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Lo sparatutto che vorremmo

Come dovrebbe evolversi il genere tecnologicamente più avanzato tra quelli di massa?

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   16/01/2014

Se guardiamo superficialmente gli sparatutto in prima persona usciti negli ultimi anni, è facile confondersi e non riconoscere il ceppo originale da cui sono nati. In realtà si tratta di uno dei generi in assoluto più conservatori tra quelli che affollano il mercato. Sembra strano, visto che contemporaneamente è anche quello in cui più vengono sperimentate le nuove tecnologie grafiche (e non solo) sviluppate di pari passo con l'evoluzione dell'hardware. Eppure, se si esamina la struttura di Battlefield 4, per fare un esempio di titolo tripla A molto recente, non si fatica a trovare la maggior parte degli elementi caratterizzanti di quello che viene considerato il capostipite del genere: Wolfenstein 3D di id Software.

Ripartire da Half-Life?
Ripartire da Half-Life?

Se osserviamo le uscite più recenti del genere come il già citato Battlefield 4, Call of Duty: Ghosts e Killzone: Shadow Fall, ma anche titoli leggermente più vecchi come i capitoli precedenti dei tre appena citati, Metro: Last Light, Crysis 3 e così via, è facile estrapolarne anche gli elementi aggiunti nel corso degli anni. Su tutti spicca una maggiore ricchezza scenografica, che non si traduce solo in una grafica più bella, ma anche nella rappresentazione di una serie di eventi spettacolari che puntellano la narrazione. Palazzi che crollano, elicotteri che cadono, intere città in fiamme e così via; formano un immaginario standard ormai parte integrante delle campagne di gioco, single e multiplayer, al punto da diventare oggetto di comunicazione privilegiato da parte dei reparti marketing. Basta considerare quanto il termine "Levolution", introdotto dal marketing di EA per promuovere Battlefield 4, sia stato oggetto di dibattito negli ultimi mesi per avere un'idea chiara di ciò di cui stiamo parlando. Eppure, se consideriamo le dinamiche di gioco, è difficile scorgere una qualche evoluzione. Certo, c'è stata molta contaminazione, come dimostrano i vari BioShock, Deus Ex: Human Revolution o Far Cry 3, ma non una vera trasformazione, con il modello id ancora punto di riferimento, nonostante la riforma fatta dal primo Half-Life e la ridefinizione dell'interfaccia di gioco portata dal primo Halo.

Va bene, sei figo e scoppia tutto. E quindi?
Va bene, sei figo e scoppia tutto. E quindi?

Manca qualcosa?

Lo speciale è incentrato soprattutto sulla parte single player degli sparatutto in prima persona. Abbiamo escluso riflessioni sul multiplayer perché vanno trattate in modo molto diverso.

L'ossessione narrativa

È giusto partire da qui per cercare di definire lo sparatutto in prima persona che vorremmo. Invece di procedere per aggiunte, ossia prendere il gameplay attuale sommandogli qualche caratteristica extra, ci piacerebbe iniziare togliendo qualcosa, soprattutto dalle campagne single player.

Basta far crollare un palazzo per rendere un gioco memorabile?
Basta far crollare un palazzo per rendere un gioco memorabile?

Ad esempio vorremmo vedere meno ossessione per la narrazione, che spesso finisce per essere trattata in modo deleterio. Quello narrativo è un processo fluido: oh hai una storia da raccontare, o non ce l'hai. Spesso ci troviamo di fronte a sparatutto (non solo, ma di questi stiamo parlando), in cui i momenti narrativi sembrano infilati a forza per giustificare quello che accade sullo schermo. Ecco, nella maggior parte dei casi, quando avviene questo, si finisce per trovarsi di fronte a storie mediocri e poco incisive nell'economia di gioco, se non proprio fastidiose. È chiaro, ad esempio, che la serie Crysis sia nata da un'idea di gameplay imperniata intorno alla nano tuta (che lo giustifica). Paradossalmente il capitolo migliore, il primo, è anche quello che si preoccupa meno di raccontare la sua storia. Badate bene che non stiamo suggerendo che il nostro sparatutto ideale non debba avere una trama, solo che questa non diventi oggetto continuo di sequenze forzate quanto inutili che spezzano l'attenzione dal gioco, come avviene sempre più spesso in questi ultimi anni. Si dovrebbe tornare a giocare di più e a guardare di meno, lasciando, lì dove possibile, che sia il giocatore a costruire una sua narrazione di raccordo. Per fare questo, titoli come il già citato Crysis, ma anche S.T.A.L.K.E.R. o Half-Life 2, per tornare ancora più indietro e fare altri esempi, sono delle ottime piattaforme di riferimento.

La campagna single player del nostro sparatutto ideale: sfida, complessità, personalità

Non teneteci per mano

Dall'ossessione narrativa, che poi è un modo come un altro per condurre il giocatore per mano, deriva un'altra sottrazione rilevante.

