworld di Pocketpair non è assolutamente il capostipite né il massimo esponente di questa deriva, anzi, ma è stato il videogioco in grado di scatenare la discussione più rumorosa, probabilmente in ragione del brand che aveva scelto di mettere nel mirino, ovvero quello di Pokémon. In realtà è evidente che la matrice creativa inseguita dagli sviluppatori giapponesi fosse decisamente più vicina a quella di opere come Ark: Survival Evolved, ma la definizione di "Pokémon con le armi" ha finito per garantirgli una visibilità totalmente aliena alle sue dimensioni. Fra l'altro si è tradotta in una frattura sulle sponde del pubblico: mentre da una parte gli appassionati del marchio Nintendo, nel tentativo di difenderlo, hanno finito per porre il rivale su un piedistallo, dall'altra i detrattori hanno immediatamente dimostrato tutto il proprio interesse verso "un Pokémon finalmente fatto bene", per parafrasare il commento più diffuso dell'epoca.
Quale che fosse la visione sposata, i risultati hanno dato piena ragione alle scelte di Pocketpair: Palworld ha conosciuto un'inaspettata esplosione nel mercato di massa che l'ha portato a radunare oltre 25 milioni di utenti sotto il suo stendardo, numeri che oggi possono apparire come un miraggio persino per la maggior parte delle grandi produzioni AAA. Avendo potuto contare su una gigantesca campagna marketing spontanea e su una formula di gioco coinvolgente quel tanto che bastava per ingabbiare il pubblico di massa nel ciclo di gameplay, è riuscito a monopolizzare per mesi la discussione internazionale.
Inevitabilmente l'exploit di Palworld ha finito per attrarre l'attenzione di due fra i più grandi colossi del mercato per ragioni diametralmente opposte: mentre Nintendo ha infine deciso di portare in tribunale Pocketpair per rispondere allo sfregio inferto a Pokémon, fra l'altro intentando la causa su basi ancora da chiarire che si ipotizza siano legate ad alcuni brevetti, la risposta decisamente più interessante è stata quella di Tencent, che ha scelto di investire una grande somma di denaro nella produzione di videogiochi filosoficamente simili a Palworld. Un traguardo di 25 milioni di utenti da parte di un'opera semi-indipendente non è qualcosa a cui si assiste tutti i giorni, e la multinazionale cinese ha sempre concentrato il massimo degli sforzi nell'inseguimento di nuove nicchie di pubblico.
Da quell'istante sono trascorsi appena otto mesi eppure Tencent è già stata in grado di presentare Light of Motiram, quello che nel corso degli ultimi giorni è salito agli onori della cronaca come il "clone di Horizon". Ed è proprio qui che nasce il cortocircuito: se Pocketpair - colpevolmente o meno - ha sfruttato la spinta garantita dalla vicinanza ad altri progetti rimanendo uno studio pressoché indipendente, gli sviluppatori di Polaris Quest sono solo la prima costola di un colosso fra i publisher che, dopo aver compreso i mutamenti nelle dinamiche del pubblico, sembra mirare a trasformare questo genere di produzioni in un "sistema" rodato. Non deve stupire, a tal proposito, che proprio Pocketpair abbia accusato Tencent di aver copiato il suo videogioco.
Il contesto
L'ispirazione è la migliore amica dell'evoluzione ed è uno fra gli elementi che più hanno contribuito a elevare l'asticella creativa del medium: senza Rogue non sarebbero arrivati i roguelike, senza i roguelike non avremmo conosciuto quell'ulteriore diramazione che oggi siamo abituati a definire roguelite, e via dicendo. Insomma, da che mondo è mondo i videogiochi s'influenzano l'uno con l'altro e non è per nulla raro riscontrare anche nel mercato dei titoli AAA opere seminali che finiscono per tracciare un sentiero dorato: non è certo un caso che dopo l'avvento di The Witcher 3: Wild Hunt la saga di Assassin's Creed abbia cambiato parte delle sue regole, o ancora che sia emersa la deriva di Horizon Zero Dawn.
Avendo conosciuto l'emersione di diverse formule inedite, l'ottava generazione di console in questo senso ha fatto scuola: c'è stata l'esplosione degli hero shooter, quella dei battle royale, quella degli sparatutto in mondo condiviso, quella dei survival. E questa lezione si è riflessa anche nel sottobosco indipendente, specialmente nel corso degli ultimi anni: mentre da una parte studi come Grinding Gear Games s'impegnavano per elevare formule ormai in decadenza come quella di Diablo, sullo sfondo accadeva anche che il successo di Among Us portasse all'emersione di migliaia di cloni, cosa che recentemente è successa anche a Vampire Survivors.
Nei confini di un mercato che - solo su Steam - mette sul piatto oltre 14.000 produzioni ogni anno, è del tutto ragionevole che gli studi indipendenti mettano al centro del mirino le formule di maggior successo. Ma quel marchingegno comincia a scricchiolare quando a entrare negli stessi meccanismi sono i grandi studi di sviluppo: durante la scorsa estate, per fare un esempio casuale, League of Legends ha integrato la modalità Sciame basata sull'ispirazione single-stick shooter di Vampire Survivors al fine di capitalizzare sull'idea di Poncle. E finché sono studi come Chasing Carrots a produrre opere come Halls of Torment è molto difficile voler percepire la stonatura, ma quando a entrare nel meccanismo sono colossi come Riot Games o Tencent squilla un primo campanello d'allarme.
