24 maggio 2016: dopo una lunga serie di versioni Beta promosse da Blizzard Entertainment venne finalmente pubblicato Overwatch, non un semplice videogioco ma un ambizioso media franchise che nel giro di un paio d'anni si sarebbe trasformato in un monumento della cultura pop. Tra tornei seguiti da centinaia di migliaia di persone, corti animati capaci di raccogliere milioni di visualizzazioni, nonché dozzine di fumetti, fiere e giganteschi creatori di contenuti maturati attorno all'hero shooter, il progetto diretto dal leggendario Jeff Kaplan avrebbe lasciato un'impronta indelebile nella storia dell'intrattenimento.
Overwatch fu Fortnite prima della straordinaria esplosione di Fortnite: un fenomeno su scala globale volenteroso di snodarsi lungo il maggior numero possibile di media, muovendo più di qualche passo fuori dai confini dei videogiochi e accarezzando l'idea concreta di ritagliarsi un posto fisso sulla TV via cavo statunitense. Un progetto, questo, che sarebbe dovuto necessariamente passare attraverso la trasformazione della sua lega esport - la Overwatch League - nella più grande istituzione in assoluto nel mondo delle competizioni digitali.
Tale ambizione si è spenta definitivamente all'inizio di ottobre 2023, quando la casa madre Activision Blizzard ha scelto di staccare definitivamente la spina al torneo in franchise, facendo crollare come un castello di carte la gargantuesca struttura che aveva costruito e lasciando centinaia di giovani professionisti improvvisamente privi di un'occupazione. Si tratta di un colpo durissimo da incassare per gli esport: anche se proprio in questi giorni i mondiali di League of Legends stanno dimostrando al mondo una fotografia dorata del settore, la storia della Overwatch League potrebbe aver aperto una ferita estremamente difficile da cicatrizzare.
Ripercorriamo la storia della Overwatch League, la prima lega esport in franchise volenterosa di legare le squadre a città esistenti, copiando in scala uno a uno il modello tradizionale dello sport americano e dimostrando al mondo intero quanto la scena dei videogiochi competitivi sia una creatura differente dalle macchine ben oliate che abbiamo imparato a conoscere nel corso degli ultimi decenni. Dopo aver assorbito investimenti colossali da veri e propri titani del mondo dell'intrattenimento, la grande fatica di Activision Blizzard si è spenta in una nube di fumo, probabilmente cambiando per sempre l'opinione che le grandi imprese hanno del settore intero.
Le origini
Come accade in qualsiasi apparato esport, anche la scena competitiva di Overwatch è nata dal basso. Durante le fasi Beta dedicate a Overwatch a cavallo fra il 2015 e il 2016, Blizzard aveva immediatamente puntato gli occhi sui tornei maturati spontaneamente fra gli utenti: l'interesse verso le competizioni dell'hero shooter stava raggiungendo vette difficilmente prevedibili, culminate nei milioni di spettatori che scelsero di assistere alle fasi finali del celebre evento coreano Apex trasmesso dal canale televisivo OGN, i cui risultati numerici mettevano in imbarazzo i traguardi raggiunti - nello stesso anno - dalle partite stagionali della NBA e la NFL.
A giugno del 2016, la compagnia di promozione ESL annunciò l'Overwatch Atlantic Showdown, un evento enorme e destinato a durare mesi con un montepremi a sei cifre; il mese successivo, anche Eleague mise in piedi una competizione da $300.000 dollari finanziata da Turner Broadcasting, che a settembre dello stesso anno avrebbe trasmesso le partite sulla rete via cavo TBS. Blizzard non poté assolutamente restare inerte: nel corso dell'estate, annunciò la prima Overwatch World Cup, una vera e propria coppa del mondo in cui le squadre rappresentanti di ciascun paese avrebbero avuto l'occasione di scendere nell'arena del Blizzcon, gettando le fondamenta di uno fra gli eventi esport più seguiti di tutti i tempi. Proprio in quell'occasione, sui palchi dell'Anaheim Convention Center, Activision Blizzard colse la palla al balzo per presentare il progetto Overwatch League.
