Si accendono nuovamente le luci della ribalta per Wolverine. In attesa del ritorno di Hugh Jackman nei panni del "ghiottone" in tuta gialla e lame d'adamantio nell'imminente Deadpool & Wolverine (in uscita nelle sale italiane il prossimo 24 luglio) e del nuovo videogioco originale firmato da Insomniac Games, Marvel's Wolverine, abbiamo pensato che fosse arrivato il momento di fare un passo indietro, alla riscoperta di un titolo che aveva fatto scalpore, ma che, con il tempo, si è perso nella ressa di videogiochi usciti durante la settima generazione di console.
Accompagnateci in questo tuffo nel passato alla riscoperta di X-Men - Le Origini: Wolverine, un gioco indecentemente violento, inaspettatamente sopra le righe e, stranamente, ancora soddisfacente.
Supereroi a quale costo?
Wolverine, personaggio creato da Len Wein e Herb Trimpe e apparso per la prima volta nel numero 180 di The Incredible Hulk, ha di per sé una natura violenta che lo pilota. Con quella coppia di artigli d'adamantio non si può di certo mettere a prendere a ceffoni e belle parole i cattivi di turno (come spesso accade nei film d'animazione, dove le lame, se presenti, diventano un compendio stilistico più che un'arma da utilizzare in combattimento). Di base, quindi, Wolverine è un supereroe che non si fa timore a infilzare i suoi avversari.
Sviluppato da Raven Software, X-Men - Le Origini: Wolverine ci mette però di fronte a qualcosa di abbastanza estremo, un misto tra le ultime avventure fumettistiche dell'Arma X e il film omonimo dal quale è tratto il gioco (ciò, almeno, è valido per la Uncaged Edition, ovvero l'edizione "ammiraglia" tra quelle presenti sul mercato, in perfetta sintonia con la prassi di un tempo, quando un gioco con lo stesso nome appariva sotto spoglie differenti a seconda della piattaforma, causa l'adattamento appaltato a più di una casa di sviluppo).
Già dai primi minuti è chiaro che l'esperienza sarà abbastanza esplicita, con arti che volano, nemici impalati e litri di sangue; qualcosa che al giorno d'oggi, in un videogioco su licenza supereroistico (tra i pochi che circolano), si fa fatica a trovare. Vero, era l'era pre-Disney, quando il marchio di X-Men passava ancora unicamente nelle mani di 20th Century Fox, ma rimane comunque una mosca bianca molto particolare.
Oggi come ieri
Per l'occasione, abbiamo pensato di rispolverare il titolo e farlo partire in tutta la sua vecchia gloria, che tanto "vecchia", forse, non è. Solitamente, quando si rimette mano su un titolo datato, al quale si sono legati molti ricordi, il risultato è quello di vedere quei bei ricordi sovrascritti perlopiù da frustrazione e delusione. Non è che i giochi di una volta non valgano più, al giorno d'oggi; anzi. Il problema è che quel ricordo, in qualche modo, si fossilizza in noi come se ci fossimo trovati dinanzi alla cosa più avanzata del mondo (fatto molto lontano dalla realtà). E questi brutti scherzi la memoria ce li tira spesso.
Conoscendo la qualità media dei giochi su licenza fatti uscire in fretta e furia per accompagnare la distribuzione del film di riferimento, ci aspettavamo più o meno la stessa cosa con questo X-Men - Le Origini: Wolverine. Ma, sorpresa delle sorprese, ecco che si palesa davanti ai nostri occhi un gioco che, forse, è ancora meglio di come lo ricordassimo.
Certo, il tempo trascorso dall'uscita non è eccessivo e sono comunque presenti diverse criticità (ripetitività già dal primo, lunghissimo livello in poi; boss mostruosi che sembrano non azzeccarci nulla con il tono dato al gioco; qualità della narrazione e delle scene d'intermezzo in pieno stile tie-in), ma comunque ci aspettavamo un bagno di sangue (e non quello dei nemici).
