Ricordo ancora quando lo zio del mio amico Fabio ci chiamò a raccolta perché aveva portato una cosa nuova che ci avrebbe stupiti, facendoci cadere gli occhi su di una strana scatola di cui non sapevamo niente. Eravamo cinque bambini, tutti molto piccoli, sui quattro o cinque anni, e di tecnologia ne sapevamo gran poco. Ci riunimmo quindi tutti in salotto senza sapere cosa aspettarci. Quello che all'epoca era un uomo sulla trentina, di cui non ricordo nemmeno il nome, inizio a tirare fuori degli strani oggetti dalla scatola e ad armeggiare con il televisore per collegarli. C'erano fili ovunque, ma niente di troppo interessante. Dopo un po' ci spazientimmo anche, visto che per questo "miracolo" ci stava volendo più tempo del preventivato e sul grosso televisore in bianco e nero che campeggiava sulla stanza, fino a quel momento non era apparso più di un disturbo monocromatico che non ci appassionava nemmeno un po'. Ma ecco che, mentre l'entropia stava per riappropriarsi degli umori del gruppo, qualcosa accadde.
Rimasi letteralmente folgorato da quelle due racchette che si sfidavano a far rimbalzare una pallina da una parte all'altra dello schermo. Erano i primi anni '80, Pong era già vecchio e in realtà la versione che provai era quella di Video Olympics, ma avrei scoperto tutto questo solo molto più tardi, quando iniziai a ricostruire quel momento. Intanto ero lì, più spettatore che giocatore, considerando che non credo riuscii a fare molto altro che girare il paddle della console all'impazzata, incapace di riconoscere il rapporto che c'era tra le mie mosse e quello che accadeva sullo schermo. Da quei giorni non ebbi più grosse esperienze con le console di Atari. Giocai di nuovo a Pong, certo, così come con il tempo ho recuperato molti dei classici di quell'epoca fantastica e primordiale del videogioco. Comunque mi è rimasta sempre addosso una sensazione di non detto, di qualcosa che l'età mi aveva precluso, come di un mistero irrisolto cui avrei potuto accedere solo da quella strana scatola.
Fortunatamente la recensione dell'Atari 2600+ mi ha dato una seconda chance, solo con più di quarant'anni di ritardo.
L’hardware
C'è stato un momento preciso in cui l'incantesimo dell'Atari 2600+ si è rotto facendo apparire la console per quella che è, ossia un cosplay. Non lo diciamo in senso dispregiativo, ma solo per presentare una sensazione essenziale, che riguarda la gran parte delle operazioni vintage degli ultimi anni. Vale comunque la pena di fare ordine tra le emozioni, perché si tratta di un progetto a suo modo interessante, che ci dice in realtà poco su cosa la macchina originale sia stata, ma molto su come funziona il mercato della nostalgia.
Tirata fuori la console dalla confezione abbiamo iniziato a esaminarla in tutta la sua magnifica inattualità. Il design è quello originale del 1977, realizzato dal team di Al Alcorn (uno degli storici ingegneri di Atari Ndr), con il feeling che è davvero simile, sia in termini visivi, con gli inserti in finta radica, le levette posizionate sulla parte superiore, quella più prominente, la forma rettangolare con angoli smussati, sia in termini di gusto, con la lingua che viene carezzata in modo virile dalla ruvida scorza dentro cui è contenuto l'hardware vero e proprio. Pur mosso da un Rockchip 3128 a 1.3 GHz, L'Atari 2600+ ce la mette tutta per trasmettere il tepore di una casa USA degli anni '70 e diventare immediatamente complementare a un grosso televisore con tubo catodico e cassone marrone che sopravvive nella nostra memoria.
Osservandola in penombra sembra quasi il ritratto di un ingegnere della Silicon Valley di quegli anni: pantaloni marroni a costine, baffi neri, maglione con motivo a rombi dai colori autunnali e dei grossi occhiali che ne trasfigurano il volto. Ha anche un po' l'aspetto lascivo delle segrete stanze di Atari durante le feste a base di droghe e sesso organizzate dal fondatore Nolan Bushnell e compagnia, che non è necessariamente in contrasto con il sapore di famiglia di cui sopra. È il contesto a fare tutta la differenza del mondo. Spostare le levette di accensione e spegnimento della console dà ancora quella sensazione di onnipotenza e di promessa messianica che solo chi ha vissuto quell'epoca può ricordare. Era come accendere il futuro e proiettarsi in qualcosa di nuovo e raggiante, ma allo stesso tempo di oscuro e misterioso. Una profezia che apriva le porte a una nuova religione. Qui però già avvertiamo che qualcosa non va, ossia ci sono delle opzioni che ci proiettano fuori dalla vivida allucinazione cui ci siamo abbandonati per testare la console: una levetta reca sopra degli arcani numeri: 16:9, 4:3. Possiamo selezionare le proporzioni dello schermo. Il tubo catodico nella nostra testa inizia a scricchiolare, ma regge quando carezziamo le due prese DB9 dove possiamo collegare i joystick CX40 (in realtà nella confezione ce n'è solo uno, ma è già possibile acquistarne altri), altro oggetto iconico che richiama fatiche erculee per battere anche il più semplice dei giochi.
