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Rise of the Ronin: Yosuke Hayashi e Fumihiko Yasuda raccontano l'opera del Team Ninja

Abbiamo intervistato Yosuke Hayashi e Fumihiko Yasuda, il capo del Team Ninja e il direttore di Rise of the Ronin, che ci hanno raccontato i retroscena dell'esclusiva PS5.

INTERVISTA di Lorenzo Mancosu   —   21/03/2024
Rise of the Ronin: Yosuke Hayashi e Fumihiko Yasuda raccontano l'opera del Team Ninja
Rise of the Ronin
Rise of the Ronin
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Fin dal momento della sua fondazione nel 1995, il Team Ninja di Koei Tecmo si è ritagliato una posizione in pianta stabile nella nicchia in cui stava maturando la stessa concezione del videogioco 'hardcore'. Certo, il nome dello studio è giunto sulla bocca di tutti grazie a una saga leggendaria come Dead or Alive, ma la corrente più lungimirante fu senza dubbio quella che diede i natali a Ninja Gaiden, saga divenuta culto e ancora oggi considerata come l'epitome dell'esperienza d'azione che non fa sconti a nessuno. Sul fronte delle IP originali il destino della compagnia è per lungo tempo rimasto legato a doppia fino con la coppia di colossi finché, nel 2017, Nioh è piombato sulla scena come un fulmine a ciel sereno: dopo essere rimasto silenziosamente in sviluppo per circa quindici anni, ha improvvisamente spalancato uno spiraglio su un sentiero completamente nuovo.

Nel giro di pochissimi anni questa moderna corrente ha regalato ai giocatori Nioh 2, Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin e Wo Long: Fallen Dynasty, ma nelle sale più remote della bottega stava prendendo forma un progetto segreto volenteroso di condensare tutte le nuove meccaniche ideate all'interno di un'unica cornice. Quel progetto era Rise of the Ronin: abbiamo intervistato Yosuke Hayashi, capo del Team Ninja, e Fumihiko Yasuda, direttore del titolo, che ci hanno raccontato i retroscena del primo videogioco open world realizzato dallo studio. Ma prima, avete letto la nostra recensione di Rise of the Ronin?

La genesi di Rise of the Ronin

La formula del Team Ninja incontra il mondo aperto
La formula del Team Ninja incontra il mondo aperto

Questo è il primo videogioco open world del Team Ninja. Come mai avete fatto questa scelta e quali sfide vi siete trovati ad affrontare?

Nel caso di Nioh la sfida principale che abbiamo affrontato è stata quella di creare una nuova IP, una nuova esperienza originale strettamente legata alla generazione di console di PS4. Una volta portata a termine, abbiamo iniziato a domandarci quali sfide successive avremmo voluto affrontare come studio. In termini tecnici era nostro desiderio spostarci verso la formula open world, che ci sembrava il prossimo passo evolutivo nonché la grande sfida della generazione.

Ovviamente, nel frattempo avevamo sviluppato con i nostri videogiochi più recenti dei punti di forza che sono diventati praticamente la nostra identità, come il combattimento profondo e i sistemi dell'ultima coppia di IP, pertanto era nostro desiderio applicarli a un'esperienza open world che fosse in grado di mantenerli invariati. Così abbiamo iniziato a costruire il game design e i concetti fondamentali attorno a Rise of the Ronin. In linea generale siamo convinti che quella di creare un videogioco open world fosse una sorta di evoluzione naturale dello studio.

In titoli come Nioh e Wo Long tutto accade in uno spazio controllato, il giocatore è tenuto sotto scacco. Qui c'è la libertà del mondo aperto: come avete bilanciato questa struttura con le classiche regole dei vostri giochi?

Come avete giustamente notato, questo tipo di equilibrio rappresenta una delle cose su cui abbiamo dovuto lavorare maggiormente. È stata una sfida davvero molto difficile in fase di sviluppo, perché è importante mantenere quel genere di controllo attorno al quale abbiamo progettato le nostre esperienze passate, ma al tempo stesso volevamo garantire molta libertà al giocatore, soprattutto in termini di esplorazione, perché si tratta di un'opera che ruota attorno alla figura di un ronin, che è la quintessenza della libertà, è un samurai privo di una persona da servire. Per quanto riguarda l'open world abbiamo scommesso tutto sulla libertà: si può approcciare il combattimento da dozzine di angoli diversi, non solo a trecentosessanta gradi ma anche per mezzo della verticalità possibile grazie al rampino e l'aliante.

Questo per quanto riguarda il mondo aperto, che accoglie anche la meccanica dello stealth, elemento che aggiunge tantissimo all'amalgama. Ma quando si parla delle missioni principali, quelle le abbiamo costruite tenendo a mente il tipo di esperienza per cui siamo apprezzati, ovvero la messa in scena di combattimenti duri in una situazione molto difficile che trasmettono un grande senso di soddisfazione. Le missioni principali sono infatti molto lineari, e sono lo strumento che abbiamo utilizzato per prendere il meglio di questi due mondi.

L'ambientazione storica nel Giappone Bakumatsu

Edo, ovvero Tokyo, attorno al 1860: questa è l'ambientazione di Rise of the Ronin
Edo, ovvero Tokyo, attorno al 1860: questa è l'ambientazione di Rise of the Ronin

A proposito dell'ambientazione storica nel periodo Bakumatsu del Giappone, come avete scelto di affrontare il sistema di scelte legate alla trama in rapporto alla fedeltà agli avvenimenti realmente accaduti?

