Recensire il nuovo Call of Duty è sempre un problema. Il franchise Activision è l'emblema di questa generazione che volge al termine, ovvero serializzazione totale, proliferazione di DLC ma anche e soprattutto una formula che nonostante gli strepiti degli hater sparsi per la rete continua a divertire milioni di persone. Il segno che qualcosa potesse cambiare, pur rimanendo ancorati ad un gameplay granitico, l'abbiamo avuto proprio con il primo Black Ops due anni fa.
Treyarch aveva scelto per la campagna di raccontarci una storia dai toni adulti, a metà tra il thriller psicologico e lo spionistico, il tutto all'insegna di un finale spiazzante ad orologeria. Anche il multiplayer aveva ricevuto una dose generosa di nuove idee, tanto a livello di meccaniche quanto di contenuti. Quest'anno gli sviluppatori americani hanno decisamente alzato la posta, proponendo coraggiosamente una campagna non lineare dai finali multipli e un comparto multigiocatore rinnovato nelle fondamenta. Senza dimenticare una modalità zombie che, anche se ben lungi dall'essere una campagna vera e propria, è aumentata esponenzialmente. Ma andiamo con ordine.
Tutto può cambiare
Come per la recensione del primo Black Ops anche ora è impossibile sintetizzare la trama del gioco senza cadere in spoiler. Abbiamo un "cattivo", Menendez che da semplice boss del narcotraffico negli anni 80 è arrivato quasi quarant'anni dopo, nel 2025, a essere arbitro del destino del mondo. Sarà lui che potrà accendere la miccia della terza guerra mondiale tra gli Stati Uniti e la Cina.
Le sue motivazioni sono antiche. Il suo odio verso gli Stati Uniti sembra andare oltre le divergenze geopolitiche. Ma qui ci fermiamo, ci stiamo avvicinando troppo alla zona pericolo. La storia scritta da David Goyer, l'uomo al quale dobbiamo la sceneggiatura tra gli altri della trilogia del Batman di Nolan e del prossimo Superman, mette in scena con continui balzi tra la guerra fredda "vera" e quella futuribile, l'incessante caccia della CIA a Menendez. Per questo motivo affrontiamo nei panni di Mason senior i teatri di battaglia delle cosiddette proxi war, ovvero le guerre "per procura" che vedevano impegnati americani e sovietici attraverso attori di secondo piano, combattendo in Angola, Afghanistan, Nicaragua e Panama. Nel 2025 la guerra arriva in casa, non prima però ad esempio di incrociare la strada con l'ISI, il famigerato servizio segreto pakistano e di effettuare una bella incursione in territorio birmano. Ma anche qui è meglio non andare oltre nel raccontare il giro del mondo di Mason junior e dello scorbutico Harper. La struttura della campagna è quindi simile a quella del primo capitolo, ma Treyarch mischia le carte in tavola con un inedito sistema a bivi che grazie ai finali multipli e agli innumerevoli snodi sparsi per le oltre sette ore di gioco (a difficoltà normale) ci fa parlare di una rigiocabilità davvero alta per il titolo.
Un aneddoto è più efficace di mille spiegazioni per raccontare il complesso percorso narrativo messo in piedi dai ragazzi americani. Call of Duty: Black Ops II è stato testato in una lunga review session a Londra dove tutta la stampa europea ha potuto provare il gioco simultaneamente. Una volta terminata la campagna è nato un bel confronto per verificare le esperienze di gioco con gli altri giornalisti presenti. Abbiamo molto spesso fatto scelte differenti, visto finali diversi e abbiamo imboccato, più o meno consciamente, sentieri di progressione narrativa divergenti. Quando poi abbiamo chiesto lumi a Treyarch, abbiamo scoperto che in molte situazioni avremmo potuto scegliere di fare cose non immediatamente riconoscibili. In pratica non c'è un finale "buono" o uno "cattivo", ma diverse sfumature tra l'uno e l'altro che cambiano l'esito finale e che influenzeranno il probabile terzo capitolo. Come si è arrivati a ciò? In alcuni momenti, che potremmo definire topici, ci viene chiesto ad esempio se uccidere o meno qualcuno, e questo ovviamente avrà un risvolto tangibile sulla prossima missione, normale o Strikeforce che sia. A volte però mancano segnali palesi di queste biforcazioni, è come se prendessimo una strada senza però vederne l'incrocio. A rendere il tutto ancor più strutturato a livello di scrittura se si è attenti ai dialoghi è possibile deviare momentaneamente dall'obiettivo principale per ottenere informazioni aggiuntive sulla missione o sui personaggi e la cosa potrà facilitarci o magari rendere più ardua la scelta successiva avendo un più chiaro punto di vista su cosa stiamo facendo e su come sta evolvendo il tutto. È questo il punto di forza di Call of Duty: Black Ops II. La maggior parte delle missioni non hanno un obiettivo univoco. Il ritmo è altissimo, i colpi di scena non mancano mai, e spesso e volentieri cambiano del tutto durante lo svolgimento, ribaltando completamente quanto si era giocato precedentemente.
