Come realizzare il film di un videogioco che fa finta di essere un film? È una domanda quasi filosofica, che probabilmente David F. Sandberg deve essersi fatto nel momento in cui ha pensato all'adattamento cinematografico di Until Dawn, opera videoludica di grande successo del 2015 realizzata da Supermassive Games e pubblicata da Sony Computer Entertainment (e che recentemente ha anche goduto di un remake). Il videogioco vedeva la partecipazione di un cast di attori provenienti da serie TV e film di successo come Hayden Panettiere, Rami Malek e Peter Stormare. Ma non era solo il cast a essere cinematografico: l'impostazione del videogioco, la struttura, l'ambientazione, i colpi di scena, i trucchetti utilizzati per spaventare il videogiocatore. Insomma, Until Dawn era un videogioco che respirava cinema. La trovata interessante era proprio, per una volta, muovere i fili da burattini di quei personaggi che vedevamo morire come sciocchi nei film horror slasher.
Non avrebbe funzionato, quindi, fare un passo indietro e semplicemente riproporre la sola formula a cui Until Dawn si ispira. E così, ecco la trovata: se Until Dawn, il videogioco, fa finta di essere un film, Until Dawn, il film, fa finta di essere un videogioco, recuperandone molti elementi chiave. Primo tra tutti l'idea della ricorsività, del sistema di salvataggio, del game over. Sandberg allora lascia a casa praticamente quasi ogni elemento del videogioco da cui trae il nome - fatta eccezione per Peter Stormare e per qualche spauracchio pescato dal nutrito cast di orrori virtuali - per imbastire un'operazione che a volte sembra quasi la decostruzione di un modello.
Non è certo una novità. Questo tipo di film con adolescenti che finiscono in una casa sperduta a fare i conti con i loro traumi e con un enorme killer mascherato, è stato smontato più e più volte nel corso degli anni 2000. Da progetti fuori di testa come l'indimenticabile Quella casa nel bosco (2011) di Drew Goddard, o da reinterpretazioni di classici come nel remake di La Casa (2013) di Fede Alvarez, che riscriveva il classico di Sam Raimi in modo più esplicito, meno divertito, più vicino allo splatter che all'horror. Sono probabilmente questi due film che vengono in mente assistendo a Until Dawn: una reinterpretazione dello slasher - dal quale viene eliminato totalmente l'eros, elemento chiave nei classici - con un twist da videogioco.
Resisti fino all’alba o farai parte della notte
Clover, Max, Nina, Megan e Abel sono cinque amici che ripercorrono le tracce di Melanie, sorella di Clover scomparsa misteriosamente un anno prima. La ragazza sta vivendo un periodo molto difficile dopo il lutto della mamma e la scomparsa della sorella, ma i suoi amici hanno organizzato quel tour per farle superare il trauma. Come nel più classico dei cliché, i ragazzi finiscono per arrivare in una strana casa, persa in una radura, proprio mentre cala la notte. Lì, fanno appena in tempo ad ambientarsi che un energumeno mascherato li trucida uno dopo l'altro, senza pietà. Si risvegliano, integri, pochi minuti prima dell'assalto, con la consapevolezza che quel posto li ha presi prigionieri in un ciclo di morte e rinascita. Ben presto vengono a sapere che c'è solo un modo per spezzare questo circolo di violenza: restare vivi fino all'alba.
C'è un equilibrio molto sottile che Until Dawn fa fatica a mantenere: quello tra la commedia nera che si prende gioco dei tropi, e tra il film di genere che vorrebbe costruire una situazione di tensione convincente. Se il videogioco poteva coscientemente sbilanciarsi e perdere questo equilibrio, dal momento che molte delle scelte più discutibili erano espressione della volontà - a volte imprevedibile e manifestamente sabotatrice - del videogiocatore, il film di Until Dawn avrebbe dovuto lavorare in maniera più netta. Si oscilla, invece, in un percorso che si fa fatica a capire quanto prendere sul serio.
Il peccato originale di questo continuo ondeggiare tra i registri, è che le scene che dovrebbero spaventare non riescono a costruire in modo convincente la tensione, anche perché sono scritte tutte allo stesso modo, sfruttando momenti di silenzio che poi esplodono in improvvisi spaventi. Efficaci, sì, più per un riflesso involontario che per altro. Ben inteso: non è che il videogioco da cui è tratto fosse molto più elegante, anzi, ma un po' per via del coinvolgimento attraverso l'interazione, un po' per quell'indulgenza che spesso ci fa passare sopra alle fallacie logiche dei videogiochi, glielo perdonavamo.
Il meccanismo dei jumpscare, e il fatto che ben presto smettiamo di temere per la vita dei protagonisti che tanto tornano in scena pochi minuti dopo la morte, sposta in fretta il senso del film da una logica di sopravvivenza al macabro divertimento di vedere com'è che saranno sbudellati notte dopo notte. Non c'è più tensione nel vederli lottare per la vita, quanto piuttosto il diletto nel godere di morti sempre più splatter, alcune veramente notevoli.
Un giro di giostra nella casa degli orrori
Until Dawn è un film divertente, e forse questo è un aggettivo che non andrebbe mai e poi mai accostato a un film horror. In più momenti dà l'impressione di essere un grande giocattolone piuttosto che un ansiogeno prodotto da incubo: ogni notte è realizzata come fosse un nuovo livello, con le sue regole (mai troppo chiare, a dirla tutta, da questo punto di vista il film sembra ballare una danza tutta sua), diverse creature e varie trovate granguignolesche. Senza mancare di citare apertamente alcuni classici dell'horror videoludico. C'è una piccola, ma gradita citazione a Forbidden Siren che mi ha reso felice.
È un giro di giostra nella casa degli orrori, idea che in effetti Until Dawn aveva già esplorato in Until Dawn: Rush of Blood: si sta seduti in poltrona mentre gli orrori cercano di provocarci quel minimo di reazione fisica da salto sulla sedia, procedendo abbastanza spediti verso il finale. Gli manca però quel qualcosa che lo renda più di una gustosa reinterpretazione del videogioco, riuscita, sì, perché di certo il materiale d'origine non era inarrivabile, ma che allo stesso tempo risulta altrettanto dimenticabile.
Conclusioni
Multiplayer.it
6.0
Until Dawn è un film che fa finta di essere un videogioco. Lo fa sfruttando la dinamica del game over e del punto di salvataggio, pescando dal titolo originale qualche personaggio e qualche spauracchio. È troppo divertente per essere un horror, e sicuramente poco raffinato nel ricorrere continuamente a jumpscare costruiti tutti allo stesso modo, ma se preso come un giro in una casa degli orrori gustosamente splatter, fa il suo. Si incarta quando vuole trovare spiegazioni, cambia le regole in corsa, non è mai chiaro nelle sue dinamiche, ma ci ha regalato qualche sequenza riuscita.
PRO
- Alcune scene splatter ben realizzate
- L'idea di girare un film con le regole di un videogioco funziona
- Qualche gradita citazione ai classici videoludici
CONTRO
- Troppi jumpscare, tutti gli spaventi sono costruiti allo stesso modo
- La meccanica del checkpoint ammazza la tensione
- Non sono mai chiare le regole del gioco