Una lega tanto, troppo ambiziosa
Il futuro commissario della lega Nate Nanzer aveva già da tempo tratteggiato i contorni della sua idea: con la giusta struttura e i corretti investimenti, sarebbe stato possibile costruire una lega privata che ricalcasse tale e quale il modello dei colossi dell'intrattenimento sportivo nordamericano. Dopo qualche fugace menzione da parte di Bobby Kotick, la Overwatch League si presentò ufficialmente sul palco del Blizzcon 2016 forte di promesse allora considerate irrealizzabili: squadre in franchise destinate ad affrontarsi dal vivo e in streaming, salari e benefit per i giocatori, opportunità finanziarie uniche per i grossi investitori, sponsor alieni a quel giovane mercato. La volontà era proprio quella di estrapolare la formula della NFL e ricamarla sull'universo dell'esport, scommettendo sul legame alle singole città per creare un genere inedito di tifosi, ma soprattutto per attrarre investitori fino ad allora distanti dal mondo digitale.
Kotick era convinto che la costruzione di squadre cittadine avrebbe cambiato la prospettiva non tanto del pubblico, ma soprattutto degli sponsor e degli investitori. Inutile dire che ebbe ragione: le presentazioni furono prese d'assalto da figure del calibro di Robert Kraft, proprietario dei New England Patriots, e Stan Kroenke, che nel suo portafoglio poteva contare i Los Angeles Rams e l'Arsenal FC. Per assicurarsi un posto nella lega e avviare contestualmente un franchise, le ipotetiche squadre avrebbero dovuto "allearsi" con organizzazioni affermate prima di pagare un gettone minimo $20 milioni - cifra senza precedenti per il mondo degli esport - promettendo di aderire alle regole della competizione e impegnandosi a costruire stadi, a produrre merchandise, insomma, a fare tutto il necessario per trasformare in realtà la visione di Nate Nanzer e Bobby Kotick.
Servì un anno intero - il 2017 - per mettere in piedi l'architettura. Robert Kraft, che da tempo voleva investire negli esport, ma non aveva individuato "niente di serio" sul piano della struttura economica, fu il primo a fare l'investimento, convincendo contestualmente altre sette società a spendere decine di milioni di dollari per costruire, insieme alle organizzazioni esport più affermate del pianeta, le fondamenta della lega. Blizzard, dal canto suo, eresse la Blizzard Arena di Burbank per regalare una casa temporanea all'evento, scommettendo sul fatto che gli appassionati si sarebbero riversati in quel teatro settimana dopo settimana; contestualmente, cambiò la struttura stessa del videogioco Overwatch, realizzando "maglie" dedicate a ciascun team e integrando una valuta - gli OWL Points - destinata unicamente all'acquisto di beni digitali, i cui ricavi sarebbero finiti nelle tasche della società.
La lega fu inaugurata ufficialmente il 10 gennaio del 2018 con la partita fra Los Angeles Valiant e San Francisco Shock, facendo registrare un record di 418.000 spettatori simultanei e un totale di oltre 10 milioni nell'arco del primo fine settimana, mandando sold-out i biglietti della Blizzard Arena nell'arco di pochissime ore. Tuttavia, entro la fine della stagione, non era raro che lo stadio fosse frequentato da soli cento spettatori, e fece molto discutere la scelta di Blizzard di regalare - quando Kotick o altri dirigenti d'alto profilo visitavano la location - biglietti agli studenti dell'area per gonfiare artificialmente i numeri del pubblico dal vivo. In streaming, invece, i diritti furono concessi in esclusiva a Twitch per mezzo di un accordo da circa $90 milioni.
Espansione fatale
Chiusa la prima stagione, quando i London Spitfire sconfissero i Philadelphia Fusion di fronte ai 22.000 della Barclays Arena di New York, la Overwatch League era vista come una gallina dalle uova d'oro. Blizzard e Disney vendettero i diritti televisivi della lega a ABC, ESPN e DisneyXD in un accordo da $200 milioni, ma ancor più importanti furono le operazioni concluse sul fronte degli sponsor. Intel, Toyota, T-Mobile e Spotify, tradizionalmente lontane dall'orbita degli esports, riversarono decine di milioni di dollari nelle casse della compagnia per accaparrarsi i diritti d'immagine, portando quella che senza dubbio rappresenta la più grande iniezione di fondi nell'intera storia del settore.
