Monografie è una rubrica a cadenza mensile che racconta i momenti essenziali nella storia di alcune società, franchise o personaggi di spicco che hanno lasciato il segno nel mercato videoludico.
Ultimamente si fa un gran parlare di Monolith Productions, specialmente in seguito all'uscita del recente La Terra di Mezzo: L'Ombra di Mordor, che ha inaspettatamente stupito pubblico e critica per la sua ottima qualità (i tie-in, come probabilmente saprete, sono spesso delle mezze ciofeche). Ci è capitato, però, di veder fare confusione con un'altra software house che condivide, in parte, lo stesso nome, e cioè Monolith Soft. Le due società, nonostante quel "monolite", sono molto diverse. Tanto per cominciare, Monolith Soft è decisamente giapponese, e poi si è occupata per molti anni specialmente di jRPG, videogiochi di ruolo di stampo squisitamente nipponico. Non molti sanno com'è nato questo sviluppatore, ma tutti hanno sentito parlare di almeno due dei suoi giochi più famosi: il più recente, Xenoblade Chronicles, è semplicemente uno dei titoli più famosi della scorsa generazione. L'altro, invece, ha soltanto ridefinito il genere: Xenogears.
Monolith Soft, prima di Xenoblade Chronicles, ha sviluppato alcuni jRPG che hanno fatto la storia
Le origini
Per capire meglio Monolith Soft, dobbiamo fare un passo indietro di alcuni anni e fare la conoscenza di uno dei suoi fondatori, Tetsuya Takahashi. In realtà, di Takahashi non sappiamo molto: è uno di quegli individui che conoscono soprattutto i fan di nicchia, ed essendo giapponese non abbiamo molte fonti in lingua comprensibile che scendano nel dettaglio sulla sua persona o sulla sua storia. Sappiamo che è nato il 18 novembre 1966 nella prefettura di Shizuoka, in Giappone, e che ha cominciato a lavorare nel campo dei videogiochi negli anni '80, per la Nihon Falcom, sviluppatrice storica di un'altra serie nipponica molto famosa: Ys. A un certo punto, Takahashi aveva trovato un posto come designer per un altro gigante dell'intrattenimento videoludico giapponese, e cioè Squaresoft. Lì aveva collaborato ad alcuni dei più grandi progetti della società, a cominciare da Final Fantasy VI, per il quale aveva disegnato le famose armature Magitek che comparivano nel gioco e nella sequenza introduttiva.
Aveva inoltre ricoperto il ruolo di graphic director per un altro caposaldo del genere jRPG negli anni '90, Chrono Trigger, insieme ad Akira Toriyama, già autore di Dragon Ball e Dr. Slump & Arale. In quegli stessi anni, Takahashi aveva anche sposato una collega, Kaori Tanaka, meglio nota come Soraya Saga. La Saga era stata assunta da Squaresoft pochi anni prima, dopo aver risposto a un'inserzione su una rivista del settore, e aveva collaborato ad alcuni titoli importanti come Romancing SaGa, Final Fantasy V e Final Fantasy VI: nel caso di quest'ultimo, aveva scritto le storie dei fratelli Edgar e Sabin, scegliendone le classi, l'ambientazione e il rapporto che li legava. Takahashi e Tanaka erano fatti l'uno per l'altra: avevano entrambi una predilezione per le sceneggiature intricate e piene di citazioni colte, ma anche e soprattutto per le tematiche esoteriche, religiose e filosofiche. A un certo punto, i due sposini avevano proposto ai capoccia di Squaresoft alcune idee per la trama di Final Fantasy VII, ma il director del progetto, Yoshinori Kitase, le aveva ritenute troppo cupe per il tipo di gioco che volevano sviluppare, pur riconoscendone l'indubbio valore. Di conseguenza, Squaresoft decise di affidare al producer Hiromichi Tanaka (Secret of Mana) lo script di Takahashi per creare una nuova proprietà intellettuale chiamata Xenogears.
