I videogiochi sono un'invenzione meravigliosa. Non solo allietano le nostre ore di svago, ma ci proiettano in mondi fantastici, mettono a dura prova le nostre abilità e spesso osano raccontarci delle storie. Questo speciale intende approfondire proprio il lato narrativo del medium ludico: quali sono gli stimoli che ci portano ad apprezzare un gioco? Il desiderio di scoprire i risvolti della storia o le meccaniche di gameplay? E quanto i due fattori possono prendere il sopravvento senza rovinare l'equilibrio del prodotto? Per cominciare facciamo un passo indietro. I videogiochi hanno sempre amoreggiato sia con il linguaggio cinematografico che con quello più intimamente letterario. Ed è proprio con il cinema che si relazionano i titoli odierni, forieri di impalcature grafiche sempre più maestose e spettacolari. Tuttavia, le differenze tra i due media restano profonde e le influenze sull'utente sensibilmente diverse. Vi siete mai chiesti cosa cambia tra un videogioco e un film? È molto semplice.
Il film rimane indissolubilmente legato al dogma della messa in scena, che relega chi lo guarda a un ruolo esclusivamente passivo. Pensateci un attimo, come mai un attore non guarda mai in camera? Perché se lo facesse comunicherebbe con lo spettatore, distruggendo la sospensione dell'incredulità e conseguentemente il costrutto scenico. Il videogioco è diverso, infrange istantaneamente questo tabù nel momento in cui il giocatore impugna il pad, si esprime attraverso la sua interazione con esso eleggendola come assioma dell'esperienza. In tal senso quindi il videogioco sembra avere più legami col mondo della letteratura, dove anche in questo caso il ruolo del lettore assume connotazioni più attive rispetto al cinema, così come l'inevitabile senso di immedesimazione. La fruizione di un videogioco è piena di contraddizioni. Da una parte l'utente è consumato dal desiderio di interagire col media, di comprendere e poi plasmare le sue meccaniche in base al proprio intelletto, dall'altra le necessità narrative spesso rappresentano una brusca fermata alla frenesia mentale del giocatore, tanto da indurre a saltare eventuali cutscene per tuffarsi nuovamente nei piaceri dell'interazione. Cosa fanno i videogiochi moderni per legittimare tali parentesi fino a renderle quasi parte fondamentale del contenuto? Come si trasforma sostanzialmente il videogiocatore in spettatore, persuadendolo a seguire una storia?
Con il fiato sospeso
Dal lato delle grandi produzioni è impossibile non citare la saga di Mass Effect, sicuramente il fiore all'occhiello per quanto riguarda la convivenza tra meccaniche action e pretese narrative di un certo livello. Alla fine la trilogia di BioWare si allinea alle grandi opere fantascientifiche popolari, ma ciò che stupisce maggiormente di questo prodotto è la scelta di utilizzare soluzioni che modernizzano la filosofia delle vecchie avventure grafiche, alternando una elevata quantità di testo alle scelte multiple offerte al giocatore, scelte che determinano il dipanarsi narrativo e cambiano la tipologia di informazioni acquisite.
Il resto lo fa il maestoso lavoro edificato sulle varie tipologie di razze e l'intero universo trattato, che sfrutta al meglio i particolari per offrire uno spazio credibile pur nei suoi parametri fantastici. Ed è così che si coinvolge lo spettatore, esortandolo a voler assistere all'esito delle vicende e non mollare il pad fino ai crediti finali, inneggiando o piangendo le gesta di Shepard contro gli spietati Razziatori. La dimostrazione del peso narrativo nell'economia di questa splendida saga è rappresentata dalle feroci polemiche della comunità riguardo al finale, ritenuto da molti insoddisfacente ed eccessivamente criptico, tanto da esortare gli sviluppatori a rilasciare finali estesi per approfondire la vicenda. Un titolo che fa esclusivamente leva su questo aspetto è Heavy Rain, l'ennesimo controverso parto di David Cage (si veda anche Farheneit dello stesso autore), una mente senz'altro visionaria, imperfetta ma coraggiosa nella volontà di donare al medium ludico una sceneggiatura di livello cinematografico, in modo da offrire un'esperienza adulta. Heavy Rain è a tutti gli effetti un thriller interattivo dove l'intervento del giocatore è ridotto ai minimi termini, ma dove il coinvolgimento scaturisce dalla maestosità del costrutto narrativo e la magnificazione dell'impalcatura tecnica. La storia non è certo priva di buchi logici, tutt'altro, ma ti fa arrivare alla fine col fiato sospeso, gli occhi sgranati e la gola secca, rappresentando un'esperienza assolutamente unica nel mercato dei videogiochi che sarebbe un delitto perdersi. In maniera analoga è impossibile non citare il sorprendente To The Moon, la creazione di Freebird Games interamente realizzata con RPG Maker XP, che ci porta negli spazi più intimi dei giochi indie e ci avvolge con una realizzazione grafica da era dei 16 bit. Eppure poco o nulla cambia nel reparto delle intenzioni. Anche il titolo di Kan Gao fa esclusivamente leva sull'aspetto narrativo per incollare il giocatore alla poltrona, e ci riesce grazie a una storia ad altissimo impatto emotivo, che emoziona tanto da ricordare Michel Gondry e il suo Eternal Sunshine of the Spotless Mind. E scusate se è poco...