Comunque sia, Joystick attaccato, console collegata alla corrente ed ecco che arriva la fase finale, quella che spezza l'incantesimo e ci riproietta nel presente. Presa HDMI? Naturale. I vecchi spinotti che servivano per collegare l'Atari 2600 alla TV non esistono più. In fondo stiamo parlando di un'epoca pre-presa SCART, quindi non c'era scelta. Il problema è che collegata la console al nostro televisore ultrapiatto e premuto il tasto di accensione, sullo schermo appare qualcosa di simile, ma molto distante dall'Atari 2600 originale. No, i giochi sono quelli, la grafica è in linea teorica identica, ma gli mancano tutti i difetti tipici aggiunti dal tubo catodico che in qualche modo ne mascheravano i limiti e rendevano più profonda l'immagine nel suo complesso. Davanti agli occhi abbiamo una distesa di colori netti e ben distinti, qualcosa che Adventure di Warren Robinett non è mai stato, se non sui moderni emulatori. Selezioniamo i 4:3, proviamo a passare dai colori al bianco e nero per attutire un po' l'effetto di straniamento che si è appena prodotto nella nostra testa, ma niente. Ormai è fatta, il re è nudo, urla il nostro fanciullino interiore, e non possiamo fare finta di niente. C'è da dire che quanto descritto potrebbe valere per qualsiasi retro console, ma in realtà qui l'effetto è molto più marcato, considerando l'aspetto peculiare dei giochi.
Uncanny Valley della nostalgia
Ecco, il problema principale dell'Atari 2600+ è che ci prova davvero con tutte le sue forze a fare finta di essere una console proveniente dagli anni '70, scontrandosi però con gli effetti di quel tempo che vorrebbe idealmente riavvolgere, tanto da esserne travolta. È come se finisse costantemente in una Uncanny Valley della nostalgia, lì dove si sarebbe potuta presentare come una più propria macchina da emulazione, ma con le fattezze tanto amate dai fan. Ad esempio una delle caratteristiche più vantate della console è quella di riuscire a far girare la maggior parte dei giochi originali della vecchia Atari 2600 su cartuccia, come dimostra anche l'elenco dei titoli compatibili realizzato da Atari stessa dopo numerosi test (lo trovate qui). Bene, è una peculiarità che non potrà che far piacere a chi possiede alcuni giochi dell'epoca e in qualche modo vuole continuare a sfruttarli. Il problema è che Atari 2600+ può far girare solo i giochi su cartuccia dell'Atari 2600 e dell'Atari 7800, dimenticandosi completamente della modernità e del fatto che in fondo sono passati quasi cinquant'anni dal 1977, ossia dall'anno della commercializzazione della console in USA.
Quindi stiamo giocando su di uno schermo OLED, abbiamo collegato la console tramite una presa HDMI; l'alimentatore è collegato tramite un cavo USB-C, ma possiamo usare solo cartucce? Niente schede SD o MicroSD su cui caricare altri giochi? Sarebbe pirateria dite? Male, perché evidentemente non sapete che la memoria dell'Atari 2600 è sopravvissuta in buona parte grazie a una scena amatoriale molto attiva, che continua a produrre titoli in buona quantità per non farla morire. Ad esempio, basta fare una ricerca veloce su itch.io per trovare una conversione di Yume Nikki, un tentativo di convertire Wolfenstein 3D (sono sviluppatori indipendenti, quindi possono permettersi di compiere pazzie simili), una conversione di OutRun e tanti altri software di ottimo livello, la maggior parte dei quali distribuiti gratuitamente in formato emulabile. Perché privare la comunità della possibilità di vedere questi giochi girare sull'hardware reale?
In fondo è anche da questo che è nato il successo di molte mini console, come il TheA500 Mini o il TheC64 che, giochi di default a parte, sono subito state adottate dalle relative comunità che ne hanno enormemente ampliato la portata. Così è un'esperienza più pura, potrebbe pensare qualcuno. Noi la definiremmo più "ottusa", nel suo voler spingere allo stremo sul fattore nostalgia, senza guardarsi minimamente intorno. Certo, la speranza di Atari è quella di vendere qualche nuova cartuccia, ma così facendo ha tarpato un bel po' le ali a quello che, comunque, è un prodotto interessante. Ma stiamo divagando ed è meglio tornare a noi.
Nasce una Stella
Lo sviluppo di Atari 2600 fu iniziato nel 1975, da un team guidato da Al Alcorn, storico nome cui l'industria dei videogiochi deve davvero molto. Conosciuta come Stella durante la lavorazione, montava una CPU MOS 6507 e un processore grafico creato da Jay Miner, chiamato TIA (Television Interface Adaptor). Lanciata nel 1977, non fu la prima console a cartucce ad arrivare sul mercato, visto che fu preceduta dalla VES, poi Channel F di almeno un anno e dalla RCA Studio II di Radio Corporation of America. Fu però la prima a lasciare un segno tangibile, ossia a ottenere un successo tale da riuscire a fondare e rendere stabile il mercato casalingo. In realtà nei primi due anni vendette bene, ma non sfondò. Fu nel 1979 che prese davvero piede diventando un successo enorme, arrivando a vendere più di 30 milioni di unità alla fine del suo ciclo di vita.
