"Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant'anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola". Poche parole, tratte dal romanzo di Shirley Jackson intitolato L'incubo di Hill House, ma perfette per descrivere appieno, semplicemente accennandolo, all'orrore che può nascondersi all'interno di un qualsiasi edificio abbandonato, ma che potrebbe in realtà essere ancora abitato da "qualcosa". La sfida più difficile per chi si cimenta con l'horror è infatti quella di riuscire a sorprendere e spaventare un pubblico ormai poco avvezzo allo stupore, proponendo al contempo alcuni spunti originali. L'utente medio è ormai assuefatto da decine e decine di romanzi, pellicole e videogiochi che mostrano alieni antropomorfi che sbucano fuori dai condotti dell'aria per massacrare i membri dell'equipaggio di una astronave, uno spettro in attesa in un angolo buio, o un morto vivente che si aggira per i corridoi di una magione fatiscente.
La paura nell'intrattenimento elettronico: è ancora possibile sorprendere e spaventare i videogiocatori?
Genio e adattamenti
In mancanza di contenuti originali, spesso impossibili da proporre alla luce di quanto appena scritto, bisogna quindi essere bravi a personalizzare una stessa tematica, facendola propria, rielaborandola in rapporto alla propria sensibilità di autore e cercando di riproporla in maniera tale da risultare per certi versi "nuova". Esempi di elaborazioni riuscite, senza andare troppo indietro nel tempo, potrebbero essere considerati in ambito videoludico The Last of Us di Naughty Dog, e la demo interattiva che aveva annunciato al mondo intero il purtroppo cancellato Silent Hills.
Nel primo caso abbiamo visto come una solida struttura narrativa corroborata dalla personalità dei protagonisti, dall'approfondimento della loro psiche e dei loro sentimenti, abbia permesso di costruire un mondo credibile e coinvolgente, nonostante lo spunto iniziale della storia fosse abbastanza abusato nel mondo dell'intrattenimento e alcune meccaniche di gioco non fossero a loro volta originali. Allo stesso modo con P.T., Hideo Kojima ha dimostrato come il talento e le idee possano creare qualcosa di originale con poco, anche partendo da situazioni ampiamente sfruttate nel mondo dell'horror come i fenomeni poltergeist, i fantasmi e le case infestate. Di spiriti dei defunti si occuparono già i greci, i latini e gli egizi, anche se il boom a livello letterario si ebbe a cavallo tra Ottocento e Novecento con i racconti di Horace Walpole, M.R. James e Sheridan Le Fanu, e con la nascita del romanzo gotico, che trasformò lo spettro in un elemento caratterizzante del genere. Ma il game designer giapponese ha dato prova di classe, riuscendo a spaventarci nel 2014 con un corridoio e una stanza, a conferma di come le storie di fantasmi, pur esistendo dalla notte dei tempi, riescano ancora a terrorizzare e stupire se a raccontarcele è qualcuno che riesce a farlo come si deve. E chissà cosa avrebbe potuto ancora fare il geniale Hideo con un'intera città a disposizione.
Il piacere della paura
La ricerca di emozioni è la scintilla che spinge le persone al consumo di storie, siano esse narrate per immagini, suoni o scritti, e se c'è un'emozione forte che fa vibrare sulla sedia, quella è senza dubbio la paura. A chiunque può capitare di sperimentarla, soprattutto oggi che "grazie" al proliferare dei nuovi media tutti possono purtroppo vivere quotidianamente le sciagure che si abbattono sugli altri. Con l'orrore a portata di mano è diventato estremamente facile soddisfare un istinto, sia pur insolito, celato nella maggior parte degli uomini, cioè quello di essere affascinati da ciò che in fondo genera repulsione o fobia. D'altronde come sosteneva Aristotele "le cose che ci fanno soffrire nella realtà, ci recano un sommo piacere se le osserviamo in immagini". Soprattutto, aggiungiamo noi, se queste non ci riguardano direttamente.