Le nuove squadre interessate a entrare nella seconda stagione - che furono pescate prevalentemente dai confini dell'Asia e in particolar modo della Cina - avrebbero dovuto a loro volta sostenere un esborso stimato fra i 35 e i 60 milioni di dollari, investimenti che ovviamente sarebbero stati impossibili da ripagare nell'arco di pochi anni. La seconda tornata introdusse anche gli Homestand Weekend, ovvero dei fine settimana in cui le partite sarebbero state ospitate nelle "capitali" delle rispettive squadre, al fine di eseguire i primi test relativi alla sostenibilità economica del modello. Alla vigilia della nuova edizione, inoltre, Activision Blizzard strinse un accordo ricchissimo con Coca Cola destinato ad aver luogo negli anni a venire, così come uno con Bud Light e un altro con Fanatic, preparando il terreno per quella che avrebbe dovuto essere la più grande stagione mai emersa da qualsiasi ecosistema esport.
La morte della Overwatch League
Nel corso della stagione 2020 - completamente stravolta per l'occasione - avrebbero dovuto tenersi 52 diversi Homestand Weekend destinati a portare la parata in giro per gli Stati Uniti, spesso in parterre dedicati che avevano lo scopo di sostituire le arene definitive. Comcast Spectator, ad esempio, aveva appena finalizzato un accordo da $50 milioni per la costruzione dello stadio dei suoi Philadelphia Fusion. Tuttavia, un mese prima dell'inizio della competizione, la pandemia di Covid-19 mandò all'aria tutti i piani, stravolgendo le previsioni di crescita e costringendo le squadre a mandar giù un'intera annata completamente digitale. Spesso si tende ad attribuire il fallimento della Overwatch League proprio all'impatto della pandemia globale, ma la verità è che per certi versi si rivelò addirittura un'ancora di salvezza: alcuni proprietari hanno dichiarato che le restrizioni fermarono temporaneamente l'emorragia di soldi che caratterizzava gli eventi dal vivo, dando respiro alle casse delle organizzazioni.
Allora perché la Overwatch League ha fallito? I motivi sono molteplici e il quadro è estremamente complesso: anzitutto, proprio nell'anno dell'esplosione di Twitch dovuta al Coronavirus, Blizzard cedette i diritti di streaming in esclusiva a YouTube, privandosi dell'enorme fetta d'utenza che aveva radunato sulla piattaforma viola. Le squadre agivano da tempo in perdita, il modello di share revenue non era ancora stato integrato, ed è ancora oggi piuttosto difficile comprendere dove siano finiti tutti i soldi accumulati attraverso gli sponsor faraonici; tuttavia, a ben vedere, le ragioni risiedono prevalentemente nella natura stessa degli esports e soprattutto del complesso mercato dei videogiochi.
Overwatch era da tempo in crisi: differentemente dal calcio e dal basket, i videogiochi come servizi vanno e vengono, toccano picchi elevati e conoscono periodi di stanca, si trasformano costantemente inseguendo l'evoluzione e spesso ritardano il momento in cui si arriva a staccare la spina. Sono pochissimi i marchi competitivi del calibro di League of Legends e Counter Strike, quelli capaci di resistere all'incedere del tempo e mantenere costantemente fresca la loro formula unica, e l'opera di Blizzard non riuscì a dimostrare il medesimo pedigree. Gli aggiornamenti alla produzione erano lenti, i nuovi contenuti latitavano, i problemi di bilanciamento si facevano di mese in mese più concreti: il problema non risedette tanto nella noia che stava iniziando ad avvolgere le partite della lega, ma nel fatto che numerosi appassionati iniziarono ad abbandonare le sponde del videogioco stesso, incapace di mantenere il passo con i tempi e con la sua immensa dimensione.
L'esplosione di altri fenomeni quali Fortnite, in combinazione con le modifiche poco gradite ai veterani, trasmisero al pubblico e agli investitori un quadro piuttosto preciso: non solo la Overwatch League, ma lo stesso Overwatch stava morendo. Non si trattava del fallimento di un particolare modello di business colpito da un imprevedibile cigno nero, ma del naturale tramonto di un videogioco incapace sia di evolversi sia di rimanere fedele alla sua identità. L'annuncio di Overwatch 2, tentativo plateale di rendere nuovamente il prodotto profittevole, si riflesse inevitabilmente sulla dimensione della lega, portando un leggero picco d'ascolti poco prima del tramonto definitivo, che andò di pari passo con quello del titolo di Blizzard. Dopo mesi di incertezze riguardo il futuro del brand, la compagnia ha confermato le voci di corridoio: al termine della stagione 2023 la Overwatch League sarà definitivamente terminata, le squadre otterranno una compensazione superiore ai $15 milioni ciascuna, i professionisti si troveranno improvvisamente privi di una carriera, mentre buona parte degli investimenti raccolti fino a questo momento si potranno dire effettivamente bruciati.
