Versione testata: Xbox 360
Due altre volte prima del provato di cui parleremo in questa sede avevamo avuto la possibilità di vedere Deus Ex: Human Revolution. In entrambi i casi lo stato dei lavori era apparso incerto. In bilico tra le enormi ambizioni che il progetto si porta dietro e una ancora non perfetta esecuzione di ciascuna delle molte parti che compongono il terzo capitolo della serie che regalò imperitura gloria a Warren Spector.
Un sali-scendi di sensazioni inevitabile per un gioco che si prefigge di lasciare liberi di affrontare ogni situazione in molteplici modi, dovendo realizzare al meglio ciascuno di essi pur con il rischio concreto che molto del materiale inserito non venga mai nemmeno visto da una fetta di coloro lo acquisteranno. E il tutto senza considerare le difficoltà imposte dalla realizzazione di un universo e di una trama fantascientifica di valore, dall'ottenimento degli standard qualitativi che le produzioni più blasonate riescono a garantire a fine ciclo generazionale e dell'immane confronto con Deus Ex. Fortunatamente, più si avvicina un'uscita attualmente prevista entro la fine della prossima primavera e più le cose sembrano mettersi per il meglio: dei confronti scomodi con il passato potremo parlare solo tra qualche mese e della qualità delle meccaniche emergenti disegnate dal team di sviluppo tra alcune settimana, come detto in apertura, lasciandoci per ora il solo onere di descrivere la prima mezz'ora scarsa di gioco. Quella che non fatichiamo a definire come una delle introduzioni più efficaci degli ultimi anni.
Verso il disordine
Tutto si può dire dello sviluppatore Eidos Montreal, tranne che non sia in grado di pianificare un climax di grande impatto emotivo. La sequenza di gioco che precede i titoli di testa passa infatti in rassegna le superfici cromate e le tonalità che virano dal nero all'oro delle Sarif Industries, la multinazionale dove il protagonista Adam Jensen lavora come capo della sicurezza dopo un passato nelle forze speciali, per poi stravolgere le carte in tavola, oltre che la vista, con il bagno di sangue che conclude l'attacco al palazzo ad opera di un non meglio precisato gruppo d'assalto. In mezzo a tutto questo si trovano i primi scampoli di gameplay, l'introduzione di alcuni personaggi di primaria importanza e una dichiarazione d'amore finale, appena sussurrata, che sembra alzare verticalmente la posta messa in gioco da Deus Ex: Human Revolution. E pensare che la giornata era iniziata con un semplice tour guidato tra i corridoi del più visibile riscontro del successo ottenuto da David Sarif: CEO dell'omonima industria, laureato al MIT e impegnato nel campo degli innesti biomeccanici, è lui l'uomo attorno a cui sembrano ruotare tutte le vicende, il deus ex machina di quei tempi.
Un campo, quello degli innesti, che nel 2027 di Human Revolution promette di aprire nuovi orizzonti al genere umano ma che spalanca questioni di ordine etico, invidie e tutto quel genere di reazioni così perfettamente umane e prevedibili ma altrettanto sufficienti come alibi per scatenare la furia che sconvolgerà la vita di Adam Jensen, muovendone i passi successivi. La rappresentazione della grandezza del progetto di Sarif viene mostrata ad Adam - quindi al giocatore - facendolo passeggiare tra laboratori colmi di complessi macchinari biomeccanici, come un paio di gambe perfettamente articolate e in grado di riprodurre la corsa dell'atleta che vi sta accanto. In modo simile non vengono nascosti i compromessi a cui un progetto così ambizioso deve scendere, con torrette e armi di vario tipo sperimentate poco vicino, indicando come la volontà di migliorare l'intero genere umano sia sottoposta anch'essa alle severe leggi di mercato e nello specifico ai contratti con i militari per le forniture di nuove tecnologie.
Chiaroscuri che contraddistinguono l'impero di David Sarif oltre che la sua persona, ma che non sembrano toccare Megan Reed, scienziata di punta del laboratorio e figura con cui l'alter ego del giocatore sembra avere enorme sintonia, anche sentimentale. Proprio muovendosi all'interno del suo studio è possibile apprezzare la voglia di approfondire la documentazione messa a disposizione del giocatore, uno dei mezzi con cui si darà spessore alle vicende.