Fino alla fine
L'esponente più controverso in questa categoria è la saga di Metal Gear Solid del brillante Hideo Kojima, che forse più di tutti ha avuto il coraggio di esplorare le contraddizioni del videogioco. Sono noti i metariferimenti nei vari capitoli, da nemici in grado di prendere il controllo del pad, ai personaggi che guardano con complicità in camera o si ribellano verso coloro che vogliono controllarli, viene costantemente evidenziata l'influenza del giocatore nello spazio simulato. Sono questi i motivi che legano Kojima con questo tipo di media impedendogli di sfociare nel cinema, del quale si dichiara da sempre appassionato. Difficile dar torto a tale affermazione, considerata la capacità di raccontare storie entusiasmanti e dipingere protagonisti epici.
Particolarmente indicativo il quarto e più esasperato episodio, Guns of the Patriots, dove riesce ad esprimere al massimo la sua indole autoriale. Cutscene incredibilmente lunghe, azione portata agli estremi più assoluti, una attitudine didascalica capace di sfociare nella maniacalità, complessi intrighi fantapolitici e l'impressionante finale di sessanta minuti, probabilmente un record assoluto per il mondo dei videogiochi. Kojima o si ama o si odia, ma resta indubbio che, accettandone le regole, rimane l'unico in grado di offrire un connubio peculiare tra giocabilità e narrativa. Sempre rimanendo in territorio orientale ci fa piacere parlare di Konami e del suo Silent Hill 2, ancora oggi considerato il migliore capitolo della saga e che potete riscoprire attraverso l'HD Collection rilasciata recentemente. Figlio di una fortunata serie di coincidenze che hanno portato alla creazione di un team talentuoso, questo sequel riesce a minimizzare i deficit impliciti del survival horror attraverso una storia perfettamente orchestrata. La discesa agli inferi di James ricorda quella di Mickey Rourke in Angel Heart di Alan Parker, alla stessa maniera ne ricalca il meccanismo narrativo. Ma sopra l'imprevedibile finale regnano tutte le suggestioni create dalla città, in gradi di farci sprofondare nei lati più oscuri dell'animo umano. Tra perversioni di ogni genere e traumi esistenziali, Silent Hill 2 ci porta per mano attraverso un mondo da incubo creato dalla nostra stessa mente, e per questo ancora più terrorizzante.
Complici anche le musiche viscerali di Akira Yamaoka, questo titolo è ancora oggi un'esperienza sorprendentemente adulta, in grado di segnare profondamente. Anche Halo 4 merita una particolare menzione, soprattutto per la capacità di Microsoft di suscitare emozioni approfondendo l'universo di Master Chief e amplificandone il linguaggio narrativo. Non parliamo tanto della inaspettata loquacità del protagonista, nemmeno dell'empatia provata per la rinnovata Cortana, ma soprattutto del background di Thomas Lasky, il personaggio trattato nella serie web Forward Unto Dawn, concepita come collegamento per gli eventi narrati sul pianeta Requiem. Un successo inaspettato come quello riscosso dalla serie di The Walking Dead dimostra che i prodotti imperniati sull'aspetto narrativo possono funzionare, nel caso dell'opera di Telltale Games si va a scomodare addirittura l'universo delle avventure punta e clicca per raccontare una storia scandita da scelte dolorose. Sono quei casi in cui oltre alla frenesia del pad ci abbandoniamo alle vicende dei protagonisti, frenando per un attimo quella incessante e propedeutica voglia di videogiocare.