Le conseguenze sul mercato degli esports
La morte della Overwatch League sarà fatale per gli esports? Solo in parte: senza dubbio la lega in franchise costruita da Activision Blizzard è stata un gigantesco tentativo di accelerazione per il settore, e proprio per questa ragione la sua fine rischia di portare conseguenze preoccupanti. I soldi rischiati da colossi dell'intrattenimento come la Kroenke, assieme alle sponsorizzazioni firmate da società aliene al settore quali Coca Cola, Toyota e T-Mobile, porteranno indubbiamente qualsiasi attore del mercato a muoversi in maniera decisamente più oculata in futuro, se non addirittura a trarre la conclusione che il settore tutto sia simile a un buco nero. Un'ipotesi, questa, che recentemente è stata portata agli onori della cronaca da Ludwig Ahgren e MoistCr1tikal, che insieme gestiscono Moist Esports e continuano a sensibilizzare il mercato riguardo il fatto che allo stato attuale l'esport consente difficilmente di cavare un ragno dal buco.
Tale tesi è stata sostenuta a lungo da professionisti del calibro di Disguised Toast ed è recentemente tornata all'attenzione del pubblico attraverso la cessione del celebre marchio Faze: dopo aver perso il 90% in borsa nell'arco di un mese, la società di esport e creazione di contenuti è stata venduta per $18,5 milioni, 700 milioni in meno rispetto al valore che le era stato attribuito l'anno scorso. La colpa, ovviamente, non è assolutamente della Overwatch League: le proiezioni degli analisti nel corso degli ultimi anni hanno prodotto un quadro completamente falsato del mercato esport, promettendo guadagni che a oggi non esistono e mancando la maggior parte delle previsioni di crescita, portando dunque al costante ingigantirsi di un'enorme bolla che non è ancora del tutto scoppiata. I fondi hanno alimentato a cuor leggero le casse delle società per non farsi sfuggire l'occasione di trovarsi in prima fila al momento dell'emersione della "nuova NBA", ma quel momento purtroppo non è mai arrivato, e probabilmente non arriverà mai nonostante la stessa Activision abbia trasformato lo scheletro della Overwatch League nelle fondamenta della CWL dedicata a Call of Duty.
Non si tratta di un nuovo capitolo della guerra intestina tra esport e sport, ma di un'ulteriore occasione per riflettere sul fatto che "l'esport" - inteso come concetto generale, dato che la formula muta profondamente a seconda del videogioco in esame - non abbia ancora trovato la sua dimensione economica e identitaria di riferimento. Si tratta di uno strumento di marketing per l'azienda che produce il videogioco? Di un mercato indipendente capace di generare guadagni nel lungo periodo? Di un movimento che deve necessariamente prendere vita dal basso? Mentre scriviamo queste parole, ironicamente, il mondiale di League of Legends sta tenendo milioni di persone incollate agli schermi, dimostrando ancora una volta quanto sia fuorviante e limitativo ancorare ragionamenti e proiezioni al concetto ombrello di "esport". Dire che lo sport genera profitti o che "lo sport è in crisi", così come fare proiezioni relative all'intero settore, non significa assolutamente niente, perché il calcio non è il curling, come la Formula 1 non è il Padel.
A complicare ulteriormente il quadro c'è il fatto che l'esport matura attorno a un prodotto d'intrattenimento di proprietà di una società, un'entità indipendente che ha il potere di stravolgere le regole, di impadronirsi di tutte le licenze legate all'organizzazione di eventi, addirittura di staccare la spina in qualsiasi momento, caratteristiche che nel giro di pochi mesi hanno ad esempio cancellato dalla cartina geografica la scena di Super Smash Bros. Il crollo della Overwatch League ha senza dubbio inflitto una pesante bordata non tanto all'esport, quanto più alla velocità del suo processo di massificazione, di fatto spaventando quei grandi investitori dotati dei mezzi per ampliarne gli orizzonti. Per il resto, spesso si tende a complicare un fenomeno che al cuore è estremamente semplice: i tornei emergono spontaneamente dalla comunità di appassionati, dalla loro volontà di giocare, di migliorarsi, di seguire la massima espressione della disciplina, esattamente come succede nei campetti da calcio di quartiere che sorgono accanto a stadi illuminati dalla Champions League.