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Donkey Kong Country

Rare abbraccia Nintendo con un platform controverso ma dall'enorme successo: la rinascita dello scimmione è cominciata da qui.

RECENSIONE di La Redazione   —   07/02/2007
Donkey Kong Country
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Original Rare - Seal of Quality

A quel tempo, il gorilla più famoso del mondo era un po' caduto nell'oblìo, dopo aver partecipato da co-protagonista all'esordio assoluto di Super Mario nella storia dei videogiochi. Nintendo decise che il suo ritorno alla ribalta sarebbe dovuto avvenire con un platform realizzato su misura per lui. Da questo punto in avanti il progetto passò interamente nella mani di Rare, la quale decise di dar lustro alle avventure dello scimmione utilizzando una tecnologia grafica pionieristica: fondali e personaggi di questo platform vennero realizzati in RayTracing 3D su workstation Silicon Graphics, a partire da modellini di plastilina. Il risultato furono degli sprite 2D coloratissimi e animati superbamente, corposi al punto tale da sembrare tridimensionali. Un risultato strabiliante considerata l'epoca e l'hardware dello Snes. Un evento in tutti i sensi, gli elogi dalle riviste specializzate si sprecarono; l'indimenticata GamePower riservò al titolo la copertina di dicembre '94, relegando in secondo piano lo speciale sull'imminente lancio giapponese di una certa PlayStation. “Sembra di giocare con un Pentium in SVGA”, commentava Apecar nella recensione, alla voce grafica. Un'affermazione che letta oggi suona come uno sberleffo, ma che allora, con ancora i 486 sulle scrivanie di casa, faceva letteralmente sognare. Il gorillone era tornato, affamato di banane, con intorno una cricca di personaggi spassosissimi, uno dei quali - Diddy Kong - destinato a sfondare. Cento livelli stracolmi di bonus, chicche assortite e trovate grafiche che lasciavano a bocca aperta. Best-seller ancor prima di venire pubblicato, il successo del titolo fu clamoroso. Un platform tosto, che chiuse degnamente l'epoca d'oro del genere 2D. Il 1995 incombeva, l'era dei poligoni e delle texture era alle porte. Portando a termine Donkey Kong Country si avvertiva netta la sensazione di aver chiuso un capitolo fondamentale nella propria storia di videogiocatori. In realtà ci fu spazio per Yoshi's Island, autentico canto del cigno.

Donkey Kong Country
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Se non ha il bollino, che banana è?

Al momento Nintendo ha riservato ai soli europei la possibilità di acquistare Donkey Kong Country dal catalogo della Virtual Console. Al costo di 800 WiiPoints ci si porta a casa un bel platform, molto vasto e longevo, impegnativo (a tratti frustrante se siete arrugginiti), ma non certo un capolavoro. Donkey Kong Country visse gran parte dei suoi successi sull'onda dello splendore tecnico che mise in piedi Rare, oltre che sulla nomea del personaggio. Il rovescio della medaglia è rappresentato da un'interazione fra personaggio e fondali ben lontana dalla precisione pixel-perfect che si apprezza in titoli come Super Mario World o Sonic. La rappresentazione delle piattaforme su cui saltare, degli spigoli, dei barili, degli strapiombi, ecc. è una gioia per gli occhi, ma spesso mette a dura prova i nervi del giocatore, che raramente si sente sicuro di dove mette i piedi. Anche lo scrolling dello schermo non è dei migliori; registicamente parlando lascia troppa “aria” sopra la testa del personaggio, sacrificando la parte inferiore dello schermo, quella più importante, perché dà modo di capire ad ogni balzo dove si va ad atterrare. Shigeru Miyamoto disse che DKC è la prova che i giocatori chiudono un occhio di fronte a un gameplay mediocre, se la grafica è ottima. Prima crepa di un amore appena sbocciato? Un'uscita acidella e un po' sopra le righe, ma non lontana dalla verità e ancora attuale.

Donkey Kong Country
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Questa è la storia di un amore finito. La storia di un rapporto a distanza, e che distanza! 15.000 kilometri: quelli che separano Kyoto da Twycross, paesino nelle campagne di Birmingham, nel pieno cuore dell'Inghilterra. Una relazione iniziata in sordina negli anni '80, sfociata in una passione che ha generato una prole speciale, terminata con l'intrusione di un terzo incomodo. L'inglesina sedotta e abbandonata si chiama Rareware, come avrete già intuito. Nel lontano 1994 la softco britannica, fresca sposa, ricevette l'incarico da Nintendo di rispolverare un personaggio davvero pesante (in tutti i sensi): Donkey Kong. Un segnale di enorme fiducia riposta negli inglesi da parte di Nintendo, che per la prima volta affidava uno dei suoi top-brand ad uno sviluppatore esterno ad EAD. Una pratica divenuta negli anni sempre più comune, e non esente da critiche da parte di chi vede in pericolo gli standard qualitativi a cui Nintendo ci ha abituato.