Un vorticoso susseguirsi di personaggi e situazioni davvero spiazzante che può quasi lasciare interdetti nelle prime battute, ma solo alla fine, qualunque essa sia, si avrà un quadro chiaro e nitido della situazione. Fermo restando che in alcuni momenti si può far fatica a capire il complesso intreccio e le molteplici diramazioni della trama. Per certi versi le vicende sono meno "affascinanti" rispetto a quelle di Black Ops, d'altronde la storia, quella con la s maiuscola qui è meno forte e d'impatto (pochi conosceranno Noriega e lo scandalo Iran-Contra) a vantaggio però di un racconto che ci fa rimanere incollati per il tutto il gioco, mai banale e che stupisce per inventiva, durezza e varietà di situazioni. Insomma vista l'impossibilità di stravolgere dalle fondamenta le meccaniche chiave del franchise, la scelta di spingere forte sul comparto narrativo è un segnale che Treyarch non ha voluto realizzare il solito FPS bellico. Se già con il primo Black Ops i ragazzi americani avevano reso chiara questa deriva, ora sono riusciti nel cambiare le regole del gioco. Ovviamente non stiamo parlando di qualcosa di originale in senso assoluto ma, nell'ottica del genere di appartenenza e della serie nel suo totale, ci troviamo di fronte a qualcosa che segna quasi uno step evolutivo, un bel passo avanti per andare oltre il solito spara spara.
Proprio come vuoi tu
A livello prettamente di gameplay due sono le maggiori innovazioni del titolo. Quella più importante è l'inclusione delle Strikeforce. Questa tipologia di livello, disponibile solo per alcuni "turni" dopo alcune missioni, è assimilabile concettualmente ad una sorta di strategico in tempo reale da giocare (se vogliamo) in prima persona. Non sono solo un modo per variare il classico tran tran del titolo, ma avranno un impatto significativo sul proseguo della storia, sia se portata a termine con successo, sia fallendola miseramente.
In quest'ottica è un bene non sottovalutarle, scoraggiati magari da un sistema di comando unità farraginoso e poco funzionale, perché alla fine tutto concorre all'esito finale. Pad alla mano, con meccaniche simili all'ultimo Driver, è possibile entrare e uscire liberamente in tutti gli asset e i soldati presenti sul campo di battaglia da una visuale satellitare, dando inoltre ordini basilari alla truppa, in maniera estremamente libera. L'unico obbligo è quello di tenere in considerazione gli obiettivi da attaccare o difendere a seconda della missione. Purtroppo l'interfaccia e la lentezza cronica delle unità non possono competere in immediatezza con quelle degli RTS "veri", l'impressione è che sia meglio combattere in prima persona e non affidarsi all'intelligenza artificiale che qui scopre tutti i suoi limiti intrinseci. Anche perché le missioni hanno un tempo limite ed è oggettivamente più divertente pilotare ad esempio piccoli droni di terra corazzati che vederli muoversi a passo di lumaca sul campo di battaglia. Insomma le Strikeforce funzionano più a livello narrativo che di gameplay vero e proprio, ma senza dubbio concorrono a rendere il gioco il più vario possibile.