Gli scrittori, i registi, gli sviluppatori, sono tutti perfettamente consapevoli di quanto possa essere squassante l'incursione nel mondo reale delle fobie, da loro trasformate in creature fantastiche. D'altronde ci vivono di queste cose, quindi fanno leva su di esse per meravigliare, agendo su un vastissimo "campionario" di paure che ogni essere umano, con la sua diversità, può offrire. Il grande scrittore e critico letterario Henry James, autore tra le altre cose dello splendido Il giro di vite, puntava in tal senso a fornire degli indizi su un determinato evento, lasciando che ogni lettore, in rapporto alla sua esperienza privata, alla sua fantasia, delineasse i tratti del suo fantasma personale. "Rendi abbastanza intensa nel lettore la visione del male" scrisse una volta, "e la sua immaginazione gli fornirà più che abbondantemente tutti i particolari. Fa che lui pensi il male, che sia lui a pensarci da solo, e tu sarai sciolto dall'impegno di fiacche descrizioni particolareggiate". La paura che si rivela guardando un film, leggendo un racconto o giocando a un videogioco horror, può essere perfino una forma di godimento. Per un complesso meccanismo, che i mass media ben conoscono e che definiscono come la "sindrome dell'osservatore", una persona adulta ed equilibrata riesce a provare piacere dal coinvolgimento emotivo in un avvenimento violento e sanguinoso che non lo riguarda direttamente. Se poi questo avvenimento non è vero, è cioè legato a situazioni fantastiche, di quelle impossibili che possano verificarsi nel mondo reale, come l'attacco di uno zombi o di un vampiro, è ancora meglio. In fondo cosa c'è di meglio che scaricare le proprie paure proiettandole su eventi e situazioni immaginarie?
Il regista de Il silenzio degli innocenti, Jonathan Demme, in una intervista del 2002 riportata anche da Repubblica, asserì che il perché alla gente piace essere spaventata è una delle domande basilari che da sempre lui e i suoi colleghi si ponevano e alla quale non sono mai stati capaci di dare una risposta soddisfacente. "Più veniamo disturbati, più siamo grati al film o al libro che ci ha inquietato". Ma perché? Il Re degli incubi Stephen King ama spesso citare alcune righe di una vecchia critica cinematografica della rivista Newsweek a proposito di uno scadente film dell'orrore, dove c'era scritto che nonostante i tanti difetti a livello di trama e recitazione, la pellicola sarebbe piaciuta alla gente alla quale piace rallentare e guardare gli incidenti d'auto. "È una buona battuta, molto secca; ma, se ci si riflette un momento, vale per tutti i film e i racconti dell'orrore" sostiene lo scrittore di Portland. "La notte dei morti viventi di George Romero con le sue macabre scene di cannibalismo e di matricidio, era certamente un film che piaceva a chi rallenta e guarda gli incidenti di macchina. La verità (e la maggior parte di noi lo sa, in cuor suo) è che sono pochissimi quelli che possono astenersi dallo sbirciare, con un senso di disagio, i rottami illuminati dai riflettori e attorniati da macchine della polizia che appaiono all'improvviso sull'autostrada, dal buio. Il mattino seguente, persone anziane afferrano il giornale e si affrettano a consultare gli annunci mortuari per vedere a chi sono sopravvissuti. Capita a tutti di rimanere impietriti, per un attimo, nel sentire che è morto Tizio o che è morto Caio". Lo scrittore per bambini Roald Dahl, dal canto suo, ha parlato spesso "del piacere doloroso della suspense" sostenendo in tal senso una sua teoria: "a mio parere i film di orrore e di paura ci piacciono perché ci sono tante cose che ci spaventano come esseri umani, ogni giorno, ogni momento. Siamo terrorizzati da problemi di salute, dagli incidenti, da assassini pazzi che girano a piede libero o da eventi mondiali come la guerra nucleare o gli attacchi terroristici, e se andiamo a vedere un film che ci fa urlare dalla paura possiamo in qualche modo scaricarci. Abbiamo cioè l'opportunità di gridare che siamo terrorizzati da tutto quello che succede oggi nel mondo. Grazie per darmi la possibilità di urlare!". Tanto tutto avviene in un ambiente protetto dove niente accade realmente.