Navigando nel suo computer fino alle mail si viene a conoscenza di un paziente apparentemente più importante degli altri, la chiave per risolvere il problema del rigetto delle protesi biomeccaniche, il più grande ostacolo alla rivoluzione delle Sarif Industries. Un motivo di contrasto all'interno del progetto a cui si presta poca attenzione sul momento, ma a cui la mente torna quando si viene mandati all'ingresso del grattacielo per fronteggiare l'assalto che concluderà la sequenza. Sempre nel campo delle suggestioni ci sono altri spunti che meritano di essere citati. La personalità esuberante di Sarif e l'intimità che subito si vede esserci tra Adam Jensen e la Reed, ad esempio, dimostrano una certa capacità nello scrivere figure esuberanti o positive, ma anche gli scambi al vetriolo con Pritchard, il capo tecnico di laboratorio che è chiaro sin da subito non nutre un amore incondizionato verso il protagonista, mettono in mostra una certa efficacia nell'insinuare nella testa del giocatore la malattia del sospetto.
Tutto sotto controllo
Lo schema dei comandi di Deus Ex: Human Revolution è piuttosto standard fatta eccezione per il sistema di coperture permutato da quello di Rainbow Six: Vegas. Potremmo descriverlo, certo, ma è molto più comodo lasciarvi alla foto che abbiamo scattato...
Le due versioni presenti all'evento, Xbox 360 e PlayStation 3, proponevano due layout pressoché identici mentre per quanto riguarda l'incarnazione PC, non è stato possibile né metterci mano né tanto meno vederla.
Qualche scorcio
Se il coinvolgimento garantito dalla sequenza introduttiva è enorme, da un punto di vista ludico questa lascia solo intravedere il potenziale del gioco. La prima mezz'ora è infatti totalmente lineare, perdendo l'approccio libero che più avanti lungo i livelli, come descritto nelle precedenti anteprime e nello spirito della serie, permetterà di muoversi ad armi spianate come silenziosamente, sfruttando le proprie capacità di relazionarsi con i personaggi non giocanti come penetrando nei sistemi di sicurezza. I due approcci principali, il combattimento e quello stealth, fanno comunque capolino durante l'assalto alle Sarif Industries, dandoci l'opportunità di discuterli brevemente. Il primo pur permettendo di scagliare gli oggetti che arredano gli ambienti contro gli avversari, si fonda interamente sull'uso delle armi da fuoco e la prospettiva in prima persona per mettere in scena le situazioni tipiche del genere. Accanto a meccaniche come la necessità di ricaricare e l'iron sight, comunque, Eidos Montreal ha voluto aggiungere le coperture.
Adam si parerà dietro muri, ostacoli e più in generale ogni oggetto sufficientemente grande quando il giocatore terrà premuto l'apposito tasto - il grilletto sinistro nella versione Xbox 360 provata - per uscirne al momento del rilascio. Mentre in copertura inoltre, la telecamera passerà in terza persona: una scelta che facilità i movimenti da copertura a copertura ma forse fa perdere qualche istante mentre si prende la mira. Il sistema è lo stesso di Rainbow Six Vegas, dove funzionava piuttosto bene, ma prendiamo l'impegno di ridiscuterne approfonditamente appena ne avremo la possibilità. L'abilità di muoversi fuori dalla vista dei nemici invece, non si basa come in altri titoli sulla presenza di zone d'ombra o speciali indicatori, ma sulla linea visiva dei nemici e sul concetto di silenziosità. Bisognerà perciò frapporre un qualche ostacolo tra sé e gli occhi di chi si vuol evitare d'incontrare: una soluzione molto omogenea e credibile, su cui come per le sparatorie dovremo tornare tra qualche settimana.
Il primo breve scorcio di Deus Ex: Human Revolution si propone quindi come un'introduzione perfetta a un titolo che si preannuncia complesso come pochi ne vedremo quest'anno. E il bello è che la parte migliore deve ancora arrivare... ma per quella toccherà aspettare il prossimo 24 febbraio alle ore 18, quando potremo analizzare per intero le prime ore dell'avventura.
Parola al game director
Tra un caricamento e l'altro e più precisamente tra una dipartita e quella successiva - il gioco è parecchio impegnativo anche a livello Normale, per non parlare della temibile difficoltà Deus Ex... - abbiamo avuto la possibilità di scambiare qualche battuta con Jean-Francois Dugas, game director al servizio di Eidos Montreal, disponibilissimo a chiarirci alcuni dettagli sull'ambizioso progetto su cui è al lavoro da qualche tempo oramai.
Oramai è parecchio tempo che si parla di Deus Ex: Human Revolution e avete avuto modo di chiarire più volte come stiate cercando di proseguire lungo la strada tracciata in precedenza dalla serie e in particolare dal primo capitolo. Quello che vorrei sapere, adesso, è cosa invece avete deciso di cambiare radicalmente perché non moderno a sufficienza o buono abbastanza.
