C'è una curiosa immagine che gira sui forum di videogiochi americani, emersa poche ore dopo la presentazione di Breath of the Wild: è un'ironica copertina del gioco - molto grezza, a dire il vero - dal titolo "The Legend of Tony Hawk Gear Just Solid Cause Hunter" (e altri ancora). Per le stesse ragioni qualcuno ha definito il nuovo titolo Nintendo, con molta semplicità, "The game". Il motivo è piuttosto ovvio, e l'avrete compreso anche voi se avete guardato i filmati di presentazione: quest'ultimo The Legend of Zelda infatti offre un'enorme varietà di situazioni. Ricorda Assassin's Creed per le scalate, Tony Hawk per lo scudo-skate in stile Legolas, Metal Gear Solid per l'approccio furtivo ai nemici, Monster Hunter per la cucina e le armi diversificate, Just Cause per la sperimentabilità concessa, Skyrim per l'impostazione generale. È il progetto Nintendo più grande, ambizioso e costoso dai tempi di Super Mario 64 e Ocarina of Time e, se prima dell'E3 qualcuno aveva criticato l'azienda per il focus monotematico su Breath of the Wild, a posteriori si è dimostrata una scelta vincente: il successo tra critica e pubblico è stato dirompente, e forse non sarebbe stata la stessa cosa se avesse diviso lo spazio con altre creazioni, con NX e via dicendo. Per certo con una presentazione del genere Breath of the Wild è stato il gioco dell'E3 più cercato e discusso su internet, riuscendo a intercettare anche il pubblico che abitualmente non segue Nintendo, col risultato che il secondo titolo più chiacchierato della fiera ha meno della metà delle ricerche dell'opera EPD. Oltre a ottenere molti dei "Best of the show" dei siti più importanti, il nuovo The Legend of Zelda ha vinto in tre categorie anche negli award ufficiali della manifestazione: è stato premiato miglior action/adventure, miglior gioco per console e "Best of the show", un riconoscimento mai ottenuto prima da nessun titolo Nintendo (no, nemmeno da Ocarina of Time). Come si è arrivati a un simile risultato?
Perché uno Zelda open world dovrebbe interessare a chi, di open world, ne gioca di continuo?
Lo Zelda Team è andato in pensione
Lo abbiamo scritto in passato, lo ribadiamo adesso di fronte all'evidenza: la saga di Zelda ha accusato molto più di altre la stagnazione degli hardware Nintendo. Si è trovata per dieci anni a dover avanzare, mantenendo il proprio prestigio inalterato, sostanzialmente con le stesse risorse tecniche: certo, anche le scelte degli sviluppatori hanno determinato la traiettoria della serie, ma è innegabile che un open world dal dettaglio zeldiano, su GameCube o Wii (esclusi geniali compromessi in stile The Wind Waker) sarebbe stato impossibile.
Due lustri con lo stesso engine sono un'enormità, e infatti sono stati i dieci anni in cui questo brand ha visto calare maggiormente la propria fama. Aonuma ha velatamente ribadito il concetto all'E3 2014, quando ha mostrato una carrellata di giochi passati, dicendo - all'incirca - che prima di Wii U non avevano abbastanza risorse a disposizione per virare la saga verso un autentico open world. Un'evoluzione naturale che riconcilia la serie con le proprie origini. Tra Skyward Sword e Breath of the Wild sono stati pubblicati due remake, e addirittura due episodi portatili: A Link Between Worlds e Tri Force Heroes. Dal 2011 la costante di Aonuma è sempre stata quella, ed è stata ripetuta fino allo sfinimento, ovvero "ripensare le convenzioni di Zelda". E proprio Aonuma, spesso criticato e discusso per la direzione impressa al brand, è il principale trait d'union tra il vecchio team di sviluppo, che ha curato la serie da Ocarina of Time in poi, e quello nuovo. Il personale interno, l'ex EAD 3, è cambiato tanto quanto il gioco stesso: Miyamoto ha detto che i programmatori sono quasi tutti giovani e alla prima esperienza con Zelda, che hanno passato anni a studiare e ricercare i titoli "AAA" delle altre compagnie. Per capire non solo come poterli ricreare in Giappone, ma anche come poterli "nintendizzare" fin dalle fondamenta. I risultati si vedono eccome. Il balzo in avanti dell'engine di Breath of the Wild - rispetto al precedente - è talmente ovvio che non ha nemmeno senso commentarlo. Dalle animazioni alla fisica, il lavoro svolto è eccellente: i soldi e il tempo spesi per quest'opera daranno i loro frutti anche altrove, così come seppe fare ai tempi il motore di Super Mario 64. Oltre al plotone di giovani leve, pare che il team sia attualmente composto da cento persone, e che trecento abbiano collaborato in totale (compresi uomini Monolith Soft ed EPD Tokyo). Aonuma ha impresso l'impostazione generale al progetto, ma è Fujibayashi a dirigerlo, lo stesso uomo di Skyward Sward: associare il suo game design claustrofobico a un open world potrebbe sembrare un azzardo, eppure in questo caso il rischio pare abbia pagato. Miyamoto per la prima volta non ha seguito la lavorazione di un The Legend of Zelda, se non nelle fase iniziali, e - da quanto dichiarato - tornerà ad aiutare soltanto adesso, in quelle finali.
