The Legend of Zelda: Breath of the Wild è uscito da poco più di dieci giorni, e da parte della critica ha ricevuto un'ottima accoglienza, come a nessun gioco - per qualsiasi piattaforma - capitava da anni.
Mentre continuano ad arrivare voti dalle testate che non hanno ricevuto il titolo in anteprima, e la media complessiva raccolta dai vari Metacritic e Gamerankings oscilla piuttosto marcatamente, ci sono alcuni fatti che comunque vanno segnalati: la creazione di Fujibayashi ha ottenuto il punteggio massimo su riviste storiche come Edge e Famitsu, su alcuni siti importanti e storicamente "avversi" alla serie come Gamespot, è stata definita "la perfezione open world" da Kotaku. Nessuna opera precedente, Nintendo e non, ha ricevuto così tanti 10, e bisogna tener conto che questo Zelda ci è riuscito in un contesto storico in cui le valutazioni tendenzialmente sono più basse che in passato, e in un periodo in cui il gaming nipponico non è più all'apice del mondo. È troppo presto comunque per prevedere come sarà visto Breath of the Wild in futuro, o per decretare che posto occuperà nella storia dei videogiochi: al momento è chiaro che ci troviamo di fronte a un gioco epocale, di quelli che segnano un decennio, e che nessun sviluppatore d'ora in poi, orientale e non, potrà approcciarsi al genere senza considerare i risultati eccezionali raggiunti da Nintendo in termini di interazione e game design. Quello che possiamo fare in questo momento però è comprendere il peso di questo episodio in relazione alle dinamiche interne della saga, e quanto sarà importante per la sua prossima evoluzione.
Dove si inserisce Breath of the Wild all'interno della serie, e come si evolverà da qui in poi?
Le quattro colonne di Zelda
Lo abbiamo scritto varie volte, ma lo ribadiamo ancora: a differenza di Super Mario, che è puro videogioco e per questo adattabile a qualsiasi piattaforma, The Legend of Zelda - così come molte altre saghe - persegue obbiettivi più concettuali e astratti. Ci riferiamo naturalmente all'esplorazione del mondo, all'evoluzione interna del personaggio e alla relazione tra questi due elementi, che di fatto rappresenta l'essenza della serie. Per fare un esempio comparativo, The Legend of Zelda ha postulato la terza dimensione fin dai capitoli bidimensionali, e quindi il passaggio ai poligoni è risultato scontato e connaturato all'anima della saga; al contrario, in Super Mario la tridimensionalità è apparsa solo quando permessa dall'hardware.
In questo senso è evidente quanto per The Legend of Zelda sia importante sfruttare l'evoluzione tecnologica, e quanto abbia sofferto l'obbligata stasi sullo stesso hardware avvenuta tra il 2001 e il 2012 (GameCube e Wii, in pratica). Fatto sta che, dopo tanti anni, possiamo finalmente dire che la serie ha avuto non più tre, ma quattro step evolutivi fondamentali: The Legend of Zelda per NES, A Link to the Past per SNES, Ocarina of Time su Nintendo 64 e Breath of the Wild per Switch e Wii U (con The Wind Waker primo escluso della lista, un gioco che andava verso la direzione giusta ma, per questioni di tempistiche e di potenzialità hardware, ha mancato l'ingresso nella Storia con la "S" maiuscola). The Legend of Zelda è uscito nel 1986, ed è stato ideato e plasmato da Shigeru Miyamoto: presenta un grande mondo esplorabile a piacimento, con dei dungeon affrontabili nell'ordine preferito. Un titolo con pochissimi personaggi di contorno e molto impegnativo, che ha segnato un'epoca e ispirato tanti giochi successivi, tra cui - in tempi recenti - i celebri e pregevoli Dark Souls. A Link to the Past è stato pubblicato nel 1991, è stato diretto da Takashi Tezuka - il braccio destro di Miyamoto, di qualche anno più giovane - ed è il titolo che, di fatto, ha canonizzato la struttura di tutti gli episodi successivi. La sua Hyrule è anch'essa grande e vasta, ma anche più variegata nell'ambientazione e maggiormente ricca di villaggi e personaggi non giocanti. Soprattutto l'esplorazione è qui strettamente legata all'inventario disponibile, e vincolata ad esso: prima di ottenere determinate armi è impossibile accedere a certe aree, e i dungeon stessi sono imperniati sul ritrovamento, e sul successivo utilizzo, di un singolo oggetto.