Ci siamo mossi in modo da individuare quali fossero gli aspetti fondanti che un gioco della serie Deus Ex dovesse avere a tutti i costi e quindi abbiamo lavorato di fino così da capire cosa eventualmente non fosse più valido. Ad esempio il sistema di hacking del primo Deus Ex era troppo semplicistico, volevamo qualcosa di più complesso, quanlcosa che metta più stress al giocatore mentre prova ad aprire una porta o ad accedere a un terminale. Oppure, parlando degli innesti, erano in larga parte passivi, legati all'aumento di qualche statistica, mentre noi volevamo fossero più divertenti e interattivi da usare. Cose così. Non si è mai davvero trattato di andare verso direzioni completamente diverse, solo di cogliere delle opportunità per mettere mano a quanto già fatto dalla serie.
Immagino che anche in termini di pubblico, di chi poi pagherà per giocare a Human Revolution, sia cambiato molto dai tempi di Deus Ex. Come vi ponete rispetto alla differente audience?
L'originale era un titolo estremamente hardcore, quasi di nicchia, che è ricordato con affetto da molte persone ma non da tantissime come in altri casi. Con questo capitolo quello che vogliamo ottenere è ridare vita a quell'approccio che permetteva di affrontare ogni situazione in una varietà di modi, ma farlo portando l'esperienza ai giocatori della nuova generazione, ai giocatori di oggi. Abbiamo perciò lavorato in modo tale che l'universo di gioco avesse un certo appeal, così come il protagonista: gli utenti dovranno interrogarsi e volerne sapere di più su di lui, cerchiamo di fare in modo che sia quanto più intrigante possibile. Il nostro compito è quello di mirare a un bacino d'utenza più vasto ma questo non implica rendere l'esperienza più semplice, solo rispettare quella profondità rendendola nel contempo più spettacolare, fuori dagli schemi. In termini di complessità non ci saranno perciò compromessi.
Immagino che chiedendo a quali fonti di ispirazione abbiate attinto, si rischi di aprire una parentesi infinita...
Ci siamo guardati attorno verso tutte le direzioni. E non parlo solo di fantascienza. Abbiamo letto parecchi trattati relativi alle direzioni intraprese dal genere umano, a quello che ci aspetta nel futuro prossimo. Abbiamo parlato, ad esempio, con il CEO di MicroTrend, una società americana che si sta muovendo a livelli di studio nel campo degli innesti e ci hanno aiutato molto a dare maggior credibilità ai rilievi scientifici che la documentazione all'interno del gioco riporta. E poi ovviamente film come Blade Runner, Robocop ma anche pellicole non così buone come Jhonny Mnemonic, perché possono suggerire spunti interessanti. Oppure anime giapponesi come Ghost in the Shell. Alcuni pilastri del cyberpunk, anche. L'importante per noi è che si senta l'ispirazione ma allo stesso tempo il giocatore possa registrare la tara originale del prodotto, lo senta come qualcosa di unico e nuovo.
Riguardo il concetto di unicità, di esprimere qualcosa di proprio, spesso la fantascienza di qualità è quella che veicola anche un messaggio, un avvertimento o un pensiero. Voi volete portare un punto di vista particolare con Deus Ex: Human Revolution?
Ci sono dei temi che vogliamo trattare, sì, su tutti ovviamente quello degli innesti, se siano legittimi oppure no. Però non diamo giudizi a tal proposito, così come non ci spingiamo a fare lezioni di etica o filosofia. A un livello più profondo vogliamo davvero esplorare la coscienza umana, capire perché facciamo quello che facciamo e come ogni nostra azione sia veicolata a un certo livello da una ragione ben precisa. Però niente posizioni preconfezionate, le scelte e le ragioni saranno sempre quelle del giocatore.
Quindi Alex Jensen e il giocatore che lo controlla potranno scegliere di rifiutare il concetto dietro agli innesti e terminare il gioco senza potenziarsi? Modificherà il gioco in termini di sviluppo della trama e finali multipli?
Sì è una possibilità. La storia impone, proprio durante la scena dei crediti iniziali, alcuni innesti a Jensen ma, a parte quelli di base acquisiti in quell'occasione, è possibile terminare il gioco senza prendere altri innesti, sì. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, senza entrare nei dettagli, diciamo che ci saranno alcuni aspetti che verranno influenzati da questo tipo di scelte.