I giochi inclusi
Oltre al Joystick e ai cavetti vari, nella confezione si trova una cartuccia con dentro dieci giochi. Per sceglierli non si può usare un selettore a schermo, come verrebbe naturale pensare, ma bisogna sfruttare quattro piccoli interruttori posizionati nella parte posteriore della cartuccia. Tramite le levette della console rimane possibile poi scegliere il livello di difficoltà, le varianti dei giochi (lì dove presenti) e avviare le partite. I dieci giochi inclusi sono: Haunted House, Combat, Yars' Revenge, Dodge 'Em, Maze Craze, Missile Command, Realsports Volleybal, Surround, Adventure e Video Pinball. Sicuramente è interessante e significativa l'inclusione di Combat, un gioco in cui due carri armati si fronteggiano a colpi di cannone, in bundle con la prima edizione della console negli anni '70, così come quella di Surround, una specie di Snake per due giocatori in cui fa punti chi riesce a sopravvivere per più tempo all'allungamento della coda del serpente, che faceva parte del catalogo di lancio. Anche gli altri titoli hanno tutti un grande valore storico e sono stati importantissimi per l'evoluzione del medium. Pensiamo a ciò che ha rappresentato Adventure per i giochi di ruolo d'azione o Haunted House per gli horror, tanto per fare un paio di esempi.
Qui però sorge un altro problema dell'Atari 2600+: nella confezione c'è un solo joystick, ma tre dei dieci giochi inclusi vanno giocati in coppia. Le opzioni a questo punto sono due: comprare un secondo joystick (24,99€), la più fattibile, o sfruttarne uno di quarant'anni fa, se per miracolo ne possedeste uno ancora funzionante. Comunque sia, se siete dei giocatori solitari potete far scendere la quantità di giochi inclusi a sette, oltretutto non presentati in alcun modo (i manuali ci sono, ma vanno scaricati tramite scansione di un codice QR). Per dire, spendendo un terzo della console è possibile acquistare la raccolta Atari 50: The Anniversary Celebration con dentro più di novanta giochi (tra i quali molti di quelli presenti sulla cartuccia in bundle con l'Atari 2600+), tutti perfettamente contestualizzati e raccontati. Ma immaginiamo che il punto non sia "giocare", per un oggetto come l'Atari 2600+, che ha più una natura di feticcio da esporre sull'altare dei ricordi.
Considerate inoltre un altro fattore: parliamo di titoli davvero preistorici. Belli come oggetti di studio, dal valore assoluto enorme, ma che comunque girano a 160x192 pixel, offrono spesso dei sistemi di controllo che vanno tollerati (a essere gentili) e, in buona sostanza, hanno una longevità decisamente bassa, a meno che non ci si riscopra dei patiti delle gare a chi fa più punti.
Nella maggior parte dei casi, potrete davvero mettervi a contare i pixel degli oggetti sullo schermo, tanto sono grossi. Inoltre giocare con il CX40 può rivelarsi davvero faticoso, considerando anche il lag delle risposte della maggior parte dei titoli inclusi (che all'epoca non era una rarità). Diciamo che, in generale, è difficile proporre un gioco dell'Atari 2600 come alternativa a dei prodotti più moderni. Si può essere sicuramente curiosi di ciò che erano, ma immaginiamo che se lo siete, o lo siete stati, abbiate già trovato altro modo di soddisfare il vostro desiderio di scoperta.
Conclusioni
Multiplayer.it
6.0
L'Atari 2600+ risponde a una sola domanda: quella dei possessori della vecchia console che abbiano voglia di sfruttare ancora i loro giochi, non potendolo fare per qualche motivo con l'originale. Purtroppo la natura chiusa della macchina non consente di intercettare tutte le proposte realizzate nel corso degli anni dagli appassionati, con la stessa che si offre più come oggetto di culto, che come modo preferenziale per fare esperienza della softeca dell'Atari 2600 e del marginalissimo 7800. Considerate poi che i giochi inclusi sono davvero pochi, soprattutto se si è da soli e non si ha voglia di acquistare un secondo Joystick. Insomma, è un bel pezzo di arredamento, cui dedicare di tanto in tanto uno scambio di amorosi sensi per ricordare i bei tempi che furono, ma non molto di più e niente che, allo stato attuale, possa essere espanso in qualcos'altro.
PRO
- La console nuda e cruda
- Imita abbastanza bene l'originale
- Compatibile con la maggior parte della softeca originale
CONTRO
- Si poteva aprire di più il sistema per includere la comunità
- Pochi giochi inclusi, alcuni dei quali richiedono una spesa extra per essere fruiti
- Paradossalmente non è il modo per fare l'esperienza più completa dell'Atari 2600