Tracciare una linea netta tra "copia" e "ispirazione" sta diventando sempre più difficile, ma a star cambiando è anche e soprattutto una fetta del pubblico di massa che - giustamente o meno - non si pone alcun problema di sorta al di fuori del divertimento garantito dal videogioco, di fatto accogliendo a braccia aperte produzioni a basso sforzo. Le potenziali storture alla base di Palworld hanno fatto scuola, come confermato direttamente da Pocketpair: "Tencent sta già sviluppando un clone di Palworld e in Cina varie compagnie stanno sviluppando contemporaneamente diversi cloni di Palworld per piattaforme mobile", ha dichiarato all'inizio dell'anno il CEO Takuro Mizobe. All'epoca non era chiaro a cosa si riferisse, ora è evidente che parlasse di Light of Motiram, che è già riuscito a dividere gli appassionati fra chi si dice estremamente interessato, e ci vede addirittura un miglioramento delle formule di Horizon e di Ark, e chi invece lo percepisce come una copia non degna d'attenzione.
Light of Motiram e il sistema Tencent
Nel mese di marzo, prima delle dichiarazioni di Mizobe, Bloomberg aveva scoperto che Tencent stava mettendo in produzione diversi titoli ispirati a Palworld: oggi, otto mesi più tardi, Light of Motiram è stato presentato ufficialmente e il sentiero che gli si sta tracciando di fronte ricorda molto da vicino quello dell'operazione di Pocketpair. La natura di clone di Horizon gli ha concesso una visibilità fuori dal comune, indubbiamente porterà tantissimi giocatori a dargli un'opportunità, mentre la struttura stessa del videogioco ricalca uno a uno quella che Palworld aveva a sua volta mutuato da Ark.
La questione curiosa è che mentre Pocketpair ha finito per inimicarsi Nintendo - nota per essere una società molto gelosa delle sue proprietà intellettuali - Tencent ha annunciato al mondo il titolo di Polaris Quest attraverso i canali ufficiali di PlayStation, che è la detentrice del brand di Horizon e che per il momento sembra più che felice d'ospitarne il clone sulla sua piattaforma al fine di ottenere la consueta fetta del 30% dei ricavi.
Sulla carta è un'operazione da manuale: si ricalcano pedissequamente l'estetica e l'ispirazione da un mondo consolidato come quello di Aloy, si scommette sull'elemento "scandalistico" per mettere il progetto sulla bocca di tutti, infine si pesca l'intero tessuto delle meccaniche da un progetto indipendente che ha già dimostrato di saper coinvolgere 25 milioni di utenti, impacchettando il tutto in un ecosistema cross-play pronto a debuttare su tutte le principali piattaforme fisse e mobili.
Se si dovesse trattare di un caso isolato il problema risulterebbe marginale, ma se un'impresa colossale come Tencent dovesse decidere di trasformare operazioni di questo genere in un sistema efficace e facilmente riproducibile potremmo trovarci al cospetto dell'inizio di una nuova era per i videogiochi. Un'era legata a dinamiche che fino a questo momento riuscivano a funzionare prevalentemente in un mercato poco esigente e formato come quello mobile, quelle consuetudini che fino a qualche anno fa venivano sistematicamente rigettate dall'ecosistema PC e Console, ma che oggi sembrano riuscite ad aprirsi uno spiraglio.
Sta davvero iniziando una guerra dei cloni?
A questo punto viene effettivamente da chiedersi dove sia da tracciare la linea fra l'ispirazione e la copia, fra lo sfruttamento positivo di un'idea preesistente e un approccio tendenzialmente predatorio al videogioco che si sceglie come modello, e trovare una risposta non è affatto un compito facile. Bisogna guardare alla dimensione economica delle aziende coinvolte o esclusivamente all'apparato creativo? Come accennato nell'introduzione, queste pratiche hanno scritto l'interezza della storia dei videogiochi tanto nel bene quanto nel male, e nel momento in cui la loro estremizzazione ha iniziato a dimostrarsi problematica era ormai troppo tardi per correre ai ripari.
La seconda azienda leader del mercato dei videogiochi ha preso coscienza della nuova apertura del pubblico nei confronti dei "cloni", dunque potrebbe puntare su un'inondazione di prodotti a basso rischio, catturando l'attenzione attraverso estetiche e formule già di per sé efficaci, mutuate dai big quanto dal sottobosco indipendente. Inoltre, per quanto l'attacco di Nintendo a Pocketpair possa apparire sproporzionato dato che dettagli e motivi della denuncia sono ancora poco chiari, assistere a una PlayStation tanto passiva nell'accoglienza dell'imitazione di Horizon pare ugualmente disorientante. Se da una parte è evidente che l'industria viva una condizione in cui è estremamente difficile e rischioso dimostrarsi innovativi e in qualche misura questo discorso sia applicabile a diversi strati del mercato, dall'altra l'esperienza racconta che è molto difficile non incappare in conseguenze negative.