Il secondo modo per variare l'azione è quello relativo alla scelta del proprio arsenale. Proprio come nel multiplayer, prima di ogni missione possiamo scegliere il nostro loadout. Capitolo dopo capitolo si sbloccano nuove armi, ottiche, granate e via dicendo, mentre superando delle sfide è possibile acquisire dei veri e propri perk che ci permettono ad esempio una mira più stabile, maggiore velocità di ricarica, più sprint, più danno e molto altro. Tra questi, da subito disponibile, c'è il kit di accesso. In missione è possibile trovare nuove armi come fucili, molotov, trappole per animali, ma anche droni, torrette automatiche e richiami per confondere i nemici solo se si ha questa sorta di "coltellino svizzero universale". Casse, ripostigli o terminali diventano quindi ben visibili sul campo di battaglia, permettendoci di ampliare la nostra strategia di attacco o difesa. Ovviamente questa non è una feature che cambia il volto della partita, ma è piacevole constatare come Treayarch abbia voluto inserire un'altra variabile in più da tenere in considerazione, il tutto sull'altare dell'estrema rigiocabilità.
Massacri più ampi
Ma quali sono le nostre impressioni di gioco? La prima cosa che si nota è che Call of Duty: Black Ops II è un titolo molto violento. Nei primissimi minuti Treyarch non ci risparmia nulla, il fuoco è protagonista, e apre poi le danze con un massacro gigantesco, che quasi ci fa porre qualche domanda se sia il caso raccontare con leggerezza eventi così recenti. Più in generale Treyarch non lesina nulla, lo splatter fa spesso capolino nel gioco. La qualità delle missioni è molto alta e come scritto precedentemente, la varietà di approccio e di situazioni non manca.
Il repertorio è quello usuale, frenetico, cinematografico e pirotecnico del franchise, ma forse più compatto e inventivo del solito. Ad ampliare la sensazione che ci sia molto di più da fare c'è l'allargamento generale di alcuni livelli e la spiccata verticalizzazione generale. I famigerati "binari" sono sempre presenti, specialmente al chiuso, ma in alcuni frangenti si azzarda addirittura una enorme mappa unica, come nella missione afghana, in cui muoversi scegliendo liberamente il percorso. Più in generale, tra armi e accessori da trovare e numerosi defilamenti e vie secondarie, la sensazione è che sia stato del tutto evitato l'approccio univoco per arrivare a destinazione. Col plus ovviamente dei bivi, delle scelte e delle sfide da vincere per ottenere i vari perk da equipaggiare. Anche tutti i gadget futuristici che è possibile utilizzare aumentano esponenzialmente il tasso di varietà del gioco. Molto intelligentemente gli sviluppatori hanno deciso di non far ruotare il tutto sull'uso degli stessi: si può tranquillamente dire che sono semplicemente una possibilità in più e non, salvo rari casi, lo strumento necessario per andare avanti. In tal senso il gioco ci spinge a provare più fucili possibile sul campo di battaglia, ognuno dei quali sensibilmente diverso dagli altri, da scegliere accuratamente a seconda della situazione.
Dove però Call of Duty: Black Ops II cede il fianco a critiche è nel livello di difficoltà e nell'intelligenza artificiale. Il titolo va giocato necessariamente a livello difficile. La sfida a normale latita, per una buona metà si può quasi correre tranquillamente verso il trigger successivo. Alzando il tasso di sfida il danno degli avversari aumenta e siamo costretti realmente a sfruttare il level design, evitando di restare allo scoperto e muovendoci il più possibile di copertura in copertura. L'intelligenza artificiale mostra quindi tutte le sue criticità se non vogliamo metterci alla prova. Quando gli spazi si allargano non è raro imbattersi in nemici impalati allo scoperto o che lasciano con disinvoltura le coperture a loro assegnate. La cosa è molto meno evidente nelle sezioni al chiuso, con gli avversari che si difendono con maggior efficacia, ma anche qui un paio di volte abbiamo notato soldati intenti a mirare il muro a lungo e con grande soddisfazione. Per fortuna però il loro numero è sempre molto alto, hanno anche una discreta mira e soprattutto lanciano granate a profusione.
