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Dead Rising - Recensione

Finalmente anche l'Europa è pronta ad accogliere l'acclamato debutto Capcom su Xbox 360. Una marea di zombies vi travolgerà!

RECENSIONE di Dario Rossi   —   08/09/2006
Dead Rising
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Il mio centro commerciale

Ma torniamo all'inizio, all'elemento più sconcertante di Dead Rising, il suo presupposto ludico. Lo scopo del gioco viene esplicato fin da subito: il protagonista Frank West (quasi un clone di Ben Affleck) è un fotoreporter d'assalto che sta indagando su strani fatti accaduti nel paesino di Willamette, Colorado. La popolazione sembra impazzita, le strade flagellate dalle carcasse di auto coinvolte in oscuri incidenti, lo scenario è apocalittico e Frank lo immortala dall’elicottero che lo sta trasportando. E' la prima occasione per tuffarsi nel gioco e scoprire una sua bizzarra caratteristica, la possibilità di fotografare in qualsiasi momento la scena, e ricevere un punteggio proporzionale alla qualità dello scatto. La bramosia del nostro alter ego non conosce limiti, e l'eventualità di uno scoop rivoluzionario è irresistibile. Decide quindi di atterrare sul tetto di un centro commerciale per approfondire l'accaduto, l'elicottero tornerà dopo 3 giorni per portarlo via dall'inferno che lo attende, e questo sostanzialmente è anche il quid principale del titolo. Per terminare DR è sufficiente farsi trovare all'eliporto 72 ore dall'arrivo, a prescindere dalle azioni necessarie a completarlo, e ricevere l'adeguato finale tra i numerosi disponibili. Sta al giocatore dettare il tenore della partita, sia che si rifugi per tutto il tempo in un bagno, o che scopra l'origine dell'accaduto, il gioco terminerà comunque.

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I'm a pro!

Una simile struttura trova perfetta collocazione nello scenario contestuale scelto da Capcom, tutta l'avventura si svolge all'interno del centro commerciale, progressivamente invaso da zombi sempre più aggressivi. Naturale conseguenza è la possibilità di esplorare la mappa nella sua interezza fin da subito, stabilendo come base operativa gli uffici di manutenzione, luogo reso sicuro grazie all'intervento di uno dei sopravvissuti, dove il giocatore potrà salvare la partita e condurre i superstiti attraverso il condotto d'areazione che collega con il resto della costruzione. La sfida consiste nello stabilire itinerari sicuri per adempiere alle missioni suggerite dal walkie talkie donatoci da un inserviente, che suggerisce a Franke indizi per scovare i superstiti. La pratica del backtracking, tipico escamotage utilizzato in altri contesti per allungare il brodo, rappresenta il midollo spinale della fatica Capcom, in quanto le missioni di recupero richiedono, come già accennato, il passaggio di zone già note per arrivare all'agognata area degli uffici. Tutto questo con un occhio fisso all'orologio di Frank, che scandisce il tempo disponibile per ogni missione. Un'ossatura apparentemente complicata e macchinosa, ma che viene risolta brillantemente con un'ingegnosa interfaccia grafica. Una volta visualizzato l'orologio, possiamo scorgere alla destra dello schermo una serie di barre colorate che evidenziano il tempo disponibile per ogni missione, rapportato a quello delle 72 ore.

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Fuori orario

Indipendentemente da queste side quest, è presente un apposito dossier inerente ai casi che porteranno alla risoluzione della storia principale. Perché DR ne ha una, indissolubilmente legata ai capolavori romeriani, ma anche X-Files e molti altri film, molto ben realizzata e piena di personaggi da scoprire. Ma stupisce anche in questo contesto la volontà di Capcom nell’offrire un’esperienza libera al giocatore, nel caso non si riesca a risolvere la storia principale (sostanzialmente una lunga serie di missioni obbligatorie concatenate tra loro), si avrà comunque la possibilità di continuare la partita e salvare le pellacce di Frank e i superstiti, ma senza capire le cause che hanno provocato il contagio. Il tempo scorre molto più veloce di quello reale, 1 minuto di gioco ogni cinque secondi, corrispondenti a 6 ore, queste non sono sufficienti a conciliare la storia principale con il salvataggio di tutti i superstiti, oltre al naturale desiderio di divagazione del giocatore. Occorre quindi effettuare scelte precise su quale impronta dare all’avventura. Curiosamente, i programmatori sembrano mettere in secondo piano la storia, nonostante la cura profusa, considerandola quasi facoltativa, ed enfatizzare sul fattore sopravvivenza del protagonista. Va da sé che, optando per questa soluzione, si perde l’essenza del gioco e la tipica orchestrazione ludonarrativa cui siamo abituati, concitata ed entusiasmante, che non fa rimpiangere la saga di Resident Evil, sebbene se ne discosti da praticamente ogni lato.