Una struttura trasportata in tre dimensioni, e glorificata da esse, da Ocarina of Time: un gioco leggendario pubblicato nel 1998, diretto da Shigeru Miyamoto e co-diretto da Eiji Aonuma e Yoshiaki Koizumi, il cui impatto rimane ancora oggi, considerato il contesto storico, probabilmente insuperato (e difficilmente superabile). L'assoluta eccellenza di questa opera ha sostanzialmente precipitato la saga in un limbo che, pur rimanendo su livelli ottimi, non ha abbandonato per venti lunghi anni. Ocarina of Time è stato il modello di riferimento per tutto questo periodo: c'è chi ha provato - riuscendoci - a ribaltarlo (Majora's Mask), chi ha provato a frammentarlo e spingerlo verso l'open world (The Wind Waker), chi lo ha fronteggiato sul suo stesso terreno (Twilight Princess), chi ne ha esacerbato alcuni aspetti evitandone totalmente altri (Skyward Sword). Nintendo ci ha messo tanto, ma alla fine ha capito che il miglior modo per andare oltre Ocarina of Time non era sfidarlo a duello, bensì approfondire la sua debolezza: quell'overworld che, per forza di cose, nel 1998 non era altro che una semplice pianura connettiva. Una strada che, come già detto, aveva parzialmente intrapreso anche The Wind Waker, senza però seguirla fino in fondo. Breath of the Wild non solo da quel punto debole ha ricavato la sua forza principale, proponendo un mondo enorme e unitario interpretabile a piacimento, ma ha anche parzialmente ripudiato Ocarina of Time e la sua recente progenie, autoproclamandosi erede diretto del miyamotiano capostipite.
E da qui dove si va?
Breath of the Wild, oltre a essere un grande ritorno alle origini, è anche un notevole strappo rispetto a qualsiasi altro The Legend of Zelda tridimensionale. Certo, il DNA è quello, ci sono delle vicinanze, ma nella struttura e nell'impostazione, quindi nel game design, è radicalmente diverso. Ci ripetiamo, a costo di sembrare pedanti: Breath of the Wild non solo rappresenta una rottura rispetto alle convenzioni imposte da Ocarina of Time ma, indirettamente, anche rispetto a quelle canonizzate dal precedente A Link to the Past.
Proprio per questo motivo il pubblico che maggiormente rischia di rimanere deluso da questo titolo è quello storico, quello che ha amato e seguito The Legend of Zelda negli ultimi venticinque anni. L'unico elemento ereditato direttamente dagli ultimi capitoli sono i puzzle, comunque meno dominanti rispetto alle recenti iterazioni, nonché diversi grazie al motore fisico che dona pluralità agli enigmi. Quindi: acclarata la qualità adamantina di Breath of the Wild, come proseguirà la saga da qui in avanti? Come e dove potrà evolversi? Purtroppo, o forse per fortuna, non c'è una risposta scontata. Questo titolo rischia di creare uno scisma in stile Super Mario 3D World, con la serie tridimensionale dell'idraulico internamente separata tra open world (à la Super Mario 64) e linearità. Ma non è detto che sia così. Del resto Ocarina of Time aveva quell'impostazione dell'overworld principalmente per limiti tecnici: nessuno vieta di creare uno The Legend of Zelda più tradizionale, che allo stesso tempo però non tradisca la struttura aperta celebrata da quest'ultimo episodio. Sarà difficile ormai, per tanti aspetti, tornare indietro: difficile rinunciare al continuo "gameplay emergente", alle variabili del territorio, alla possibilità di arrampicarsi ovunque, al motore fisico realistico.
Tutto ciò implica, forzatamente e necessariamente, anche un'impostazione dei puzzle che non sarà mai più quella di una volta. Tuttavia l'arrivo dirompente di Breath of the Wild, la sua carica innovativa e rivoluzionaria, ha mascherato due aspetti del gioco che non sono ripetibili: essendo il primo, autentico open world di EPD, Nintendo si è permessa di utilizzare due trucchetti non canonizzabili, due soluzioni che non possono divenire standard. Ci riferiamo alle modalità di narrazione, incentrate sul recupero dei ricordi, e ai Sacrari (nonché ai dungeon, senza entrare nei dettagli) avulsi, in maniera minore o maggiore, dal restante mondo di gioco. Insomma, se questo è un richiamo al capostipite, se questo è davvero il primo The Legend of Zelda rinato e fatto tridimensionale, il prossimo potrà procedere in due modi: o affrontando il tutto da una chiave di lettura alternativa (come Majora's Mask fece con Ocarina of Time), ma questo potrebbe essere compito esclusivo del futuro DLC, oppure intersecando la nuova Hyrule di Breath of the Wild con quella apprezzata negli ultimi venti anni. In sostanza: rinunciare a un po' di libertà per ordinare maggiormente il mondo di gioco, creando di fatto un A Link to the Past tridimensionale, oppure un Ocarina of Time open world, che poi sono due idee, almeno sulla carta, del tutto coincidenti. È chiaro comunque che Breath of the Wild segni un nuovo punto di partenza, un nuovo modello a cui fare riferimento, e questa è la notizia più importante.