Crysis 3 è splendido da vedere, ma Crytek la piantasse di voler anche raccontare
Crysis 3 è splendido da vedere, ma Crytek la piantasse di voler anche raccontare

Paradossalmente il nostro sparatutto ideale sarebbe meno amichevole di quanto non lo siano gli sparatutto moderni. Ci piacerebbe che il genere tornasse a essere più aspro verso il giocatore, mettendolo veramente alla prova. Buona parte della brevità delle campagne single player degli sparatutto moderni deriva dal fatto che il livello di sfida è molto basso e si avanza speditamente lungo le mappe, in realtà molto più grosse di quelle dei titoli del passato. Diciamocelo: in generale, in questi scenari, pur così belli da vedere, c'è poco da fare. Prima si passava un sacco di tempo a cercare segreti e a studiare un modo per entrare in una stanza senza farsi massacrare, ora è tutto più simile a un tiro a segno intervallato dal tempo di recupero dell'energia, che solitamente ricresce da sola quando si è dietro a qualche copertura, senza dover raccogliere nulla. Se è vero che l'aumento della facilità ha permesso una maggiore diffusione del genere, è anche vero che ci ha privato di momenti memorabili, con la maggior parte delle campagne single player che ci scivolano addosso senza lasciare traccia. Ecco, magari chiedere di tornare agli oggetti rotanti sul pavimento sarebbe troppo, ma saremmo davvero felici di avere un po' di sfida in più, l'unico fattore in grado di regalare all'esperienza di gioco una caratteristica determinante quanto sottovalutata: la memorabilità.

Annodiamo il mondo

Molti ricordano ancora oggi gli intricatissimi livelli di Quake
Molti ricordano ancora oggi gli intricatissimi livelli di Quake

Infine, concludendo la nostra opera di demolizione, ci piacerebbe tornare a vedere una maggiore centralità nel map design, come ancora è vero nel multiplayer. Come già detto, le mappe degli sparatutto moderni sono in media più grosse di quelle degli sparatutto più vecchi. Solo che le si attraversa come fulmini senza la necessità di guardarsi intorno. Questo avviene non soltanto per la già sottolineata maggiore facilità delle sparatorie, ma anche perché con gli anni si è preferito puntare su un map design più lineare rispetto a quello intricato dei primi sparatutto. In questo modo si evita sicuramente che il giocatore si perda nelle mappe o non sappia dove andare, ma contemporaneamente si creano livelli tutti uguali differenziati solamente per il posizionamento dei nemici e delle svolte. Se vogliamo, è la stessa differenza che passa tra un labirinto unicursale e uno manierista: nel primo la strada è intricata ma fondamentalmente dritta, mentre nel secondo le strade si ramificano e bisogna cercare per trovare l'uscita. Senza addentrarci in allegorie religiose, diciamo che vorremmo tornare a perderci e a cercare, in modo da sfruttare e conoscere meglio le mappe di gioco, invece di superarle nell'indifferenza più assoluta seguendo l'unica strada possibile.

Più Rapture, meno texture

Va bene, direte voi, da quello che abbiamo capito vorreste che nel vostro FPS ideale le meccaniche di gioco e il gameplay tornassero ad essere centrali rispetto agli orpelli che si sono incrostati sul genere nel corso degli ultimi anni.

Rapture non è solo le sue texture.
Rapture non è solo le sue texture.

E la tecnologia? Anche questa dovrebbe fare un passo indietro? La risposta è semplice: no. Non chiediamo che si torni a Wolfenstein 3D. È anche vero che l'ossessione tecnologica manifestatasi nel corso degli anni è stata in parte deleteria per i FPS e che, come sottolineato sopra, nonostante gli ultimi titoli usciti siano tecnicamente maestosi e migliori rispetto ai lori predecessori, fanno una grossa fatica a essere memorabili. Senza fare gli hipster a tutti i costi, chiediamoci perché tutti ci ricordiamo di Rapture, ma molti di noi farebbero fatica a distinguere le mappe dei vari Call of Duty with Honor on the Battlefield? Ecco, ci piacerebbe che gli scenari avessero più personalità e meno lustrini, che si puntasse meno su crolli di grattacieli e pesci rossi e più sull'allegoria dell'ambiente, seguendo un approccio psico geografico. Il secondo approccio non preclude una grafica di qualità, ma sposta il fuoco dall'esibizionismo più brutale della potenza di calcolo, alla riflessione sull'oggetto di cui si sta fruendo. Per dirla in altri termini, il nostro sparatutto ideale non si limita a farci sparare nel più bello dei contesti possibili, ma ci racconta anche perché lo stiamo facendo, arrivando a svelarci parte di ciò che siamo, oltre che pretendendo solo di intrattenerci.