Ci sono alcuni giochi in grado di mettere seriamente in crisi un redattore, specialmente nel caso in cui si debbano recensire e, quindi, giocare. Questo lavoro può sembrare fantastico, ricordo ancora una battuta letta su una vecchia rivista cartacea, forse Game Power: il giornalista replicava a qualcosa come "ti pagano per divertirti" con "non faccio mica film hard". Ecco, questa sagace freddura mi è tornata insistentemente alla memoria durante le ore trascorse provando Eat Lead.
In un'era in cui il videogame è ormai un prodotto di massa tale da essere realizzato per le più svariate fasce di utenza non ci si sorprende più a trovarsi tra un Giulia Passione e un Hannah Montana, magari con un ambiguo Stormrise a bloccarci l'uscita. Ma quando indietreggiando in cerca di una via di fuga scorgiamo l'atroce copertina di Eat Lead... quello è davvero il momento in cui ci rendiamo conto che i videogiochi talvolta possono anche essere letali. E non ci sono sempre Mario o Chris Redfield a salvarci.
Nemmeno una battuta ti salverà
A suo discapito bisogna dire che Eat Lead, quantomeno, non si prende sul serio: Matt Hazard è infatti il protagonista di una serie di videogiochi che dopo un ottimo successo iniziale è diventata vittima del merchandising facile e del passare degli anni. Ormai ridotto a uno spin-off costante, Matt vive un declino inesorabile... finchè non viene ingaggiato come protagonista per un nuovo action-game. In breve, Matt scopre che a tirare le fila di un mefistofelico piano per assassinarlo è un losco individuo che andrà, naturalmente, scovato e sconfitto. Se vi sembra già ridicola la trama, non avete idea di quanto lo siano le motivazioni del villain di turno. E no, in realtà non esiste nessun videogioco di Matt Hazard... grazie al cielo. Quasi come in un meta-gioco, Matt Hazard è il nostro alter-ego in quello che vuole essere un action-game sulla falsariga di Gears of War o, per volare più bassi, Quantum of Solace: visuale tipica degli sparatutto in terza persona, possibilità di nascondersi dietro a diverse strutture, svariate armi e capacità limitate in corpo a corpo. Praticamente la banalità fatta action-game. La risposta ai comandi del giocatore è lenta e bislacca, lo stesso Hazard deambula per i vari stage quasi come un ubriaco; unica feature interessante è la possibilità di spostarsi da un nascondiglio all'altro premendo un semplice tasto: un modo per semplificare un gioco che, oltretutto, non propone praticamente alcuna sfida. I nemici dimostrano l'intelligenza artificiale di un criceto, restando spesso fermi a fare da bersaglio mentre prendiamo pazientemente la mira per un simpatico headshot, nascondendosi senza criterio dietro a ostacoli più piccoli di loro e attaccandoci seguendo pattern prefissati e veramente poco tattici. Praticamente si procede nascondendosi dietro a un ostacolo e bersagliando da lì i vari nemici in arrivo, sbloccando tra l'altro trofei su trofei: è impressionante la quantità ottenibile in una sola partita, compiendo magari la più banale delle azioni. I problemi sorgono quando procedendo nel gioco il livello di difficoltà subisce un'assurda impennata in corrispondenza delle fasi finali: a quel punto la frustrazione prende il sopravvento e il nostro istinto di conservazione ha fortunatamente la meglio, portandoci a spegnere la console prima di una deleteria crisi isterica.
Perchè soffrire?
Vicious Cycle ha sviluppato Eat Lead e ironia della sorte il nome della softco è già tutto un programma: scherzi a parte, Eat Lead ha decisamente troppe pecche Texture sciatte e poco dettagliate sono appiccicate qui e là senza un benchè minimo senso estetico, in un'accozzaglia di colori surreali che fanno a pugni col presunto realismo di un videogioco nel videogioco. Le ambientazioni sono letteralmente artificiali, dopo aver giocato qualcosa come Killzone 2 su una macchina come PlayStation 3 ci si aspetta decisamente di più, nel 2009, che una manciata di poligoni per dare forma a tavoli, sedie e mobili.
Semplicemente, il 3D di Eat Lead è rimasto al 2005. Non supera il test neanche la modellazione poligonale dei vari personaggi, di una banalità e ripetitività raramente eguagliate in precedenza, animati in maniera non consona: bambolotti viventi che si muovono come controllati da un burattinaio epilettico, la legnosità di certe animazioni strappa inizialmente un sorriso, destinato a diventare una smorfia di disapprovazione. Più o meno l'espressione standard di un giocatore casuale di Eat Lead dopo i primi dieci minuti: non aiuta il doppiaggio, poco convincente e forzatamente ironico, e non aiutano le musiche, trionfo della banalità nella forma di una mezza dozzina di brani riproposti in loop dall'inizio alla fine del gioco. E i caricamenti durano un'eternità: volevamo chiudere la recensione su una nota di colore, perdonateci.
Conclusioni
Eat Lead è il genere di gioco che non consiglieremmo di acquistare nemmeno al più sfegatato appassionato di action-game in terza persona: dell'intero pacchetto si salvano unicamente un'introduzione tutto sommato simpatica e qualche citazione autoironica. Il resto, purtroppo, non ce la fa. Se vi regalano Eat Lead, siate educati: ringraziate con un sorriso, poi bucategli le ruote dell'auto. Rendetegli pan per focaccia, insomma.
PRO
- Ehm... si sbloccano tanti trofei! Yuppi!
CONTRO
- Lo spazio è tiranno: diciamo tutto, e non se ne parla più!