Invece, eccoci davanti a un gioco che graficamente regge ancora (almeno su PC), con un sistema di combattimento veloce e reattivo, derivativo sicuramente di capisaldi del genere come God of War e Devil May Cry, ma capace di introdurre alcune meccaniche fondamentali per l'industria videoludica odierna, battendo sul tempo titoli seminali come Batman: Arkham Asylum (seppur di pochi mesi).
Un unicum
Così, ci troviamo a rivivere quella sequenza d'apertura in computer grafica, quel prologo che conosciamo come le nostre tasche, quella sequenza del laboratorio che ricorda Arkham Asylum pur non potendo averla copiata (cupi antri con piastrelle mai pulite e mostruosi colossi deformati pare fossero in voga alla fine del primo decennio del 2000). E ci divertiamo. Ci divertiamo come da ragazzini. Ma, più di ogni altra cosa, ogni tanto ci fermiamo. Bisogna. Perché rimaniamo ammaliati dalla rigenerazione corporea di Logan. C'è da capire. Va osservata mentre avviene davanti ai nostri occhi. Perché è particolare, strana, inusuale.
Ed è lì che scatta qualcosa: capiamo che quello è, praticamente, un unicum della storia videoludica, almeno a quel livello di complessità (e che, forse, tornerà ripulito e migliorato nel nuovissimo titolo sviluppato da Insomniac Games). Diventa una sorta di spettacolo nello spettacolo. Sostituisce i nostri obiettivi principali. Ne vogliamo di più, perché è qualcosa che non siamo abituati a vedere e, esattamente come la carcassa sul ciglio della strada, sentiamo la necessità di posare il nostro sguardo su quel corpo maciullato mentre si cura come per magia. Si presenta quel fascino per l'innaturale, l'improbabile, ma non impossibile. Quello stesso fascino che scema con l'introduzione di personaggi e nemici che superano quella sottile linea che divide il credibile dall'incredibile.
A discapito della coerenza
Il gioco ci posiziona subito in un mondo di forze speciali in guerra, con normalissimi elicotteri in normalissime (più o meno) foreste pluviali. Certo, poi ci sono anche super soldati e mutanti con artigli d'osso e sensi ipersviluppati. Però, ci viene presentato un mondo con una plausibilità di fondo che, in qualche modo, viene sbriciolata quando si palesano giganteschi mostri di lava o aberrazioni da laboratorio.
Ed è qui che entra in gioco quella costante dei tie-in che li ha quasi sempre accompagnati: l'aggiunta forsennata di elementi non presenti nei film, titanici o meno, che danno quel "tono da videogioco" che non può assolutamente mancare, suggerimento (se non proprio imposizione) di chi, di videogiochi, non ne ha mai provati. E, così, si creano dei cortocircuiti interni che stridono e, spesso, portano al fallimento del progetto nella corsa alla consacrazione nell'immaginario collettivo, lasciando solo delle tracce di ciò che funzionava (tutti ci ricordiamo della rigenerazione, ma possiamo dire lo stesso per il mostro di lava alla fine del prologo?).
Perché Batman: Arkham Asylum è rimasto, mentre X-Men - Le Origini: Wolverine si è perso nella calca della settima generazione? Sicuramente la qualità complessiva influisce molto, ma c'è anche un altro elemento, a nostro parere, fondamentale: la coerenza che lega tutti gli elementi della propria opera. Il primo capitolo di Arkham (e i suoi successori) si presentano immediatamente come un universo fuori dal comune, iperbolico, folle; "da fumetto", se vogliamo.
Il tie-in di Wolverine, al contrario, ci immette in un mondo più o meno vicino al nostro, del quale riusciamo a riconoscere molte istanze, seguendo la nuova direzione presa dall'adattamento cinematografico delle avventure su carta stampata del ghiottone. Di conseguenza, siamo meno inclini ad accettare qualcosa di così lontano dal reale come può esserlo un titano che pare essersi perso lungo la strada verso il Monte Olimpo.
E, forse anche per questo, Wolverine è sparito dai radar della memoria collettiva, perso, ma non completamente dimenticato. Una eco di ciò che è stato, sepolto sotto il peso dei giganti che, di lì a poco, avrebbero fatto il loro ingresso sul mercato, cambiando per sempre il concetto di videogioco d'azione.