Una giornalista trangender donna ha affermato di essersi sentita umiliata quando il presentatatore della conferenza dell'Eurogamer Expo dedicata a Xbox One le ha rivolto appellativi come "lui", "esso", "cosa" e "questo qua". Successivamente, la giornalista ha chiesto di confrontarsi con il presentatore, non un impiegato Microsoft ma un comico e attore inglese, ma gli addetti dello stand hanno impedito l'incontro, non hanno voluto rivelare il nome del comico e, a quanto pare, si sono scusati con il presentatore per la reazione della giornalista.
Il polverone sollevatosi inevitabilmente dopo l'accaduto ha portato sotto i riflettori il nome del presentatore che ha affermato, via Twitter, di non avere avuto alcun intento offensivo aggiungendo le sue scuse. Microsoft dal canto suo, pur parzialmente estranea e da sempre impegnata nel campo dell'integrazione e della tolleranza, ha chiesto scusa per conto proprio e la stessa vittima ha abbassato i toni affermando di essere dubbiosa che l'attacco fosse stato intenzionale ma, ha aggiunto, "...questo non rende la cosa meno umiliante." Non riportiamo alcun nome o link (pur sapendo che Google può tutto) visto che in seguito alla questione la protagonista della vicenda ha subito gli inevitabili attacchi da parte di intolleranti di vario genere chiedendo (ci stupiamo che non abbia previsto l'inevitabile epilogo) che la vicenda venisse messa a tacere.
Il perché non sia possibile tacere, al di la del fatto che ormai la pietra è stata lanciata e tornare indietro è pressoché impossibile, deriva dal fatto che questo tipo di scontri e discriminazioni va discusso il più possibile, fino alla noia, per poter passare oltre. Gran parte del problema, d'altronde, è di natura abitudinaria e gergale e dipende dal fatto che parlare di questi argomenti sia ancora qualcosa di tabù, qualcosa che li rende degni di attenzione, qualcosa che funziona ancora da leva per una battuta isolando l'oggetto dal pubblico o che può essere impugnata come strumento per distinguersi, per essere diversi. Qualcosa che può mettere ancora a disagio gli addetti dello stand che avrebbero dovuto permettere l'incontro controllando solo che nessuno passasse alla violenza. In tutti i casi, comunque, si tratta della distorsione, in funzione dell'identità del singolo, di pulsioni normali, sentimenti che dovrebbero risultare banali agli occhi di un'umanità in grado di capire che l'identità degli esseri umani è interamente frutto di definizioni create dallo stesso genere umano.