L'intera esperienza vede al centro la figura del ronin e la libertà che essa garantisce al giocatore, portando di conseguenza la capacità di agire, la player agency, a incidere direttamente sugli avvenimenti. Dal momento che non ci troviamo in una sorta di versione fantastica del Giappone, era molto importante che il ritmo generale della storia fosse il più possibile in linea con quello che è successo per davvero durante il Bakumatsu. Il lavoro difficile è stato bilanciare da una parte la sensazione che le scelte siano impattanti e influenzino il mondo, e dall'altra la fedeltà storica. Arrivano momenti specifici durante l'avventura, specialmente quando si tratta di guerre o di grandi battaglie, in cui le scelte del giocatore portano ad allearsi con una o con un'altra fazione: l'idea è quella di assistere in prima persona a una delle versioni che esistono della storia, come succede praticamente in merito a qualsiasi avvenimento storico. La scelta delle alleanze nel corso degli eventi principali è un fattore molto importante, non vogliamo entrare troppo nel dettaglio per evitare spoiler, ma può capitare che sulla base delle decisioni compiute alcune figure storiche possano morire oppure sopravvivere.

Con Nioh, ma anche con Wo Long e Ninja Gaiden, la presenza dell'elemento sovrannaturale ha permesso di sperimentare con la magia e con un design estetico impossibile. È stato difficile rinunciare a queste ispirazioni in favore di un'ambientazione storica? Non ha penalizzato la varietà?

Come avete notato, abbiamo preso la decisione consapevole di rimuovere qualsiasi genere di elemento sovrannaturale, come per esempio i nemici provenienti dalla mitologia. Ci sono un paio di ragioni per cui abbiamo deciso di farlo: la prima è ovviamente l'ambientazione storica, un elemento al quale tenevamo molto, un setting ispirato a un momento ben preciso e reale della storia del Giappone. La seconda è che uno degli aspetti più importanti di Rise of the Ronin è la possibilità di creare legami con gli altri personaggi, che potrebbero sì rivelarsi degli alleati, ma anche diventare dei nemici. Quindi abbiamo scelto di restare ben piantati con i piedi per terra. Ciò detto, sono consapevole che sia molto importante riuscire a mantenere la stessa profondità e la varietà dei nostri titoli passati, e dal canto nostro abbiamo tentato di farlo attraverso la quantità di armi, di equipaggiamenti e di stili di combattimento utilizzati dal giocatore e dagli avversari. Speriamo di esserci riusciti!

Combattimento e meccaniche

Il combattimento di Rise of the Ronin è l'elemento più riuscito della ricetta
Il combattimento di Rise of the Ronin è l'elemento più riuscito della ricetta

Il sistema di combattimento di Rise of the Ronin sembra il culmine del percorso iniziato da Team Ninja con Nioh, una specie di miscela di tutte le meccaniche sviluppate. Era questa la vostra filosofia?

Beh, grazie per il commento. In un certo senso abbiamo sviluppato questo gioco durante un lunghissimo periodo di tempo, pertanto è maturato assieme all'esperienza di progettazione che abbiamo accumulato a partire dalla pubblicazione Nioh. Quindi penso che, proprio per il fatto che abbiamo lavorato così tanto sul progetto, abbiamo finito per incorporare tutti gli elementi che funzionavano meglio nei titoli passati e ne abbiamo approfittato per riflettere sulle cose che andavano meno bene. Così ha finito per diventare quasi per caso una combinazione di diversi elementi, diciamo che inizialmente non era nato con questa identità. Certamente, dal momento che il protagonista è un ronin libero, gli elementi centrali dovevano essere tante diverse armi bianche, le armi da fuoco, ma soprattutto il sistema di combattimento dal buon feeling che ci contraddistingue come studio: questa era la nostra priorità.

Il feeling del combattimento ricorda piuttosto da vicino quello di un picchiaduro: letture, parate perfette, pressione, punzioni... l'avete pensato in questo modo?

Un'ottima osservazione. Ovviamente, prima di fare Nioh, il Team Ninja ha intrecciato il suo percorso con quello dei picchiaduro attraverso un gioco che ha fatto la nostra storia, ovvero Dead or Alive. Abbiamo in casa l'esperienza necessaria per sviluppare i sistemi di combattimento di quel genere, viscerali e basati sull'uno contro uno. E i combattimenti uno contro uno sono dotati di determinate caratteristiche che ci siamo resi conto che possono essere inserite con successo anche nei videogiochi per il giocatore singolo. Credo che in un certo senso faccia parte del DNA dello studio e si sia riflesso anche dalle parti di Rise of the Ronin.

Anche se il mondo di gioco non supporta al meglio la formula, non ci si stanca mai di combattere
Anche se il mondo di gioco non supporta al meglio la formula, non ci si stanca mai di combattere

Per concludere, Rise of the Ronin mette in scena tantissime meccaniche intrecciate e stratificate: legami con altri personaggi, armi da padroneggiare, stili di combattimento da apprendere, abilità speciali da ottenere nel dojo... qual è stata la vostra filosofia nello sviluppo? Volevate differenziarlo da altri titoli del genere?

Il termine ronin che abbiamo inserito nel titolo del gioco racchiude tutto il "concept" alla base del progetto: ogni elemento che compone il gioco è stato progettato per rendere realtà l'idea di un personaggio che fosse davvero libero, sotto tutti i punti di vista. Gran parte delle meccaniche che abbiamo integrato si muovono nella direzione dell'agenzia del giocatore, ovvero la sua capacità di agire e influenzare il mondo di gioco attraverso scelte e decisioni. Non c'è una singola meccanica isolata che tentavamo di spingere rispetto alle altre: ci interessava realizzare tanti elementi diversi e interconnessi per spalancare una pletora di scelte, che si trattasse dello scorrere della storia, degli elementi di stampo RPG o di tutte le opzioni alla base dello stile di combattimento. L'obiettivo finale, in sostanza, era trasmettere la filosofia stessa della figura del ronin.