Tra meno di due mesi tornerà sugli scaffali Donkey Kong Country: Tropical Freeze in una versione migliorata e decisa a tirare le orecchie a tutti coloro che non videro nell'opera di Retro Studios quanto invece meritava, complice una congiuntura tecnologica - e comunicativa - al tempo ben poco favorevole a Kyoto. Donkey Kong è cambiato, si, ma in meglio. È molto probabile, però, che per la stragrande maggioranza di voi Donkey Kong sia uno scimmione con una cravatta rossa. Anche molto altro, certo, ma intanto iniziamo questo piccolo viaggio di tre puntate nella famiglia Kong con un grande interrogativo: sicuri che il primo Donkey Kong - apparso su cabinato nel 1981 - fosse il Donkey Kong che tutti conosciamo? Ebbene no, non è affatto detto. Non è obiettivo di queste righe tirare per la giacca fonti più o meno ufficiali ma c'è di dice che quasi quattro decadi fa, a tirare barili a Jumpman, fosse Cranky Kong in versione giovane. Forse Cranky era quindi il primo Donkey, che poi invecchiando si prese un bastone e il nome (il soprannome) che tutti conosciamo, lasciando spazio al nipote palestrato. Cominciano quindi così, con un grande aneddoto avvolto da leggenda, le nostre chiacchiere sulla storia di una delle più famose e vendute proprietà intellettuali di Nintendo, passata di mano in mano fino ad arrivare - come direbbe il mai abbastanza compianto Iwata - direttamente a voi, giocatori odierni, nella sua miglior forma. È in virtù di questo caposaldo che vogliamo riabbracciare lo scimmione dal principio; perché se non accettiamo discussione sul fatto che la trilogia di platformer pubblicata su Super Nintendo sia uno dei picchi di bidimensionalità prodotti nell'era moderna, è altrettanto vero che oggi viviamo in un'epoca differente e certe cose vanno talvolta riprese e spiegate di nuovo. La famiglia Kong non ha percorso solo parecchia strada: ha sdoganato il concetto di arcade nell'America degli anni '80, attraversato le competenze di alcuni tra i più abili direttori di produzione videoludica esistenti, ridefinito un genere combattendo ad armi pari con un gigante buono chiamato Super Mario (World prima e 64 poi). Ci arriviamo con calma, intanto scusate se è poco.
Scimmie spaziali
Ci credete che tutto nacque da uno shooter del '79? Si chiamava Radar Scope, un cabinato Nintendo piuttosto fallimentare che partì scimmiottando (termine non casuale) i grandi classici di Taito e Namco per poi diventare terreno fertile dove coltivare banane. Fu sulla tecnologia di Radar Scope che Miyamoto sviluppò il primissimo Donkey Kong, mentre installazione e distribuzione furono progettate sui cabinati in surplus già prodotti e avviati alla discarica. Shigeru traghettò Nintendo fuori dalla melma con quello che divenne uno degli arcade più venduti e influenti di sempre, una copertina di quel decennio che ancora oggi è dogma. Lasciando perdere il citazionismo interno di EAD Tokyo e l'inserimento di un delizioso easter egg in Super Mario Odyssey, il primo titolo della saga rappresenta una sorta di quintessenza nintendiana: un eroe, un nemico, una ragazza da salvare. Bowser sarebbe arrivato solo qualche anno dopo con Super Mario Bros. mentre Donkey avrebbe iniziato in parallelo un percorso di personal branding verso la redenzione mediatica. È in Donkey Kong Jr, nel 1982, che assistiamo a un cambio di registro unico: il figlio di Donkey Kong (Jr., ovvero il teorico padre del Donkey con cravatta) deve salvare il padre (Cranky?) dalla gabbia dove a far la guardia abbiamo... Mario. È in questo sequel da sala giochi che il buon italico fa la sua prima e unica comparsa come "cattivo", intento a scongiurare che il bottino animalesco dell'anno precedente torni in libertà. Dentro le sale giochi un botta e risposta anomalo, d'altri tempi, animava il circuito videoludico, pionieristico e in costante evoluzione, con travasi di software tra console e cabinati a metà tra l'antesignano, lo sperimentale e il rischioso. Ancor più di Mario Bros., Donkey Kong fu rappresentante perfetto della prima, vera, concreta filosofia cross-mediale di Nintendo: inizialmente su cabinato nel 1981, evolutosi in versione portatile nel 1983 e atterrato su NES con la raccolta Classics.
Ovunque, già negli anni '80
Sì, se non lo sapevate Donkey Kong II fu pubblicato su Game&Watch, ma scomparve presto dai radar; fu un debutto quasi fortunato poiché Donkey Kong III, in quei radar, nemmeno riuscì a entrarci. Il terzo capitolo fu una sorta di shooter su binari decisamente fuori dal seminato e per questo dimenticato dai posteri. Immaginatevelo come il Super Mario Bros. 2 dei Donkey Kong. Al di là delle considerazioni qualitative sui singoli prodotti, questo approccio delineò una strada che la compagnia avrebbe percorso con ancora più enfasi pochi anni più tardi. Era il 1983, la verticalità del primo Mario Bros. aveva raccontato tutto il narrabile ed era ora decisamente di far evolvere la formula. Nel 1985, con il crack dell'industry del gaming finalmente alle spalle, Super Mario Bros fece capolino prima in Giappone, poi a distanza di due anni nel resto del mondo. Tralasciando l'impatto, che meriterebbe una trattazione a parte, desideriamo focalizzarci sull'impronta - e l'accelerazione - che Nintendo stava imprimendo al mondo dei videogiochi non tanto per l'importanza sociale ed economica della stessa, ma per tutto ciò che un certo Shigeru Miyamoto, plasmando la storia, stava trasmettendo ai programmatori in erba che in quegli anni passavano i pomeriggi nei garage a scrivere codice. Donkey Kong riuscì nell'arduo compito di lanciare prima di tutto sé stesso come icona nel mondo, e poi e solo poi servire da trampolino di lancio per Mario, ispirando future leggende del game design e servendo da collante generazionale per un medium appena risorto, ancora in fasce, destinato a diventare un falò dove artisti, coder e informatici avrebbero gettato i propri sogni e le proprie ambizioni, nella speranza di farle divampare. Siamo arrivati negli anni '90, gli anni della consacrazione della golden age videoludica. È in questo contesto di rinascita e grande fermento pop-culturale che stava crescendo la figura di Miyamoto, ma non solo: mentre il talento dell'uomo di Sonobe stava gettando basi di titanio sopra le quali lasciar proliferare l'ascesa delle sue creazioni seminali, altre figure di rilevanza globale legate al brand Donkey Kong stavano pian piano crescendo nell'ombra tra Giappone, Inghilterra e Texas. Ve le sveleremo nella seconda parte di questo racconto, intanto provate a indovinarle.