Multi corposo e profondo
L'altro settore dove Treyarch ha voluto lavorare molto nell'ottica del rinnovamento è il multiplayer. I settori cardine sono due: la personalizzazione del proprio arsenale e il gioco di squadra. Tutto ruota quindi sul sistema di equipaggiamento chiamato Pick 10 e sulla grande importanza data non tanto alla kill singola quanto al punteggio "cooperativo" per il raggiungimento delle azioni di supporto, qui chiamate Scorestreak.
Al momento di creare una classe si hanno a disposizione dieci slot, da riempire a piacimento. Ogni pezzo del proprio loadout ha un "peso", esposto visivamente in base dieci. Una vota superati i dieci decimi, non possiamo far altro che eliminare qualcosa, sostituirla con altro e via dicendo. La cosa interessante è che tutto contribuisce al raggiungimento della soglia, non solo armi, ottiche o bombe, ma anche i perk. Al salire di livello si sblocca un pacchetto oggetti, armi, granate, wildcard o gli stessi perk, ma il gioco ci dà un solo gettone di sblocco, per un solo item. Inoltre tutti gli upgrade per le armi sono unici e ogni bocca da fuoco va quindi specializzata per rendere disponibile il tutto. Si capisce quindi come il gioco spinga a sperimentare il più possibile e nello stesso tempo grazie ai gettoni a scegliere oculatamente cosa "comprare".
Il Pick 10 ci dà estrema libertà, basta solo non superare i dieci elementi, e come se non bastasse a rendere il sistema ancor più profondo le già citate Wildcard ci danno la possibilità di piegare il rigido sistema di equipaggiamento. Anch'esse "pesano", ma ci permettono di avere ad esempio un terzo accessorio sull'arma primaria, di aggiungere uno o più perk, di raddoppiare le granate, o anche di utilizzare una seconda arma primaria come secondaria. Un sistema quindi molto vasto, è impossibile sbloccare ogni cosa raggiunto il level cap. Fare quindi diversi giri tra i dieci Prestigio è necessario. Il Pick 10 ha ancora più senso nell'ottica dell'incentivato gioco di squadra di Call of Duty: Black Ops II. Tutte le azioni che si fanno in partita, soprattutto nelle modalità di gioco ad obiettivo, ci fanno guadagnare un punteggio, al salire del quale si rendono disponibili le ventidue Scorestreak, anch'esse da sbloccare utilizzando il gettone. La differenza dal semplice accumulo di kill è lampante. Si parte dal poco costoso UAV per 350 punti fino allo sciame di droni Hunter Killer dal costo di ben 1900 punti. Pensare di fare il corridore che se ne frega del gioco di squadra non paga insomma.
Tutta l'impalcatura è pensata per lavorare sempre di concerto, con le difese e le conquiste dei punti strategici che sono il metodo privilegiato per accumulare punteggio. Il sistema senza dubbio funziona, mettendo in un angolo i lupi solitari che sono da sempre la cifra stilistica del multigiocatore di Call of Duty. Ovviamente nel team deathmatch un approccio del genere è meno vincolante, ma comunque avere sempre vicino un compagno di squadra è il modo migliore per incrementare il punteggio anche nell'ottica dei numerosi e ricchi assist che è possibile fare. L'impressione è che questo complesso sistema funzioni molto bene e che non ci siano palesi problemi di bilanciamento. Ovviamente non possiamo sapere cosa la comunità farà sul medio-lungo periodo, ma provando diverse combinazioni anche quelle più estreme e con le armi, i perk e le Scorestreak più "esotiche" abbiamo sempre notato come non ci sia qualcosa di irrimediabilmente sovra-potenziato. Anche i famigerati fucili con le ottiche a ricerca sono controbilanciati da una ridotta visuale che ne pregiudica un utilizzo costante. Insomma tra il sistema a punteggio e lo sblocco col contagocce sembra che Call of Duty: Black Ops II possa aver trovato una via equilibrata verso un sistema stabile e adattabile a tutti i tipi di giocatore.
