66

The Legend of Zelda: Majora's Mask, 20 anni dopo

Il 27 aprile 2020 compie vent'anni l'episodio più strano di The Legend of Zelda: riscopriamo insieme i meriti e le caratteristiche uniche di Majora's Mask

SPECIALE di Alessandro Bacchetta   —   27/04/2020
The Legend of Zelda: Majora's Mask 3D
The Legend of Zelda: Majora's Mask 3D
News Video Immagini

Esattamente vent'anni fa, il 27 aprile 2000, usciva in Giappone The Legend of Zelda: Majora's Mask per Nintendo 64. Solamente mesi dopo, a ottobre negli Stati Uniti e a novembre in Europa, sarebbe arrivato in occidente; sarebbe anche stato l'ultimo gioco della serie ad avere pubblicazioni internazionali così distanti tra loro. In questi anni sono cambiate tante cose, ma Majora's Mask è rimasto unico come ai tempi dell'uscita e, probabilmente, nel frattempo è anche diventato irripetibile. Sono due aggettivi forti, che tenteremo di giustificare nel miglior modo possibile. Per comprendere la genesi di quest'opera è impossibile prescindere dal contesto in cui è stata concepita: a fine 1998 era stato pubblicato Ocarina of Time, un'opera globalmente osannata.

The Legend of Zelda: Majora's Mask, 20 anni dopo

Al posto di bearsi della riuscita del progetto, Miyamoto comunicò al team di Zelda (che sarebbe stato presto ribattezzato EAD 3) che lo sviluppo era durato troppo e, per sfruttare al massimo il motore grafico realizzato, era necessario creare un seguito in tempi brevi. Molto brevi: un anno. Considerate che, tra A Link to the Past e Ocarina of Time, ne erano trascorsi sette.

Non bastasse questo a rendere atipica la gestazione di Majora's Mask, va anche specificato come sia stato il primo progetto a dare il via alla ristrutturazione interna degli studi aziendali: i vecchi leader erano in procinto di passare a ruoli di produzione, ed era necessario che i giovani prendessero le redini delle serie più celebrate. Una fase che avrebbe caratterizzato l'intera era Gamecube, letteralmente anticipata da questo The Legend of Zelda: a occuparsi di Majora's Mask non sarebbe più stato direttamente Miyamoto (o Tezuka), bensì Eiji Aonuma. Che aveva un compito gravoso: realizzare il sequel del "gioco del secolo" e, allo stesso tempo, chiudere in bellezza l'era Nintendo 64.

Lo sviluppo

Aonuma in Ocarina of Time si era occupato principalmente di progettare i dungeon, compreso il famigerato Tempio dell'Acqua; tuttavia il promettente Eiji, a quanto ne sappiamo, non ebbe brillanti idee per il seguito, quantomeno non abbastanza da convincere Miyamoto. Non che fosse colpa sua: realizzare un The Legend of Zelda con quelle tempistiche era una cosa fattibile in era NES, ma risultava quasi impossibile già ai tempi del Nintendo 64.

Il giovane prodigio dell'azienda, a fine anni '90, non era Aonuma, bensì Yoshiaki Koizumi: l'uomo in grado di raggiungere l'eccellenza sia in fase di game design sia in ambito narrativo, l'uomo teoricamente perfetto per The Legend of Zelda, una serie che, per varie circostanze, non avrebbe mai sposato. All'epoca Koizumi stava lavorando a un gioco sul tema "guardie e ladri" per Nintendo 64, un titolo che si sarebbe basato su termini temporali molto ristretti, perché sarebbe stato ambientato tutto all'interno di una singola settimana.

The Legend of Zelda: Majora's Mask, 20 anni dopo

Non prendendo alcuna forma il sequel di Ocarina of Time, Koizumi venne forzatamente ritrasferito nel team Zelda: lui, in Ocarina of Time, aveva progettato il design di Link, i suoi movimenti, e perfino il sistema di combattimento (sì, incluso il rinomato e seminale Z-Targeting). Approcciò la squadra con una visione ben definita di quello che sarebbe dovuto essere Majora's Mask: esattamente come "guardie e ladri", un'avventura con ferree limitazioni cronologiche. Non più una settimana, ma solamente tre giorni.

Oltre a quest'impostazione, trapiantata dal progetto a cui stava lavorando prima di raggiungere il team, Koizumi diede una direttiva estetica ben precisa: analizzare e seguire "Lola corre", film tedesco del 1998, di Tom Tykwer. Un lungometraggio in cui la protagonista aveva poco tempo per trovare 100.000 marchi, così da salvare il suo discutibile fidanzato - indebitato con dei criminali - altrimenti condannato a morte certa; Lola spesso falliva e, quando stava per soccombere, arrivava il "Game Over" e... ricominciava la giornata da capo. Una possibilità che sfruttava alterando le sue scelte, che aprivano ogni volta nuove porte ed eventualità.

