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Perché Death Stranding è un videogioco importante (e perché lo sarà anche Death Stranding 2: On the Beach)

Due videogiochi che raccontano l'eterno presente della condizione umana, la contemporaneità e la forza di guardare al di là dei dubbi che la Storia ci impone.

SPECIALE di Fabio Di Felice   —   11/03/2025
Sam Porter Bridges e Louise, due dei personaggi chiave di Death Stranding 2: On the Beach
Death Stranding
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Wuhan è una città cinese della provincia di Hubei che, con ogni probabilità, molti di noi non avevano mai sentito nominare prima del 2020. Lo abbiamo fatto la prima volta quando, come in un romanzo di fantascienza, un virus che è partito da lì ha rischiato di portare il mondo sull'orlo della fine. La storia la conoscete già, non c'è bisogno di raccontarla, ma il gancio del COVID ci è utile perché in molti, quando la crisi pandemica ha rallentato la sua corsa spietata e ha cominciato a farci meno paura, hanno indicato Hideo Kojima come un profeta di sventura. Il perché è semplice: il creatore di Metal Gear Solid aveva realizzato un videogioco sul COVID mesi prima che Wuhan finisse sulle pagine di tutti i giornali del mondo.

Chi conosce Hideo Kojima sa che tutto ciò che gli ruota attorno ha una verità superficiale e una più profonda. La prima è quasi sempre una mezza verità, che è un modo colorato per dire che è una bugia. Chiaramente, in questo caso, la bugia è che Kojima sia un profeta e che Death Stranding - il titolo del videogioco in questione - sia un presagio della pandemia da COVID-19.

Death Stranding è stato spesso indicato come un videogioco profetico, in grado di anticipare la pandemia di COVID-19
Death Stranding è stato spesso indicato come un videogioco profetico, in grado di anticipare la pandemia di COVID-19

In realtà Kojima è un eccezionale osservatore dei tempi e nella sua opera aveva solo esasperato delle idiosincrasie che animano la nostra società da tempo: una politica reazionaria sempre più votata alla dissociazione, un'esasperante aggressività nei rapporti umani e un utilizzo sconsiderato dei mezzi di comunicazione di massa. Ovvero, con Death Stranding, Hideo Kojima non parlava del futuro - non avrebbe potuto -, parlava del presente.

L'apocalisse della distanza

Hideo Kojima aveva fatto una magia simile quando, in Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, aveva raccontato della digitalizzazione dell'eredità memetica, ovvero di come le macchine sarebbero state delegate a scegliere al posto dell'essere umano cosa fosse importante sapere e cosa no. Moltissime persone, anni dopo, ci avevano visto una profezia che sapeva di magia nera di ciò che sarebbero stati gli algoritmi dei social network. Era il 2001, Facebook avrebbe aperto i battenti solo qualche anno più tardi. A Kojima però interessava raccontare anche altro: la digitalizzazione dell'identità. Una marea di individui che avevano reso sentimenti, amicizie e rapporti intangibili. Le community come spazi infiniti costruiti su misura, dove ognuno poteva rifugiarsi al sicuro, mentre la distanza tra reale e virtuale si accartocciava come una foglia morta. Com'era facile direzionare la comunicazione in questi luoghi, e quanto era tangibile il pericolo di creare delle casse di risonanza, degli spazi dove le informazioni non venivano mai messe in discussione?

Questo distacco, tra cosa c'è dentro di noi e cosa c'è intorno a noi, è una delle conseguenze più tragiche di un'utopia, quella del web, che anziché connetterci e creare punti d'incontro ha spesso finito per alimentare separazioni incolmabili. Metal Gear Solid 2 ne fu vittima per via dell'emblematico dissenso generato dalla presenza del suo personaggio principale, quel Raiden che era lo specchio di una generazione ormai incapace di separare realtà e finzione. Che abitava piccole bolle sicure, dove la connessione con gli altri è il mezzo per far prevalere il proprio individualismo. È da questo stesso concetto che partiva Death Stranding per raccontare la sua apocalisse: una fine del mondo che era la distanza dagli altri. Un vuoto, una mancanza. Non quella fisica, che Sam Porter Bridges attraversa, passo dopo passo, nel suo viaggio verso Occidente, ma quella emotiva. In una società basata su rapporti interpersonali che transitano attraverso gli oggetti, gli esseri umani devono essere convinti che avranno un vantaggio nel tornare uniti. Nel ricominciare a pensare come una comunità e non come un singolo individuo.