Il capolavoro
Quella di Xenogears è effettivamente una storia abbastanza triste, nonostante sia considerato come uno dei migliori jRPG mai realizzati, se non addirittura il migliore dell'epoca PlayStation, con buona pace del ben più famoso Final Fantasy VII. Quest'ultimo, in effetti, soffocò quasi del tutto l'opera di Takahashi, uscendo poco meno di un anno prima tra squilli di trombe e rulli di tamburi. La sua popolarità fu schiacciante e adombrò quasi del tutto, sia in termini di marketing sia in termini meramente tecnici, il povero Xenogears. Il titolo di Takahashi, infatti, aveva un budget piuttosto risicato che lo costrinse ad effettuare molteplici tagli. Non sfoggiava neppure delle sofisticate sequenze in computer grafica, ma brevi cutscene a cartoni animati e, perlopiù, scene d'intermezzo realizzate col motore grafico del gioco, un mix di modelli poligonali e sprite bidimensionali. Dal punto di vista tecnico, insomma, Xenogears era nettamente inferiore a Final Fantasy VII, in un momento soprattutto in cui Internet non era ancora diffusissimo e i giocatori si affidavano perlopiù a foto e trailer per giudicare la qualità di un gioco. Xenogears, poi, aveva anche un altro problema: la sceneggiatura. E non perché fosse brutta, attenzione: la storia di Xenogears è meravigliosa, ma complicatissima, ispirata in particolar modo agli scritti di filosofi come Jung, Nietzsche e Freud. Impossibile spiegarla nel dettaglio; essenzialmente è un'opera fantascientifica che racconta le storie di molteplici personaggi e fazioni che si intrecciano da millenni attraverso generazioni e addirittura reincarnazioni tra conflitti spirituali, religiosi e politici.
Nella mischia, Takahashi e sua moglie gettarono anche i Gears, dei mech in stile Gundam che alcuni personaggi potevano pilotare in battaglia, una caratteristica che ovviamente influenzava il divertente sistema di combattimento un po' a turni e un po' in tempo reale. La profondità della trama di Xenogears, in effetti, fu paradossalmente uno dei suoi punti più deboli. Molti giocatori, semplicemente, non la capirono. Il secondo dei due dischi che contenevano il codice, oltretutto, cambiava quasi completamente regime rispetto al primo, sciorinando una serie di lunghissimi spiegoni a schermate praticamente fisse, lasciando al giocatore pochissima libertà d'azione. La leggenda vuole, infatti, che a un certo punto Takahashi avesse esaurito il budget a disposizione, e che fosse stato costretto a tagliuzzare a destra e a manca per risolvere la storyline principale, lasciandone moltissime in sospeso, pur regalando un finale emozionante e soddisfacente. Le ragioni di quello che era sembrata proprio una seconda parte "frettolosa" non sono mai state chiarite del tutto, ma è comunque vero che, scorsi completamente i titoli di coda, il giocatore si trovava di fronte un messaggio sibillino: "Xenogears - Episode V: End". Episodio cinque? E gli altri quattro? Una domanda che rimase senza risposta perché, alla luce dell'interesse che Squaresoft stava concentrando tutto sulla sua gallina dalle uova d'oro, Final Fantasy, Takahashi aveva capito che per la sua saga non ci sarebbe mai stato un futuro. Almeno, non in Squaresoft.
Da Xeno a Xeno
A cavallo tra il 1998 e il 1999, Tetsuya Takahashi decise di lasciare Squaresoft insieme a sua moglie e al loro collega Hirohide Sugiura per fondare una nuova società, Monolith Soft, finanziata da Namco e composta da quasi tutti i membri dello staff che aveva lavorato a Xenogears. In seguito, Namco si sarebbe fusa con Bandai; Nintendo, nel 2007, avrebbe comprato in due riprese la società, trasformandola in uno dei suoi sviluppatori first party.
