L'industria dei videogiochi ha ormai intrapreso una via ben precisa, quella dell'esperienza condivisa. Siamo tutti collegati online grazie a specifiche infrastrutture, possiamo sfruttare la nostra lista amici per trovare in qualsiasi momento un prezioso complice o un avversario. Insomma, un immenso villaggio globale apparentemente sempre più incompatibile con il giocatore solitario. I prodotti spingono su modalità cooperative, tanto che esse finiscono per influenzarne la loro stessa struttura, ma soprattutto su quelle competitive online. C'è addirittura chi decide di basare interamente il pacchetto su quest'ultime, come hanno fatto titoli come Titanfall, Destiny e Star Wars: Battlefront. I cambiamenti devono essere accettati serenamente, ma c'è qualcuno che non è d'accordo con questa tendenza: sono proprio i giocatori amanti dell'esperienza solitaria e che vogliono ancora vivere il videogioco come ai vecchi tempi. Quale futuro si prospetta per chi vuole semplicemente giocare da solo?
Dobbiamo forse rassegnarci a vedere sempre meno prodotti con una componente single player?
Vado a vivere da solo
La verità è che l'amante del single player non è un retrogrado affetto da sociopatia, ma anzi una figura quasi romantica, un protettore degli antichi e più preziosi valori del videogioco. L'avvento del multiplayer non può e non deve essere rifiutato, ma può rappresentare un potenziale pericolo se finisce per alterare gli equilibri delle produzioni videoludiche. Titoli come Titanfall nascono per celebrare un universo definito dalle azioni dei giocatori umani, ma in un gioco esiste anche una storia da raccontare, un mondo da descrivere e che ognuno ha il diritto di vivere anche nella sua intimità. Si tratta di elementi preziosi che non possono sfumare, perché in questo caso si andrebbe a creare un grosso limite alla creatività degli sviluppatori. Un altro aspetto rilevante è quello della nostalgia: se siete dalla parte dei giocatori "single" avete sicuramente giocato da prima del 2000, periodo in cui quello della fruizione solitaria rappresentava sostanzialmente lo standard. Non è affatto un reato voler perpetuare quelle azioni al presente e anche al futuro, si tratta di un impulso assolutamente naturale ma non si può dare per scontato che anche i nuovi giocatori riconoscano la legittimità di questa tradizione. In poche parole, l'equilibrio tra i due mondi è sempre auspicabile, ma coloro che sono cresciuti giocando ai nuovi Call of Duty, a Destiny, Titanfall e Halo potrebbero risultare meno sensibili ad esperienze come The Last of Us che, va specificato, possiede anche lui una modalità multiplayer. Per tante persone la campagna single player, molto spesso negli sparatutto in prima persona, rappresenta una sorta di grande tutorial per prepararsi dai grandi scontri online. Call of Duty: Black Ops 3 è il perfetto esempio di questo iter, tra l'altro agevolato dagli stessi sviluppatori: si gioca il single player quasi per puro svago, per prendere confidenza col sistema di controllo, ma anche con la consapevolezza che la storia non sarà qualcosa di memorabile. Per molti alla fine questa parte è la meno importante del pacchetto, tanto da mettere in discussione il valore dell'intera produzione, nel caso l'interesse sia esclusivamente orientato all'offline.
Che stress, gli sport elettronici!
