Alla fine dello scorso anno, durante il sempre troppo freddo inverno svedese, leggevo senza tregua The Drifting Classroom di Kazuo Umezz (in Italia "Aula alla Deriva"). Mentre sfogliavo le pagine di questo inquietante manga, mi soffermai su alcune bellissime tavole pensando "Che spettacolo, mi fa pensare tantissimo a Death Stranding". Mi perdevo nel forte senso di isolamento che permeava il questo racconto, nella rappresentazione di un gruppo di persone completamente fratturato. Osservavo anche la superficie scura e viscosa delle lande desolate in cui si ritrovava Sho - il ragazzino protagonista di quest' horror giapponese - molto simile alle aree incatramate dell'ultimo lavoro firmato da Kojima Productions. "Chissà se Hideo Kojima e Yoji Shinkawa l'hanno letto, o se l'hanno posizionato in qualche moodboard per definire i tratti estetici del mondo esplorato da Sam Porter Bridges", ho pensato.
Quando parliamo di videogiochi, spesso e volentieri ci soffermiamo molto sulle influenze che gli uni hanno sugli altri, su come determinate meccaniche di gioco vadano ad evolversi e a compenetrare nel mix creativo di altre produzioni. Impossibile pensare a Gears of War senza Resident Evil 4, a Virginia senza Thirty Flights of Loving, a Journey senza ICO. Eppure sono tantissime le scelte stilistiche, tematiche e di gameplay che attingono a piene mani (più o meno intenzionalmente) da altri media come cinema e letteratura. Non è particolarmente difficile individuare le influenze stilistiche del cinema di Lynch nelle produzioni Remedy, o il cosmicismo di HP Lovecraft nei lavori di Frictional Games.
Quest'estate, durante la sempre troppo calda estate siciliana, ho preso tra le mani Il Gene del Talento e i Miei Adorabili Meme, l'ultimo libro di Hideo Kojima, pubblicato in Italia da 451 Publishing con traduzione di Davide Campari. L'ho preso sia perché ovviamente - da estimatore del papà di Metal Gear - volevo capire meglio il suo approccio ai media e alla pop culture, sia perché l'edizione italiana ha anche una copertina troppo più bella (anche se Kojima non pare averla capita). A dire il vero, pensavo inizialmente che il libro fosse una sorta di unico saggio sull'intreccio fra i media ed il mondo dell'intrattenimento. Mi sono però presto reso conto, dopo poche pagine, che Il Genio del Talento altro non è che una collezione di articoli brevi, scritti dal game designer nel corso degli scorsi 10-15 anni.
Kojima e i libri
Il libro è diviso principalmente in due parti. La prima racchiude articoli scritti per la rivista Da Vinci fra il 2010 ed il 2013. In questa, Kojima parla soprattutto di opere letterarie - molte delle quali giapponesi - che lo hanno colpito e che hanno in un modo o nell'altro influenzato i suoi lavori e anche il suo modo di vivere. Partendo da Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie arriviamo a Le Notti di Salem di Steven King. Sono tutte letture brevi molto leggere e facili da seguire. Non troverete quasi mai passaggi in cui viene esplicitamente dichiarato come un certo libro abbia direttamente influenzato Metal Gear, PT o Death Stranding, ma i più abili estimatori di Kojima-san potranno certamente cogliere diverse connessioni con i suoi videogiochi. Sfogliando le pagine vi sembrerà proprio di leggere un Kojima editore, entusiasmato da tantissime grandi opere realizzate da altrettanto grandi autori. Percepirete quanto la letteratura abbia avuto un enorme ruolo nella sua formazione, e come diverse influenze internazionali abbiano, in un modo o nell'altro, lasciato un segno su quest'uomo composto al 70% dal cinema.