Quasi dieci anni prima, però, Tetsuya Takahashi non se lo sarebbe mai immaginato: a quel tempo stava decidendo come trasformare in videogioco la saga di Xenogears che aveva concepito insieme alla moglie. Il problema con le loro idee, però, era che i diritti sul franchise e sui personaggi appartenevano a Squaresoft e non potevano essere riutilizzati. Bisognava fare tabula rasa, insomma, e riscrivere tutto da capo, anche se le idee che frullavano in testa ai coniugi Takahashi erano troppo geniali per essere gettate alle ortiche. Fu così che nacque XenoSaga: in realtà, sia ben chiaro, non vi è alcun collegamento tra il nuovo franchise e Xenogears, e quella parolina Xeno sta lì principalmente perché suonava bene e per ricordare ai giocatori che era farina del sacco degli stessi autori. E in effetti, nonostante si trattasse di proprietà intellettuali completamente separate, XenoSaga era fortemente ispirato a Xenogears: alcuni personaggi erano molto, molto simili sia visivamente sia caratterialmente, per esempio, e c'erano i mech pilotabili (chiamati prima A.W.G.S. e poi E.S.) e i loschi figuri mascherati. Soprattutto, era centrale il tema del rapporto tra fede e scienza, tra spirito e materia, incarnato nell'eterno dilemma della protagonista Shion Uzuki e della sua creazione, la robotica KOS-MOS che sarebbe diventata un'icona per i fan dei jRPG di un'intera generazione. Il primo di quelli che sarebbero dovuti essere sei episodi, sottotitolato sibillinamente Der Wille zur Macht come l'omonima opera postuma di Friedrich Nietzsche, uscì nel 2002 riscontrando un ottimo successo sia in Giappone sia in America, pur essendo censurato in occidente. Noi europei rimanemmo a bocca asciutta fino al 2005, quando approdò anche sulle nostre sponde il secondo episodio, Jenseits von Gut und Böse, in una confezione che conteneva anche un DVD con le lunghe cinematiche del primo episodio a mo' di film riassuntivo.
Purtroppo, però, in Monolith Soft era cambiato parecchio tra Episode I ed Episode II: il management, tanto per cominciare, si era letteralmente disfatto di Soraya Saga, decurtando dallo script originale gran parte del suo contributo. Nel tentativo di far colpo sul pubblico occidentale, poi, si era deciso di limare enormemente i tratti più nipponici del character design, ridisegnando da capo i modelli poligonali dei personaggi in modo che apparissero molto più realistici. Infine, il team aveva dovuto alterare pesantemente anche il sistema di combattimento per renderlo più complicato, forse fin troppo. Il risultato, a differenza del primo capitolo, lasciò pubblico e critica piuttosto interdetti. Episode II era chiaramente un esperimento affrettato e incompleto che aveva perso molti dei tratti distintivi che avevano caratterizzato XenoSaga Episode I e Xenogears. L'unico cambiamento a non essere eccessivamente criticato fu quello alla colonna sonora: il bravissimo Yasunori Mitsuda - che già aveva composto le musiche di Xenogears - aveva passato il testimone a Shinji Hosoe e all'altrettanto straordinaria Yuji Kajiura, che si era già fatta conoscere nell'ambiente scrivendo le musiche di svariati videogiochi, film e musical e che in seguito sarebbe diventata ancora più famosa. Le vendite europee di XenoSaga Episode II si rivelarono insoddisfacenti e Namco Bandai, a quei tempi, non si faceva molti scrupoli: Episode III, intitolato Also sprach Zarathustra, non arrivò mai dalle nostre parti, costringendo i fan europei a importarlo dal Giappone o dal nord America per scoprire come si sarebbe conclusa la storia. Nel frattempo, infatti, Monolith Soft aveva deciso di chiudere la serie anzitempo, con sommo rammarico di Takahashi che, così, ancora una volta, non era riuscito a portare a compimento la sua opera.
Fortunatamente, però, era riuscito a far rinsavire il management e a fargli fare dietrofront su alcune delle scelte più controverse fatte con Episode II. Il character design era tornato ad essere un po' più nipponico, il sistema di combattimento era stato ammorbidito e semplificato, i toni si erano fatti più metafisici che scientifici e la serie, pur palesando non pochi fili lasciati in sospeso, si era conclusa con un finale che consideriamo tranquillamente tra i più belli, soddisfacenti ed emozionanti nella storia del medium. XenoSaga, specialmente con Episode I ed Episode III, aveva segnato indelebilmente, ancora una volta, il genere dei Japanese Role Playing Game. Takahashi aveva avuto il coraggio di coinvolgere nella sua complessa trama persino figure delicate come quella di Gesù Cristo e della Maria Maddalena, stupendo i suoi fan senza però perdere di vista il fulcro della storia e gli importanti significati che cercava di veicolare. Un grande successo che, purtroppo, non vendette milioni di copie come un Final Fantasy, ma che rimase nel cuore di tantissimi appassionati: pochi mesi fa è stata persino istituita una petizione tramite Twitter per convincere gli aventi diritto a pubblicare un'edizione rimasterizzata della trilogia.