Un altro argomento interessante è quello della competizione: i giochi multiplayer richiedono tempo e impegno per aumentare le proprie capacità e quelle del nostro alter ego virtuale. Non tutti lo hanno e le fasce più svantaggiate sono quelle dei giocatori meno giovani. Chi ha sempre meno tempo da dedicare a quest'hobby è in difficoltà a trovare un equilibrio con gli impegni della vita reale; inoltre il gioco competitivo è potenzialmente stressante. I giocatori della Rete sono motivati, aggressivi, positivi al cameratismo e con la tendenza a isolare le minoranze. Paradossalmente, non c'è spazio per tutti e il giocatore solitario sembra la figura con la posizione più critica. Per tanti non è divertente giocare con avversari pronti a deriderti e metterti di fronte ai propri limiti. Non si tratta di una critica, fa parte del pacchetto, ma non tutti sono disposti ad accettarne le regole. Un discorso analogo vale anche per i giochi di ruolo multiplayer online, vedi World of Warcraft, dove è necessario raggiungere determinati livelli per risultare competitivi. Spesso, in questi contesti, chi gioca solo per divertirsi si ritrova inesorabilmente isolato. L'esperienza single player è diversa, il tempo da dedicare viene gestito direttamente dall'utente, senza ripercussioni nel mondo di gioco; magari occorrerà più tempo per conseguire determinati obiettivi in un gioco di ruolo, ma nessuno verrà mai tagliato fuori, se non di propria volontà. Il giocatore è anche un consumatore, non dimentichiamolo. Inconsapevolmente consumiamo videogiochi come prodotti, è normale così e chi ha poco tempo libero da dedicare ai videogiochi trova un sistema adatto alle proprie esigenze. Terminato il single player di un titolo, si passa semplicemente a quello successivo. Infine, non meno importante, i costi: gli utenti console Microsoft e Sony di questa generazione devono affrontare spese aggiuntive per usufruire delle funzioni online, offerte a pagamento dalle rispettive case. È vero che sia Xbox Live che PlayStation Plus offrono titoli gratuiti per ammortizzare la spesa dell'abbonamento, ma la condizione implicita è che l'utente apprezzi i giochi proposti ogni mese, un elemento affatto scontato.
Il futuro del single player
Occorre essere consapevoli degli enormi vantaggi monetari garantiti da una produzione fortemente incentrata sul multiplayer. L'interesse verso DLC, pass stagionali e microtransazioni non tende a diminuire, nonostante siano forti le critiche riguardo presunte speculazioni. I fatti però parlano chiaro: i giocatori vogliono pagare per i contenuti aggiuntivi e questi non possono essere più considerati come un elemento secondario. Chiaro che un titolo multiplayer come uno sparatutto ha maggiori potenzialità rispetto alle produzioni singolo giocatore; la monetizzazione post lancio è resa favorevole dall'aggiunta di armi, skin e mappe.
Il supporto può andare avanti per anni, inoltre un relativo investimento sulla campagna agevola i costi produttivi. Infine, ma non in ordine di importanza, sono gli stessi giocatori con il passaparola a contribuire alla promozione di un titolo incentrato sull'online. Sony in tale contesto è stata brava a leggere questi segni e conquistarsi la comunità di Call of Duty e Destiny, firmando accordi con i publisher per aggiudicarsi contenuti su PlayStation 4. Microsoft invece ha più o meno sempre creduto nelle microtransazioni, regolarmente presenti nei suoi titoli interni. Una politica che ha ripagato, vedi l'esempio recente degli incassi per gli acquisti in game di Halo 5: Guardians. Considerato quanto sopra, quale futuro si prospetta per i poveri giocatori solitari? Dobbiamo forse rassegnarci a vedere sempre meno prodotti con una componente single? Fortunatamente i segnali del mercato fanno pensare al contrario: il già citato capolavoro di Naughty Dog ne è un esempio, ma anche la popolarissima serie di Grand Theft Auto non ha perso il suo focus sul single player pur presentando anche una modalità online strutturata. Il mondo della produzioni indie inoltre sembra particolarmente sensibile all'offerta singolo giocatore, non a caso vede tra le sue icone proprio Telltale Games e i vari The Walking Dead, o A Wolf Among Us, che fanno della loro forza la componente narrativa. La stessa Sony è rimasta spiazzata dal successo di Until Dawn, un'avventura horror uscita la scorsa estate, in un mese non proprio favorevole (agosto). Per concludere, case come Techland hanno dimostrato come anche un prodotto single player come il suo Dying Light possa convivere serenamente con le politiche dei DLC, offrendo supporto e contenuti aggiuntivi in grado di espandere sensibilmente l'esperienza. Pensate a The Following, in uscita l'anno prossimo. Cosa dire quindi? Lunga vita al giocatore solitario!