Obiettivi Xbox 360
Call of Duty: Black Ops II premia il giocatore con cinquanta obiettivi, suddivisi tra campagna, multiplayer e zombie. I numerosi obiettivi della campagna si ottengono rigiocando alcune scelte più volte, in modo da vedere le varie diramazioni della storia, ma anche portando a termine alcune sfide interne. Nel multiplayer l'obiettivo più ricco ci porta direttamente in zona Prestigio, mentre per quanto riguarda gli zombie bisogna giocare molto a lungo e scoprire più oggetti e segreti possibili.
Tanti contenuti
A livello prettamente contenutistico l'offerta di gioco è molto corposa. Troviamo quattordici mappe, tutte mediamente più grandi di quelle di Modern Warfare 3 e caratterizzate da un level design mai banale e piatto, spiccatamente verticale, arioso ma molto "intricato" in termini di nascondigli, passaggi secondari, defilamenti e strozzature. In quest'ottica la losangelina Aftermath, ingombra delle macerie dopo l'attacco di Menendez, la yemenita Turbine, stretta tra due montagne e le due pakistane, l'urbana Overflow e l'industriale e labirintica Meltdown, sono esempi chiari della bravura dei ragazzi americani nel disegnare perfetti campi da gioco. Anche le mappe più piccole esaltano comunque il complesso sistema di personalizzazione. Davvero "caciarone", ma comunque ricche di scappatoie e vie di fuga, come il piccolo "mega yacht" di Hijacked e il ponte ingombro di resti fumanti di caccia della portaerei cinese in Carrier. Sul versante delle modalità di gioco tra le novità c'è l'inserimento del multisquadra, con tre team che si danno battaglia per arrivare alla vittoria e che quindi spinge molto sul versante cooperativo avendo più nemici che compagni e Hardpoint, una sorta di variante di King of the Hill che premia il mantenimento di una zona anche con un singolo giocatore all'interno.
Inoltre ritornano i mini giochi come One in the Chamber, Stick and Stones e Gun Game e cosa davvero gradita la mai troppo osannata Kill Confirmed fa parte del menù imbandito da Treyarch. A completare il tutto bisogna aggiungere che tanto i mini giochi, quanto il completo allenamento con i bot da personalizzare a piacimento concorrono (anche se in modo minore) all'innalzamento del livello, un modo quindi per stimolare a giocare tutto. A chiudere la corposa offerta multigiocatore c'è la forte voglia di inserire Call of Duty: Black Ops II all'interno del circuito degli E-Sport. Per questo la modalità competitiva E-League sarà organizzata su veri e propri campionati per tutte le tipologie di giocatori, in modo da creare una sorta di percorso classificato dalle leghe più basse sino a quelle in cui si sfidano i giocatori più bravi, con promozioni e retrocessioni.
Zombie in tour 2012
E poi ci sono gli zombie. Treayarch ci aveva promesso una campagna, più che una successione di mappe slegate, e senza dubbio da un punto di vista prettamente quantitativo siamo certamente da quelle parti, ma parlare di campagna vera e propria è francamente eccessivo. In TranZit un massimo di quattro giocatori, anche in split screen, possono esplorare salendo su un bus, diverse zone della contea di Green Run.
Possiamo salire e scendere quando vogliamo, ma è caldamente sconsigliato affrontare la strada e la nebbia che separano le diverse location, anche se tra nemici più letali, oggetti bonus, zone segrete e easter egg ne vale sicuramente la pena. Le regole del gioco sono le solite. Porte da aprire che rivelano nuove aree, armi e perk da comprare. La novità più grande è quella relativa agli elementi da costruire. All'interno della stazione degli autobus, della fattoria, del laboratorio, del diner e della città sono disseminati degli oggetti che se portati in particolari tavoli da lavoro possono esser combinati per costruire oggetti difensivi e offensivi, ma anche utili per sbloccare porte senza passare per il pagamento dei tanto sudati dollari. Inizialmente si può realizzare una sorta di ventilatore per spalancare le entrate, più avanti un rostro da applicare sul paraurti del bus, ma anche l'utilissimo scudo da spalla o da piantare a terra. Il problema è che il gioco non ci da nessun hint al riguardo, non c'è nessun indicatore o texture diversa che indichi cosa cercare. Un bel problema insomma, decisamente frustrante nelle prime partite anche perché si inizierà a spingere X furiosamente appena si vede qualcosa di strano. Una scelta senza dubbio azzeccata nell'ottica survival, un po' meno, almeno nelle prime battute, a livello di gameplay. Il cuore del gioco è rimasto quello, le ondate si susseguono incessanti e via via più difficili, ma la possibilità di salire sul bus, e magari restarci per tutto il tempo, visitando altre zone e scoprendo nuovi segreti è un bel passo avanti rispetto al passato. Non ci troveremo di fronte ad una campagna con tutti i crismi del caso, ma l'obiettivo comunque è stato centrato. Se poi non si ha voglia di girare in tondo per Green Run c'è il classico Sopravvivenza ambientato in una singola location e Dolore in cui si affrontano due squadre umane avversarie contro gli zombie. L'ultimo umano che rimane in vita vince. Peccato solo che una volta rimasti da soli nella mappa se non si riesce a terminare l'assalto dei non morti l'ondata ripartirà da capo e con tutti i giocatori vivi.