Make Us Whole Again

Death Stranding nasce in un contesto politico ben preciso: Kojima ha dichiarato di essersi ispirato alle aspre discussioni presenti sulla rete, alla polarizzazione, all'ironico paradosso di un mezzo di comunicazione nato per unire che finisce per disunire, ma è anche la Storia ad averlo spinto in una certa direzione.

Nella stanza di Bridget Strand sventola anche la bandiera degli Stati Uniti, nonostante questi non esistano più
Nella stanza di Bridget Strand sventola anche la bandiera degli Stati Uniti, nonostante questi non esistano più

Nel 2016, il popolo del Regno Unito ha espresso la sua volontà di uscire dall'Unione Europea; nel 2017, Donald Trump, il neoeletto presidente degli Stati Uniti, ha tenuto fede a una delle sue promesse elettorali più discusse (e apprezzate da una certa frangia di elettori): costruire un muro che separasse fisicamente gli USA dal Messico. Kojima ha dichiarato di voler far riflettere i videogiocatori su come muri e ponti siano concetti simili: opere umane poste al confine tra due luoghi; i primi, però, servono a dividere, i secondi a unire.

Per questo motivo, Kojima ha recuperato i suddetti avvenimenti storici, li ha inseriti all'interno del suo videogioco (è possibile leggere delle e-mail dal terminale della stanza di Sam, dove viene fatto esplicito riferimento al muro di Trump), e ha perfino reinterpretato il MAGA, il Make America Great Again, lo slogan utilizzato da Ronald Reagan negli anni '80, poi riciclato da Trump per la campagna elettorale che lo ha visto trionfare. Birdget Strand, lo chiede a Sam: rendici di nuovo uniti, "make us whole again".

In Death Stranding esistono le UCA: United Cities of America
In Death Stranding esistono le UCA: United Cities of America

Tutto Death Stranding è un viaggio attraverso degli Stati Uniti da riunire, ma soprattutto è un viaggio all'interno di Sam Porter Bridges in quanto essere umano: un uomo che non ha legami, che ha paura del contatto con gli altri, che all'inizio dell'avventura è solo un ingranaggio in un sistema che si regge letteralmente sulle sue spalle. Sam acquista consapevolezza della sua umanità riconnettendosi alle persone, cercando negli altri quell'apertura che gli è stata preclusa nella società dov'è cresciuto: un mondo di legami spezzati, un mondo che è a metà tra quello dei vivi e quello dei morti. Dove bisogna sbarazzarsi in fretta del passato, dei corpi di coloro che abbiamo amato. Nel suo desolante panorama post-apocalittico, Death Stranding è in realtà un viaggio utopico dove i due strumenti che da sempre abitano le storie dell'essere umano - la corda per unire, il bastone per punire - vedono prevalere il primo. Dobbiamo riconnetterci, ci dice il videogioco di Hideo Kojima. È solo in un abbraccio che troviamo la forza di opporci al destino che ci vuole finiti.

Sei anni dopo la fine del mondo

Sei anni dopo, Hideo Kojima torna a raccontare il mondo di Death Stranding in un contesto molto differente da quello in cui è uscito il primo videogioco. Death Stranding 2: On the Beach è già prossimo all'arrivo, e in questi giorni ne abbiamo visto un generoso assaggio attraverso l'ultimo trailer che ci anticipa alcune delle tematiche che verranno affrontate.

È un mondo diverso, quello di Death Stranding 2, per certi versi ancora più ostile
È un mondo diverso, quello di Death Stranding 2, per certi versi ancora più ostile

Il mondo in cui arriva Death Stranding 2 è un posto ancora più lugubre e spaventoso di prima: la pandemia ci ha illuso che nell'orrore della morte avremmo trovato un fronte comune, ma una volta superato il baratro le cose sono precipitate. Abbiamo una guerra in corso tra Russia e Ucraina che sta spaccando l'Europa; gli scontri in Palestina sono più feroci e insanabili che mai; Donald Trump è tornato alla presidenza degli USA, e con lui certe immagini spaventose di uomini e donne messicani in catene accusati di essere immigrati illegali.

