I'm a cowboy, on a steel horse I ride
Sguardo glaciale, stivali a punta, speroni, cappotto lungo fino alle caviglie, cappellone e, ovviamente, cinturone full optional con una pistola per ogni fianco. E’ vero, carnevale ce lo siamo lasciati alle spalle anche quest’anno, ma è anche vero che il cowboy in erba, presente nell’ego di ogni amante di questo pezzo di storia, sogna almeno una volta di addobbarsi in questa maniera. Non potendo farlo in questo determinato periodo dell’anno, almeno che non si tenga particolarmente ad indossare un’elegante camicia di forza, potremo comunque sfogare i nostri istinti infilandoci nei panni virtuali di El Tejan. La fama di questo pistolero è delle migliori: veloce, freddo e spietato. La narrazione, raccontata attraverso cut scene in bianco e nero in stile cinema dei primi anni ‘90, racconterà la storia di questo personaggio e dei suoi scopi di vendetta. Già, perché il pistolero di cui prenderemo le veci avrà qualche conto in sospeso con la sua ex banda , denominata I Nove, colpevole di averlo tradito e – presumibilmente- ammazzato. In effetti El Tejan la morte l’ha rischiata sul serio, ma come ogni buon Western insegna: se non lo finisci prima o poi sarà lui a scavarti la fossa. Da qui nasce la furibonda ricerca di tutti i componenti della ‘distratta’ banda, in un susseguirsi di deja vu presi qua e la da alcuni capostipiti del genere cinematografico. Dead Man’s Hand ha il pregio indiscutibile di accompagnare il giocatore, piuttosto fedelmente, attraverso quei luoghi che sono l’anima stessa del Far West. Affronteremo dunque i duelli proposti in saloon, boschi, cittadine fantasma, deserti e colline. I livelli però, per quanto risultino scenograficamente immersivi, si rivelano piuttosto trascurati, vuoi per l’eccessiva brevità degli stessi, vuoi per l’altrettanto eccessiva linearità paragonabile giusto alle rotaie su cui cammina un vecchio treno a vapore. Gli elementi che contraddistinguono il design di ogni locazione risultano pochi e mal sviluppati, rigenerati appena da una discreta interazione coi fondali e dalle numerose ‘zone di sicurezza’ immortalate in un tavolino, un albero oppure un masso in cui nascondersi in attesa del momento propizio per aprire il fuoco.
I'm wanted dead or alive
L’impostazione di Dead Man’s Hand è quella tipica di ogni shooter in prima persona adattato al joypad. Con un sistema di controlli sicuramente migliorabile, ma ben lungi dall’essere pessimo, il titolo Atari propone qualche accenno di novità grazie ad un sistema di combo ed alla possibilità di avere due differenti colpi per ogni arma utilizzata. Una barra visibile nell’angolo di sinistra in basso allo schermo indicherà la carica speciale utilizzabile proprio per i colpi extra, che potranno essere un multiplo sparo di una Colt, lo zoom per il fucile di precisione, oppure lo stun shot del fucile a pompa. L’armamentario di base, come avrete ben capito, si dividerà nelle tre categorie fresche di citazione, le quali vanteranno ognuna un set ben distinto di armi, oltre ai candelotti di dinamite ed al pugnale. Il sistema di combo risulta efficace, anche se un mero spreco di colpi. Centrando ad intervalli temporali i determinati target proposti nel gioco, che saranno sia nemici che oggetti di vario genere, non faremo altro che rimpinguare la barra del colpo secondario, utile in più di un’occasione. Pessima invece la precisione di tiro, calibrata più che a spanne, a metri. Con tale mancanza gli sviluppatori statunitensi mettono il giocatore in grado di avere una maggiore accuratezza nei colpi a lunga distanza piuttosto che quelli a raggio limitato. Un paradosso. Inoltre risulta piuttosto superficiale l’implementazione di minigame come il poker oppure le sessioni a cavallo, simili a Panzer Dragoon Orta solo per l’impostazione in simil shoot’em up su rotaie. Qualcosa in più si ottiene spremendo a fondo le quattro modalità on line presenti, che però poco fanno per rigenerare l’interesse di chi si addentra in questo titolo Atari. In termini di IA dei nemici è tutto piuttosto nella norma, senza particolari spunti ma nemmeno vistosi crolli verticali. Sull’onda dell’anonimato anche il lato tecnico di Dead Man’s Hand, che graficamente se la cava, pur passando attraverso uno stentato frame rate e una qualità piuttosto bassa delle texture. I modelli dei cattivoni non brillano né per composizione poligonale, né per animazioni. Solo le ambientazioni riescono a smuovere la piatta linea di un comparto grafico senza sussulti di nessun tipo, a patto che si apprezzino i background di stampo Western. Affette dello stesso problema di anonimato anche le musiche di sottofondo che, per quanto sempre a tema, non riescono mai ad incalzare l’azione.
Commento
Human Head ha svolto il compitino a casa senza però dare un’anima al suo lavoro. Infatti, Dead Man’s Hand s’incanala in un tunnel fatto di pregi vincolati all’amore verso il tipo di ambientazione e genere di gioco, e difetti riconducibili ad un pressappochismo di fondo che si avverte per tutta la durata del gioco. Qualche buono spunto e poco più rende questo titolo consigliabile più che altro a chi non è mai sazio di FPS e a chi sogna invece di poter reincarnarsi in un novello Clint Eastwood. Senza infamia e senza lode.
- Pro:
- Ambientazioni evocative.
- Immediato. .
- Qualche spunto degno di nota.
- Contro:
- Level design piatto.
- Tecnicamente poco curato.
- Precisione di tiro totalmente da rivedere.
Le generazioni più giovani probabilmente non conosceranno appieno il filone d’oro del cinema di venti anni, ed anche più, or sono. Erano i film di eroi solitari e dei loro fedeli destrieri; film pieni di piombo e di frasi da tatuarsi sull’avambraccio; i film delle donne in eterna ed ansiolitica attesa del ritorno del proprio innamorato, che logicamente aveva altro a cui pensare. Si potrebbe andare avanti per secoli citando questo o quell’attore, quel regista o compositore, ma sarebbe soltanto una malinconica ondata di ricordi, proprio quei ricordi che si appiccicano, chissà perché, ad un film piuttosto che un altro. L’ultimo vero esponente di questo genere, spremuto all’inverosimile, risale alla prima metà degli anni novanta; quel Tombstone che, a conti fatti, risulta per assurdo una delle migliori produzioni Western di sempre, con la sua esemplare visione dell’’episodio cardine della vita di Wyatt Earp: la sparatoria di Ok Corral. Diverso il discorso per ciò che concerne il mondo dei videogiochi, da sempre piuttosto snob nei confronti dell’ambientazione legata al vecchio Far West. Ed ora un piccolo quiz: pensate al genere più idoneo per un gioco Western. Avete fatto? Esatto, è proprio il First Person Shooting ad incarnare in toto l’essenza delle leggendarie sparatorie dell’America che fu. La stessa opinione devono averla avuta gli statunitensi Human Head, che con la loro ultima fatica, Dead Man’s Hand, portano il giocatore nelle sabbiose ambientazioni di un Western con tutti i crismi.