Mettendo da parte per un secondo il gameplay, anche il comparto artistico del gioco è caratteristico. Fate molte citazioni al Rinascimento mentre la palette sfrutta tantissimo il nero e le tonalità dell'oro. Come mai questa direzione?
Quando abbiamo iniziato a sviluppare il gioco volevamo distinguerci da tutto il resto: il giocatore deve vedere Deus Ex: Human Revolution e sapere cos'è, punto e basta. D'altra parte però, non era nelle nostre intenzioni fare qualcosa di distintivo per il semplice gusto di farlo, dovevamo supportare i temi trattati e la storia. Dalle prime discussioni che abbiamo fatto internamente abbiamo capito come il contesto da noi descritto abbia diversi punti in comune con il Rinascimento: entrambi hanno alle spalle periodi bui da cui però si esce grazie alle iniziative di alcune persone illuminate da grandi idee e ideali, non sempre immacolati o giusti ma comunque in grado di rivoluzionare il modo di vivere delle persone. Abbiamo deciso di percorrere questa analogia guardando all'arte e all'architettura rinascimentali, infondendole nelle nostre creazioni in modo da renderle coerenti: ad esempio l'influenza del Rinascimento si vedrà maggiormente in ambienti e abiti di chi supporta gli innesti e quel tipo di progresso biomeccanico piuttosto che in chi li contrasta, che invece sarà caratterizzato da uno stile più asciutto. Per quanto riguarda la palette nera e oro, è un modo che abbiamo scelto per riprodurre il fascino degli ambienti illuminati con le candele, sempre per rimanere nel recinto dei riferimenti al Rinascimento. Ma attraverso questi due colori così in contrasto volevamo mettere in contrapposizione anche le differenti tematiche: l'oro come il sole, la luce della ragione e il progresso unito al nero che simboleggia le brutture di una distopia che troppo impone ai suoi cittadini, ma anche i pericoli che gli innesti potrebbero portare.
Da un punto di vista del game design, siamo nell'era degli sparatutto in prima persona come Call of Duty e Medal of Honor da sei ore e via, mentre voi fate un gioco che aggiunge elementi ruolistici e promette di durarne qualche decina, con percorsi multipli e differenti scelte. Non avete paura di creare un mucchio di contenuti che nessuno vedrà mai?
Sì ci sentiamo come le pecore nere all'interno dell'industry: dove gli altri stanno andando verso una direzione, noi prendiamo quella opposta. Per me la questione si risolve nella capacità di intrattenere il giocatore: se riusciamo a creare contenuti che lo coinvolgono, che lo spingono a voler vedere e fare più cose differenti, possiamo toglierci parecchie soddisfazioni. E quello che mi fa ben sperare è quanto vedo durante i playtest che stiamo facendo. La difficoltà è convincere la gente a iniziare a giocare ma, una volta presa la mano con il gioco, non vogliono più smettere. Anche i tester che vengono da noi per sessioni di cinque o sei giorni, non riuscendo magari a completarlo, ci chiedono di poter tornare per finirlo; cose che non abbiamo visto nel caso di altri titoli a cui abbiamo lavorato in passato. C'è qualcosa in questo gioco che credo siamo riusciti a fare in modo da non annoiare il giocatore, un feeling dovuto ai molti cambi di ambientazioni, di nemici e di situazioni. Quindi, se ho paura? Guardando le statistiche la maggior parte dei giocatori, anche di fronte a prodotti da 6-8 ore e non da 25-30 come il nostro, non finiscono i videogame che acquistano; è una cosa spiacevole ma la sappiamo. Vale anche per me, prendo parecchi giochi ma ho solo il tempo per finirne alcuni... però so che ci saranno anche diverse persone che lo compreranno e lo finiranno, magari più di una volta, rendendo i nostri sforzi meritevoli di essere fatti.
Un'ultima cosa, avete in mente di rilasciare una demo?
E' una domanda che dovresti porre a qualcuno delle pubbliche relazioni, non ti so rispondere precisamente. Però dal mio punto di vista avrebbe certamente senso...
Grazie mille, alla prossima e in bocca al lupo!
A voi.
CERTEZZE
- Introduzione di grande impatto
- Ottimo lavoro sui comparti narrativo e artistico
- Nei mesi aspetti come le sparatorie e le fasi stealth sono cresciuti parecchio
- Un'uscita quasi unica per caratteristiche quest'anno
DUBBI
- Riuscirà a mantenersi agli stessi livelli per tutta la (lunga) durata?
- L'intelligenza artificiale come reagirà alle molte possibilità date al giocatore?
- Necessita ancora di diverse rifiniture