La fantasia al potere
A detta di molti psicologi il fascino e la repulsione generano un comportamento contraddittorio che scatena conflitti e tensioni. Orrore degli insetti, del buio, degli spazi chiusi, ci sono moltissimi tipi di paure, e queste sono spesso legate a dei traumi infantili o al carattere e al tipo di educazione ricevuta da una persona. L'attrice Nicole Kidman, per esempio, ha il terrore delle farfalle, chi scrive invece degli scarafaggi e delle cavallette, mentre un suo caro amico, del buio. Un uomo adulto, intelligente, razionale, padre di due bambini. Eppure, credeteci, tutte le sere quando si mette a letto, sente ancora il bisogno di assicurarsi che sotto al materasso, celato nel buio, non si nasconda qualche mostruosa creatura dell'ignoto, e che le sue gambe e i suoi piedi siano comunque ben bloccati sotto le coperte in inverno o le lenzuola in estate.
Perché una volta spenta la luce sia mai che una mano gelata lo afferri velocemente ad una caviglia sporgente e lo trascini via nella notte. E' consapevole che ciò che fa è assurdo, che non potrebbe mai avvenire nulla di quello che immagina. Ma è più forte di lui, la sua fantasia, le paure ancestrali del buio hanno il sopravvento sul raziocinio. Le paure sono episodi frequenti e comuni nella vita dei più piccoli, ma dovrebbero cambiare in base all'età. Di solito se nell'infanzia ci si trova di fronte a timori di tipo "irrazionale" come le streghe, i mostri e i fantasmi, crescendo dovrebbero mutare, diventare più articolati interessando più da vicino la sfera sociale e relazionale. Ma non sempre è così, come visto, e paure come quella dell'oscurità, certamente una tra le più frequenti, spesso "faticano" a sparire una volta cresciuti. Magari cambiano un po', si adattano e si focalizzano al periodo, proiettandosi al di fuori della vecchia cameretta, verso un corridoio poco illuminato, una stanza o un angolo scuro della casa dove la fantasia "nasconde" e poi riproduce un mostro, "modellandolo" inconsciamente su dei vestiti posizionati su una sedia o appesi all'attaccapanni, che a un certo punto possono evocare una figura umana.
Quante volte abbiamo acceso la luce per controllare che quell'ombra fosse davvero la vestaglia appoggiata sul divanetto e non una creatura della notte, seppur consapevoli dell'assurdità di quel pensiero? "Io intanto l'accendo. So che non è vero, ma faccio luce, così, tanto per non sbagliare" ci ripetiamo in quei casi. E quante volte, così come l'amico di cui sopra, ci siamo affacciati anche noi un attimo per guardare sotto il letto, timorosi di trovarci chissà quali mostri? Col cuore palpitante mentre la testa si avvicinava al pavimento, e sotto ai nostri occhi si apriva come un moderno teatro il sipario di quel particolare palcoscenico che diventava in quell'istante la parte inferiore del giaciglio? Quelle stesse sensazioni, prima di tensione e poi di divertimento, che abbiamo provato mille e più volte nei videogiochi, davanti al primo zombi di Resident Evil, alla prima creatura di Silent Hill, alla visione del primo spettro di Project Zero. La paura, quell'emozione primaria di difesa che l'individuo sviluppa in situazioni di pericolo reali, o che crede tali, si trasforma di fatto in un tipo di sensazione a suo modo divertente quando non compromette la nostra salute. Quando la "minaccia" è solo fittizia, riguarda magari un personaggio elettronico, e può essere ricondotta ad una fantasia rimanendo confinata dentro a uno schermo. La stessa che nonostante si cresca non ci abbandona mai; che ci sprona a giocare con i videogiochi d'orrore e sulla quale alcuni artisti dell'intrattenimento, come abbiamo visto, possono costruire ancora oggi delle storie attraverso le quali sorprenderci e spaventarci. Perché farlo, ebbene si, è ancora possibile. Basta esserne capaci.