E visto che più si va avanti più la battaglia diventa dura, quasi al limite dell'impossibile, con meno soldi e armi dal danno dimezzato, non è raro entrare in un circolo vizioso di continue ripartenze dal quale non uscirà praticamente mai un vincitore. Ma da un punto di vista visivo come siamo messi quest'anno? Treyarch in sede di reaveal ci aveva promesso un travaso di effettistica PC su console, in modo da rendere meno traumatico l'impatto con un motore che seppur garantendo un frame rate granitico ancorato ai 60 fotogrammi al secondo, mostra sempre di più la sua età. Il revamping è in tal senso molto visibile per quello che riguarda illuminazione, modelli (le animazioni facciali sono un punto di forza) e shader, e in seconda battuta su conta e modellazione poligonale. Alcune missioni, come quelle notturne in Birmania e Pakistan creano un quadro visivo che non ha nulla da invidiare a titoli più tecnicamente blasonati, in un tripudio di luci ed effetti speciali, mentre delle altre, quelle "baciate dal sole" si apprezza la generale pulizia e ottimizzazione, ma mostrano di più i segni del tempo sulle texture. Il multiplayer rende più palesi le difficoltà del motore, ma le mappe appaiono senza dubbio più ricche e costruite del solito. Intendiamoci, il look generale è come al solito di grande impatto, con ambienti più dettagliati e meno "fermi", in tal senso la regia di Treyarch ci mostra ed esalta solo quello che loro vogliono che noi si veda, ma a costo di ripeterci, la prossima generazione è quello che ci vuole per il franchise. Nulla possiamo dire sulla bontà del doppiaggio italiano e sulla prova di Giancarlo Giannini nei panni di Menendez, visto che la versione che abbiamo provato era quella americana. Di grande valore poi la colonna sonora, scritta da Sua Maestà Industrial Trent Reznor.
Conclusioni
Dopo l'ottimo Black Ops, Treyarch si ripete, confezionando una campagna molto coraggiosa, dai toni adulti e che ci fa parlare di estrema rigiocabilità grazie ad un sistema complesso e stratificato composto da bivi, snodi, tanta varietà e non linearità delle (farraginose) Strikeforce, il tutto all'insegna di sei finali diversi. Nel multiplayer, il level design è di gran classe, mentre il nuovo sistema di personalizzazione è estremamente profondo e ricco di possibilità. La rinnovata modalità zombie funziona e aggiunge molta carne al fuoco, ma chiamarla campagna pare eccessivo. Pollice verso per il basso tasso di sfida della campagna se giocata a normale, a causa di una intelligenza artificiale problematica.
PRO
- Bivi, snodi, sei finali, tanta varietà e non linearità
- Storia adulta, complessa e molto stratificata
- La nuova personalizzazione del multiplayer garantisce profondità
- Eccellente il level design delle mappe
- I miglioramenti tecnici sono palesi
CONTRO
- Basso tasso di sfida a normale
- Intelligenza artificiale problematica
- Il metodo di controllo delle Strikeforce è farraginoso
- Modalità Zombie molto corposa, ma chiamarla campagna è eccessivo