Con mia genuina sorpresa, una tra le opere discusse in questa prima metà è proprio The Drifting Classroom: nella sua analisi Kojima si sofferma principalmente sul comparto horror del manga di Umezz, e identifica quello che è uno dei temi principali dell'opera: il senso di isolamento. È un qualcosa che pervade gli ambienti e che appesantisce l'esistenza di molti dei personaggi di questo manga uscito alla fine degli anni '80. È, soprattutto, lo stesso isolamento che Kojima ha provato durante gli anni della sua adolescenza, in famiglia e con i propri compagni di scuola. Da nessuna parte nella sua analisi viene dichiarato un collegamento diretto con la realizzazione di Death Stranding, e ovviamente non ho la presunzione di dire che io ci abbia veramente preso, ma sta proprio qui il piacere del leggere questi brevi articoli: ci permettono di immaginare e visualizzare la rete di opere che, in qualche maniera, fanno parte del bagaglio culturale di ogni persona.
Kojima e il cinema
È, invece, sul campo cinematografico che si focalizza la seconda parte del libro. Quest'altra metà, a mio parere un po' più interessante e personale, raccoglie articoli scritti da Kojima tra il 2007 ed il 2009 per la rivista Papyrus. Tanti degli episodi che vengono raccontati dal designer giapponese sono collegati alla sua vita personale, al rapporto con i suoi fligli, e ai ricordi di suo padre. La perdita del suo papà (che peraltro ha da sempre alimentato il tema del rapporto padre-figlio praticamente in ogni suo lavoro) ha, sin dalla tenera età, fatto affondare Kojima in un forte senso di solitudine.
Tra un articolo e l'altro, Kojima ci svela che è stato proprio grazie a tanti libri o a film come Taxi Driver che è riuscito ad emergere dai suoi più pesanti periodi di depressione. È forse la sua analisi del film di Martin Scorsese che ci mostra più da vicino, in modo veramente molto personale e anche intimo, le insicurezze e le difficoltà affrontate da Kojima. Nonostante si percepisca un certo senso di riservatezza, questi racconti permettono di avvicinarsi a quella che è una figura dell'industria normalmente distante e con un aura quasi mitica. Tra le varie altre opere si passa poi da 2001: Odissea nello Spazio a Blade Runner, facendo anche un saluto al Tenente Colombo e uno stop dai Joy Division e i New Order.
A conti fatti, quindi, ci rendiamo conto che il corpo principale del libro ci dà uno spaccato di Kojima che è limitato al periodo pre Guns of the Patriots/Peace Walker e pre The Phantom Pain. Forse questo è un po' quello che ho sentito mancare ne Il Gene del Talento: considerando il ritmo sfrenato con cui evolve il mondo e l'industria dell'intrattenimento, sarebbe a mio parere stato interessante leggere anche qualcosa su opere più recenti che possano aver influenzato gli ultimi lavori di Kojima Productions. Per questo, ahimè, bisogna continuare ad affidarsi al suo account Twitter e alle varie analisi da 180 caratteri.
Al centro del libro rimane il concetto di meme inteso come seme culturale in grado di tramandarsi ed influenzare il mondo. Tantissimi dei libri e film raccontati da Kojima ne Il Gene del Talento si contraddistinguono per aver preso forti rischi creativi e, in diversi casi, per essere stati apprezzati solo molti anni dopo la loro uscita. Sono proprio questi rischi che permettono all'arte di evolversi e ad influenzare la creatività di tantissimi altri creativi. È su questa ricerca del rischio e dell'esplorazione che si focalizza la conclusione di un libro che, comunque, mi sento di consigliare non solo ai fan di Kojima, ma anche a chi è interessato a scoprire tante opere del presente e del passato. È così, proprio a detta di Kojima, che espandiamo i nostri orizzonti e riusciamo a spingere i confini della creatività. Alla ricerca di nuovi adorabili meme, io ho già messo tanta nuova roba nel carrello.
"Non possiamo far altro che puntare su ciò che abbiamo dentro, e, pertanto, dobbiamo continuare a migliorare la nostra sensibilità e i nostri occhi. [...] Ogni persona e ogni cosa ha la sua storia da raccontare. E il sistema per collegare i vari "me" attraverso il tempo e lo spazio è l'atto di leggere, raccontare e comunicare quelle storie."