Che fine hanno fatto... è una rubrica a cadenza regolare che cerca di riportare alla luce quei franchise che per un motivo o per un altro sono caduti un po' nel dimenticatoio, raccontandone la storia, con la speranza di rivederli prima o poi sui nostri schermi.
Ci sono giochi che pur dividendo critica e pubblico, riescono in qualche modo a rimanere impressi nella memoria dei videogiocatori. Vuoi per alcuni elementi della trama, vuoi per delle potenzialità inespresse appieno, o per alcune meccaniche interessanti, la storia dei videogiochi è piena di produzioni per certi versi monche che per poco non si sono elevati quasi al rango dei migliori esponenti di un genere. Uno degli esempi di quanto appena detto riguarda i survival horror e potrebbe essere considerato per certi versi Cold Fear. Il titolo sviluppato da Darkworks, già autori di Alone in The Dark 4, venne pubblicato da Ubisoft nel marzo del 2005 su PlayStation 2, Xbox e PC, e a un certo punto, in base alle premesse, sembrava perfino potesse assurgere al ruolo di rivale per serie famose action horror come Resident Evil. Proprio un paio di mesi prima di Cold Fear, il quarto capitolo della famosa saga di Capcom era arrivato nei negozi su GameCube, dopo una gestazione durata quasi quattro anni e una serie di cancellazioni e riavvii a lavori in corso. Resident Evil 4 suscitò polemiche, nonché un iniziale smarrimento nei fan a causa dei cambiamenti epocali nelle meccaniche di gioco e nel bestiario dei nemici, ma al contempo conquistò critica e una nuova fetta di pubblico, rivelandosi tecnicamente uno dei migliori episodi della saga. La produzione Darkworks sembrava strizzare abbondantemente l'occhio a questo episodio della creatura di Shinji Mikami, almeno nelle meccaniche sparatutto e in taluni avversari, presentando una serie di situazioni simili, ma anche degli spunti originali purtroppo non sfruttati al cento per cento.
Il mare in tempesta, una nave alla deriva e infestata da orrende creature. Che fine ha fatto Cold Fear?
Atmosfera giusta, gameplay un po’ meno
La creazione di un sistema di movimento così realistico portò anche dei problemi di telecamera. Secondo il capo programmatore di Cold Fear, Claude Levastr, nelle prime fasi di sviluppo questa andava costantemente fuori inquadratura, attraversando addirittura le pareti e creando dei crash al videogioco. Quindi gli sviluppatori furono costretti a creare un sistema di inerzia che ne controllasse la stabilità, come se un cameraman si trovasse dietro Tom Hansen tenendo in mano una steadycam. Purtroppo, però, un idea così interessante non venne adeguatamente supportata a livello di giocabilità. O perlomeno non lo fu fino in fondo. L'instabilità dell'imbarcazione era tecnicamente l'elemento più interessante del progetto, invece si rivelò anche il punto più controverso del gioco, perché sarebbe dovuto essere il fulcro di tutto il gameplay, mentre il risultato fu molto lontano dalle aspettative dei mesi precedenti alla sua uscita.
Ai fini pratici il gameplay era influenzato in modo molto marginale dal moto delle acque marine, se non un po' negli esterni, e la struttura degli scontri non si discostava più di tanto dai binari più noti del genere. Quanto descritto appariva evidente nelle situazioni che si svolgevano sotto coperta oppure nel momento in cui si giungeva sopra a una piattaforma petrolifera. Lì la tempesta era solo un ricordo e l'impostazione di gioco riportava subito alla mente la saga di Resident Evil, il già citato quarto capitolo per le sparatorie, un po' i primi episodi per l'atmosfera durante l'esplorazione. Quest'ultima era corroborata da un buon campionamento sonoro per gli effetti di sottofondo, e da un aspetto grafico che giocava sull'efficace contrasto di luci ed ombre, con una paletta di colori scuri e metallici splendidamente dosata e in tono con lo scenario freddo di una baleniera dimenticata. Di diverso c'era semmai l'interessante possibilità di scegliere tra due visuali, una in terza persona e una da sopra alle spalle. La migliore era considerata da molti quella posta dietro alle spalle del protagonista, che rendeva l'azione di mira molto più precisa e veloce, in particolare per la presenza del puntatore laser. Un altro elemento mal sfruttato di Cold Fear fu la trama e il modo in cui questa veniva raccontata. In tal senso mancava in particolare un background all'intera vicenda, con Tom che sembrava continuamente agire senza un motivo preciso, e con una serie di personaggi secondari privi di spessore, che non aiutavano a rendere più credibile la vicenda o ad approfondire meglio taluni aspetti della narrazione. Questa mancanza di coinvolgimento alle vicende portava di conseguenza il videogiocatore a proseguire quasi per inerzia piuttosto che per scoprire dei risvolti legati alla trama. Alla fine Cold Fear ottenne giudizi contrastanti da parte della critica internazionale, fra chi lo bocciava senza pietà e chi, come IGN, attribuì alla versione PlayStation 2 un buon 7.2 e a quella Xbox un 7.6, con la motivazione che pur non rinnovando i canoni del genere, il titolo manteneva una certa atmosfera cupa per tutta la durata dell'avventura, risultando per certi aspetti piacevole. Di contro la critica si concentrò principalmente sulla mancanza di una mappa, sull'esposizione della trama e su una certa ripetitività nell'azione sparatutto, dove l'ottima idea di una nave in perenne oscillazione era stata poco e male sfruttata all'interno del gameplay. Insomma, tutti più o meno concordi nel sostenere che la produzione aveva buone potenzialità, ma che queste erano state appena abbozzate o male utilizzate. Chissà quindi che un giorno qualcuno non si ricordi di questa produzione, non decida di sfruttarne a dovere il concept, rielaborandone adeguatamente le meccaniche e la struttura narrativa, e non ci riproponga un nuovo episodio in salsa moderna e consono alle sue possibilità.