Interazione
I meriti di Breath of the Wild sono molti. Skyward Sword è stato l'episodio più lineare e quello maggiormente focalizzato sul puzzle solving, delle caratteristiche che per un singolo capitolo possono avere senso, ma che non possono costituire la norma; e infatti su Wii U si è finalmente tornati alla libertà d'esplorazione, tra l'altro senza accettare compromessi. Il gioco vi consentirà di andare dove volete, compreso il posto più rilevante in un'avventura, ovvero quello in cui dove non dovreste recarvi: una meta che in The Legend of Zelda mancava da troppo tempo. I nemici sono più intelligenti del solito, vivono assieme e sono discretamente creativi nell'attaccarvi: anche loro - finalmente! - torneranno a essere una sfida. Ma il motivo principale per cui questo gioco può davvero passare alla storia è la fusione tra open world tridimensionale ed essenza "zeldiana".
E non ci riferiamo soltanto all'impostazione, che comunque anche da sola avrebbe costituito un'attrattiva. I dungeon inseriti in un mondo così vasto, con i cento (e più) templi a puntellarlo, saranno distillato purissimo di genio creativo in un ambito in cui, storicamente, gli open world occidentali sono davvero carenti - e sì, è possibile che quando hanno pensato ai templi gli sviluppatori stessero studiando/rigiocando Super Mario Galaxy. Ripetiamo, non è solo questo, che comunque rappresenta la ragione principale per cui il pubblico era carico di aspettative; non è solo questo perché Breath of the Wild, grazie all'implementazione del motore fisico, permette di sperimentare come (tra gli open world) solo Just Cause aveva concesso in precedenza, ma con una qualità nell'interazione letteralmente senza precedenti. Nintendo ha trovato nella sua stessa anima, nel suo stesso simbolo la risposta alla sfida più grande e diffusa degli open world: come rendere divertente e significativo il viaggio tra un punto di interesse e l'altro? Portando l'interazione a un nuovo livello di eccellenza. Obbligando il personaggio a reagire a ogni curvatura del terreno, rendendolo libero di salire su qualsiasi cosa. Breath of the Wild per questo motivo, e solo per certi aspetti, è più erede di Super Mario 64 che di Ocarina of Time: si sublima nei piccoli spazi di un mondo enorme, invitando il giocatore a "toccare" per il semplice gusto di farlo. Lo invita a fare snowboard con lo scudo, a salire su un albero, a tagliarlo, a spostare gli oggetti col magnete, a trovare soluzioni ingegnose e non previste dagli stessi sviluppatori. Si esalta, sostanzialmente, dove gli altri open world spesso si banalizzano. In attesa di ammirare la versione NX e di capire quanto sarà diversa da quella Wii U, possiamo dire che almeno un effetto - temporaneo - questo E3 l'ha innescato: ha ridato sacralità a una saga che negli ultimi anni si era un po' "normalizzata". Questa fiera, almeno nell'immaginario collettivo e in questo singolo ambito, ha riportato la lancetta a fine anni '90: un tempo in cui c'erano tanti bei giochi... e poi c'era The Legend of Zelda.