Non è un caso che il nuovo trailer di Kojima si apra proprio con parole simili: "lei è accusato di essere entrato illegalmente nel nostro Paese innumerevoli volte". Il rimprovero è rivolto a Neil, il personaggio interpretato da Luca Marinelli. Un trafficante di esseri umani. Esseri umani che provengono dal Messico. Ancora una volta, la realtà e il virtuale si parlano.

Luca Marinelli interpreta Neil, un trafficante di esseri umani, che trasporta madri esanimi direttamente dal Messico
Luca Marinelli interpreta Neil, un trafficante di esseri umani, che trasporta madri esanimi direttamente dal Messico

La dimensione politica di Death Stranding 2 sembra, se possibile, ancora più marcata di quella del primo capitolo. Lo è perché la scala è maggiore e lo è perché ci troviamo in tempi dove la politica mondiale si è spostata con prepotenza verso le frange più estreme. "Gli Stati Uniti avevano una grande cultura delle armi da fuoco", afferma Neil alla fine del trailer - mentre indossa una bandana che sembra richiamare il guerriero filosofo che è stato Solid Snake. "Un pensiero che sembra essersi diffuso in questo continente: più cerchiamo di riunire le persone con delle corde metaforiche, più i bastoni diventano essenziali". Il rapporto di forza che abbiamo faticosamente conquistato in Death Stranding sembra ribaltarsi. Non è più la corda lo strumento inteso a salvare l'umanità, ma il bastone. Nel trailer vediamo Sam imbracciare il fucile in più di un'occasione; ingaggiare scontri a fuoco con altri esseri umani armati fino ai denti. L'abbraccio di Fragile per salvare Louise sembra invece inutile. D'un tratto quella salvezza che avevamo trovato nel contatto con gli altri ci appare puerile.

Non ci saremmo dovuti connettere

È lugubre anche l'affermazione che Death Stranding 2 fa nel corso del trailer, e che è stata scelta un po' come claim dell'intera opera: non ci saremmo dovuti connettere. Un'immagine speculare del messaggio speranzoso che animava il primo capitolo. Sembrano quindi venir meno i caratteri utopici di Death Stranding, in favore di una visione più pessimista del genere umano. Laddove il finale del primo videogioco lasciava uno spiraglio di speranza, seppure nel suo fatalismo circa l'estinzione, Death Stranding 2 sembra tornare sui suoi passi e mettere in scena un'umanità che non ha imparato la lezione. Che continuerà a trafficare con i Bridge Baby (un'efficace metafora delle armi nucleari), con le madri esanimi, con le Spiagge, con quel confine tra il regno dei vivi e dei morti che non dovremmo esplorare.

Forse il bastone è davvero più necessario della corda?
Forse il bastone è davvero più necessario della corda?

D'altronde la natura ciclica della Storia è un altro dei grandi temi di Death Stranding. Il nostro esasperato antropocentrismo, l'idea di essere troppo importanti per sparire da questo mondo, nonostante l'evidenza delle estinzioni che ci hanno preceduti. Hideo Kojima ha già dichiarato di aver riscritto da capo la sceneggiatura di Death Stranding 2 dopo la pandemia di COVID-19: era un evento troppo centrale per l'umanità e ha modificato inevitabilmente i nostri concetti di connessione e di distanza, a volte rendendo quest'ultima necessaria. Nelle storie di fantascienza - inclusa quella di Death Stranding - una grande minaccia collettiva è condizione sufficiente per far aprire una volta per tutte gli occhi agli esseri umani: per comprendere quanto sia importante cooperare. Forse quella dell'umanità non sarà una storia a lieto fine, ma il significato ultimo dell'opera di Kojima è che ci è concesso sperarlo. Imparare da questi racconti che ci narrano la profondità dell'abisso e la bellezza della luce a cui possiamo ancora tendere. Della salita che dobbiamo affrontare, con la schiena carica di pacchi, le gambe stanche, il sole negli occhi e le mani che tremano, ma anche della felicità di vedere in lontananza il traguardo. La forza che siamo disposti a tirar fuori, oltre ogni ostacolo, oltre ogni resistenza.