L'incrollabile monolite
Ovviamente XenoSaga non è stata l'unica serie a cementificare l'importanza di Monolith Soft per il mercato videoludico giapponese, e non solo. Già ai tempi di Episode I era cominciata una collaborazione con Nintendo che avrebbe convinto la casa di Kyoto ad acquistare la società di Takahashi pochi anni dopo. Il primo titolo di Monolith Soft per una console della grande N fu Baten Kaitos: Eternal Wings and the Lost Ocean, GameCube, sviluppato con la collaborazione di tri-Crescendo sotto etichetta Namco.
Si trattava di un bizzarro jRPG con il sistema di combattimento "a carte" che si fece comunque apprezzare per l'originalità di trama, personaggi e ambientazione al punto da convincere Monolith Soft a realizzarne un prequel, Baten Kaitos Origins, sempre per GameCube. Nel frattempo, la società di Takahashi si era anche goduta alcune collaborazioni estemporanee con la cara, vecchia SquareSoft per lo sviluppo del tie-in Final Fantasy VII: Dirge of Cerberus, e con Namco e Capcom per lo sviluppo di un crossover strategico intitolato, senza molta fantasia, Namco x Capcom. In seguito, Nintendo propose a Monolith Soft una partnership nello sviluppo di Super Smash Bros. Brawl per Wii, il primo titolo sviluppato dalla software house di Takahashi in seguito all'acquisto di Nintendo. I giochi per i sistemi della grande N si susseguirono negli anni senza raggiungere particolari picchi, passando dal bel Soma Bringer per Nintendo DS che non fu mai localizzato per il mercato occidentale tutto ai Super Robot Taisen OG, sempre per l'handheld della grande N. Giunti al 2010, Monolith Soft stava scivolando nell'ombra; stava diventando una società di serie B che realizzava titoli su licenza o contribuiva marginalmente allo sviluppo di giochi importanti - come The Legend of Zelda: Skyward Sword - senza che nessuno lo sapesse. Il momento del riscatto, per il buon Takahashi e sua moglie "Soraya Saga", giunse con Monado: Beginning of a New World, il progetto che tutti oggi conoscono con il titolo di Xenoblade Chronicles. Lo sviluppo del gioco era iniziato nel 2005, in realtà, ed era stato lungo e tortuoso. Nintendo aveva dato al team di Takahashi carta bianca, praticamente, e in piena filosofia "make it or break it" lo sviluppatore aveva messo tutta la sua anima in quella che sapeva essere la sua più importante occasione per tornare in auge. Coinvolgendo molteplici nomi e collaboratori, dalla penna della moglie alle dita dell'amico e compositore Yasunori Mitsuda - soltanto uno dei sei musicisti che avrebbero composto la colonna sonora - Takahashi aveva progettato e riprogettato Xenoblade in modo che il risultato finale rispettasse la sua grande visione il più fedelmente possibile.
Nel corso degli anni, il team aveva persino ridisegnato da capo il sistema di combattimento, originariamente a turni, per integrare il potere del protagonista di cambiare il futuro, e Takahashi era arrivato al punto di scrivere da sé il testo della canzone che avrebbe accompagnato i titoli di coda, a suo avviso fondamentale per suscitare nei giocatori le giuste emozioni. Abbiamo rischiato per un pelo di non giocare Xenoblade Chronicles: inizialmente Nintendo non era intenzionata a portare il gioco anche in occidente, ma poi aveva cambiato idea quantomeno per l'Europa, tant'è che il gioco uscì nel nostro continente un anno prima rispetto all'America, dove arrivò soltanto dopo l'estenuante petizione chiamata Operation: Rainfall, che coinvolgeva, oltre a Xenoblade Chronicles, anche Pandora's Tower e The Last Story. Il successo di Xenoblade Chronicles è stato straordinario: il gioco, che spingeva la sottovalutatissima macchina Nintendo ai suoi limiti, ha fatto schizzare le aspettative di pubblico e critica nei confronti di Monolith Soft, tornata ad occupare un posto di primo piano nel mercato videoludico. Oggi siamo in trepidante attesa di Xenoblade Chronicles X, seguito spirituale di quello che molti considerano il miglior jRPG degli ultimi vent'anni, il quale vedrà la luce su Wii U nel 2015. E intanto, Nintendo inaugurerà la sua "nuova" console portatile, New Nintendo 3DS, proprio con un porting di Xenoblade Chronicles. Insomma, Takahashi è uno che di risurrezioni, a quanto pare, ne capisce davvero parecchio...