Link a Termina, il Paese delle Meraviglie

Se Ocarina of Time è paragonabile a un romanzo fantasy di ampio respiro, eroico ed epico, il suo successore non sarebbe potuto essere più diverso: è l'episodio più surreale della serie, l'"Alice nel Paese delle Meraviglie" di Nintendo. Link, con una giovane Epona, cavalca svogliato tra gli alberi intorno al Villaggio Kokiri; qui incontra uno Skull Kid, che gli ruba il cavallo, e lo trascina verso il nucleo del Bosco Perduto, scomparendovi all'interno. Non volendo abbandonare Epona, Link segue lo sconosciuto, inoltrandosi in cunicoli sinistri e fatati, fin quando - correndo - non raggiunge un misterioso burrone. Non riuscendo a fermarsi, cade dentro la "tana del Bianconiglio", che lo conduce a Termina, dove viene immediatamente trasformato in un Deku, un essere innocente e grottesco che non può impugnare spada e scudo.

Nel nuovo mondo, Termina, l'eroe del tempo deve ambientarsi presto, perché entro tre giorni quella stessa terra sarà devastata dall'impatto con la mortifera Luna. Prima dell'apocalittico evento, Link deve tornare umano (elfo, hylian, quello che volete), e trovare il modo (rappresentato dalla fidata ocarina) di ricominciare da capo quelle stesse settantadue ore. Entrato in questo eterno ritorno, potrà sfruttarlo - mantenendo gli oggetti - per esplorare ogni volta zone diverse, frequentare persone di vario genere, immergersi all'interno delle profonde sfumature di Termina.

The Legend of Zelda: Majora's Mask, 20 anni dopo

Major Mask è un'avventura cesellata, un complesso mosaico che, più di ogni altro The Legend of Zelda, affronta tematiche complesse: Aonuma ha creato la quest principale, articolata in quattro dungeon (impegnativi e intricati), ma l'idea è di Koizumi, e di Koizumi sono anche la storia e le bellissime sub-quest, che nella serie non erano mai state, e non sarebbero più tornate ad essere, così ramificate e toccanti.

Koizumi da lì in poi si sarebbe occupato di Super Mario, ma ha fatto in modo che non ci scordassimo del suo breve interludio con The Legend of Zelda: l'atmosfera surreale e il game design di Majora's Mask sono un unicum nell'intera serie (e non solo). Così come le decine di trasformazioni e poteri concessi a Link, ottenuti indossando una poliedrica serie di maschere: alcune simpatiche, altre inquietanti.

Irripetibile

Le trame che compongono la tela di Termina sono strane, tetre e struggenti, lontane dall'abituale cifra stilistica zeldiana, e molto distanti, in generale, dall'atmosfera dei grandi videogiochi fantasy odierni. L'imminente scomparsa dell'intero pianeta, i personaggi surreali, la mancanza di momenti eroici; il misterioso antagonista principale che, diversamente da Ganon(dorf), è una persona sola, introversa e rimasta senza amici con cui relazionarsi. Lo stesso riciclo di motore grafico e personaggi, che sarebbe potuto essere condannabile, assume una pertinente rilevanza estetica: Termina è Hyrule attraverso lo specchio, ribaltata e deformata.

The Legend of Zelda: Majora's Mask, 20 anni dopo

È un florilegio di stranezze che da molti, all'epoca, non venne apprezzato: su Nintendo 64 Majora's Mask vendette tre milioni e mezzo di copie, ma scontentò molti dei suoi acquirenti, che in massa lo avevano comprato come "sequel di Ocarina of Time". La sua qualità tuttavia si è imposta col tempo, tanto da meritarsi un remake - nel 2015 - su 3DS, realizzato dalla nipponica Grezzo: non è un gioco per tutti, nemmeno oggi, ma adesso chi lo affronta sa di confrontarsi con un'opera grande, complicata ed esigente. Quel "grande" è fondamentale, ed è il principale motivo per cui riteniamo Majora's Mask sostanzialmente irripetibile: nel 2000 aveva dei valori produttivi di prima fascia, uniti a uno straordinario anelito sperimentale. Una combinazione che, nel 2020, non si ritrova in nessun videogioco. Pensate a un qualsiasi open world AAA odierno (passateci la definizione), e immaginatene un seguito nello spirito di Majora's Mask: non solo è improbabile, ma pare addirittura assurdo ipotizzarlo. E, nonostante alcuni sperino il contrario, il sequel di Breath of the Wild non farà eccezione: forse seguirà una direzione più cupa del predecessore, forse introdurrà qualche meccanica poco ortodossa, ma difficilmente avrà un'impostazione così drastica, coraggiosa e divisiva come quella di Majora's Mask.

La creatura di Koizumi e Aonuma è nata nell'ultimo periodo - o quasi - in cui potevano ancora fondersi avanguardia tecnologica ed estrema sperimentazione creativa. Coerentemente con l'anima del gioco trattato, chiudiamo il pezzo con un paragone strambo e tendenzialmente fuori posto: se Majora's Mask fosse un animale, be', sarebbe un dodo.

"Come lo sai che sono matta?" disse Alice.
"Per forza," disse il Gatto: "altrimenti non saresti venuta qui."