Era solo questione di tempo: visto il successo travolgente della collezione remastered di Crash Bandicoot, sono diventate sempre più frequenti le voci di corridoio su un'analoga operazione riguardante Spyro the Dragon, che condivide con il peramele diverse caratteristiche, a partire dal periodo storico che ne ha decretato il mito. A dire il vero, le operazioni in questione afferiscono più alla sfera del remake, trattandosi di rielaborazioni complete e profonde dei giochi originali, che lasciano (almeno per quanto riguarda Crash, visto che dell'altro non si sa nulla di ufficiale) inalterata per lo più la struttura dei livelli e del gameplay ma costruendoci intorno un'impalcatura tecnologica completamente nuova.
Fatto sta che concettualmente non cambia molto: remake, remaster e reboot derivano tutti da una medesima operazione di recupero di prodotti che hanno avuto successo in passato e sono rimasti celebri nell'immaginario dell'utenza. Si tratta di una tendenza già affermatasi durante la generazione scorsa di console ma che in questa è assurta a nuove vette: mentre su PlayStation 3 e Xbox 360 si trattava di riproposizioni di titoli celebri messe a disposizione di nuove fasce d'utenza, su PlayStation 4 e Xbox One questi giochi diventano titoli di massimo calibro, in grado anche di surclassare con una certa facilità le grosse produzioni originali. Da una parte, si tratta di operazioni indubbiamente positive, perché la potenza delle nuove piattaforme consente di vedere sotto una nuova luce, e forse in un modo più vicino a quella che poteva essere la visione originale, giochi usciti in periodi in cui gli hardware erano ancora acerbi per proporre soluzioni di grande impatto, anche se ovviamente all'epoca facevano il loro effetto.
Questo è particolarmente vero per i titoli in 3D, che graficamente invecchiano molto peggio e più in fretta di quelli in 2D classici, dunque i giochi appartenenti all'era delle prime PlayStation, Saturn o Xbox sono i maggiori beneficiari di questa procedura di restauro, sebbene nei giochi più stilisticamente marcati l'operazione di remake possa anche portare a risultati contrastanti (cosa visibile ad esempio in Shadow of the Colossus, sebbene in linea di massima si tratti di un'operazione comunque riuscitissima). È chiaro, comunque, che la critica al remaster/remake come operazione facile e dal ritorno assicurato non sia del tutto sensata, o quantomeno sembra essere mal posta: non si tratta infatti necessariamente di produzioni a basso costo o semplici da portare avanti, tutt'altro, ma da un certo punto di vista sono in effetti soluzioni facili per l'industria moderna. In un'epoca in cui si chiudono i rubinetti sulla produzione di certe tipologie di gioco perché non remunerative a fronte di grandi investimenti richiesti per lo sviluppo (i single player ad impostazione narrativa, per esempio), può risultare molto più semplice affidarsi a un titolo di richiamo sicuro, e con la tendenza al restauro questa posizione si è esacerbata in quest'ultimo periodo.
Anche all'interno di serie note e di sicuro impatto, potrebbe diventare più proficuo riproporre capitoli passati e di successo piuttosto che provare ad evolvere i brand verso nuove direzioni, come dimostrato dall'attesa del remake di Final Fantasy VII che supera probabilmente l'aspettativa che ha caratterizzato il quindicesimo capitolo, o il fatto che dopo la delusione di Andromeda in molti vorrebbero una riproposizione della vecchia trilogia di Mass Effect, tanto per fare due esempi. Sebbene il recupero di titoli meritevoli sia dunque un'operazione importante, che in ambito videoludico conduce spesso, diversamente da quanto accade in altri settori dell'intrattenimento, a prodotti che superano anche gli originali in termini qualitativi, questa tendenza palesa dunque anche dei lati oscuri e deleteri per l'andamento dell'industria, andando a ledere le spinte innovative necessarie per l'evoluzione.