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Un mondo di zombi

Tecnicamente DR è un titolo da osservare con attenzione. Dopo lo stupore destato dalle cutscenes, il primo acchito in gioco trasmette un aspetto quasi familiare, da prodotto di altri tempi. Successivamente però salta fuori la notevole definizione delle texture, impensabile su 128 bit, e come accennato in apertura, l’esorbitante numero di zombi disegnati a schermo. Ogni area dell’ipermercato è straripante di creature barcollanti ed insidiose, che opprimono il giocatore in ogni sua azione e fungono da ostacolo alla conclusione delle missioni. In certi frangenti lo schermo è letteralmente saturo di mostri (il motore grafico subisce solo rari rallentamenti), così tanti da lasciare a bocca aperta e rendere il passaggio apparentemente impossibile. Ma Frank può contare su un reparto offensivo che fa leva sull’elevata interazione con gli oggetti disponibili nella mappa, davvero tantissimi e aperti ad interpretazioni personali. Ogni oggetto non commestibile può essere usato come arma: attrezzi da giardinaggio, coltelli, bastoni, tubi di ferro, ogni partita rivela un oggetto nuovo da usare, prima ignorato, il cui uso provoca nuovi, esilaranti effetti. Notevole anche la possibilità di combinare azioni per amplificare il potere offensivo. Giusto per fare un esempio, mettendo una padella sui fornelli, questa diventerà incandescente, provocando danni ancora più gravi. Si arriva a livelli di umorismo grottesco, come ficcare dei coni stradali in testa agli zombies (o maschere di carnevale), privandoli della vista, e quindi, la pericolosità.

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Questione di stile

La violenza nel gioco supera il parossismo come sbudellamenti con una mano, ondate ridicole di sangue che imbrattano pareti, decapitazioni, tutto visualizzato con morboso dettaglio. In un altro contesto stilistico DR sarebbe stato scarsamente sostenibile, ma l’eccezionale lavoro artistico svolto da Capcom stempera la violenza in un vortice di colori e personaggi al limite del fumettoso, un’ironia trash davvero irresistibile che sembra aver raccolto la lezione di GTA, ma che lo supera in tal senso grazie alla limitazione dello scenario. Su tutto la caratterizzazione del centro commerciale stesso, che contrappone al sangue dei buffi ristoranti in stile texano, parchi divertimenti, e tutta l’estetica tipicamente yankee in salsa quasi disneyana. E’ un contrasto talmente efficace da rendere le carneficine spassose e grottesche, mentre non mancano momenti di serietà inerenti alle situazioni più drammatiche. In questo settore tutto è davvero concepito con encomiabile perfezione. Il comparto audio si dimostra altrettanto lodevole. Non esiste una vera colonna sonora portante, ma tutta una serie di efficaci effetti sonori. Il vero capolavoro restano le voci degli psicopatici, sostanzialmente dei miniboss che saremo chiamati ad affrontare, caratterizzate in maniera semplicemente eccezionale. Questi scontri sono accompagnati da pezzi di svariati generi, dalla techno all’hip hop, decisamente azzeccati (da menzionare quello del parco centrale).

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Follow me!

Leggendo finora sembrerebbe che DR sia un capolavoro, purtroppo non è così, l’enorme cura riservata alla caratterizzazione del gioco ha lasciato altre parti decisamente più lacunose. Considerata la relativa brevità di una partita, parte dei problemi del gioco non risultano del tutto incidentali, come la scelta di offrire un solo slot di salvataggio al giocatore, e solo determinati luoghi per salvare (i bagni!). Soluzione che porta a situazioni decisamente frustranti, in quanto nel caso si salvi in una situazione irrisolvibile, si è obbligatoriamente costretti a ricominciare.

Ogni area dell’ipermercato è straripante di creature barcollanti ed insidiose, che opprimono il giocatore in ogni sua azione e fungono da ostacolo alla conclusione delle missioni

Follow me!

In questo senso risulta indicativa la lieve componente rpg del gioco: Frank sale di livello una volta ottenuti dei punti prestigio dalle sue azioni, e così la sua capacità offensiva, la velocità di movimento e la capienza dell’inventario. Queste abilità rimangono per sempre a prescindere dalla partita in corso. Il giocatore è quindi esortato a cimentarsi più volte nell’avventura, appiattendo gradualmente la curva di difficoltà, impassibile ad un protagonista che diventa sempre più forte. Un altro problema è rappresentato dalla IA dei superstiti, molto deficitaria, che li rende spesso preda degli zombi, se non un totale intralcio alle azioni di Frank. Effettuare le missioni di recupero in queste condizioni è tutt’altro che divertente, ma sono proprio queste le occasioni più proficue per ottenere punti prestigio, quindi piuttosto inderogabili. Capcom risolve in parte il problema grazie all’enorme empatia sviluppata tra giocatore e superstiti, in molte occasioni abbiamo madri ferite in cerca di figlie disperse, ragazzine chiassose, anziani, e così via. Tutti molto ben caratterizzati e credibili. Anche il sistema di combattimento a mani nude, tutt’altro che accessorio nello story mode, meritava una maggiore limatura. Diverse mosse sono confusionarie e discutibilmente mappate sui tasti del pad. Il titolo è pensato principalmente in ottica single player, il supporto Live si limita alle classifiche per i punti prestigio e la modalità sopravvivenza, ottenibile dopo aver concluso quella principale.

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Cacciatori di obbiettivi

Decisamente esaustiva la parte dedicata agli obbiettivi sbloccabili nel gioco, ben 50, che lasciano ben poco al caso, e che riguardano ogni azione performabile da Frank. Alcuni decisamente esilaranti, in perfetta linea con lo spirito del titolo, come rubare la camionetta dei detenuti nel parco, saltare da altezze vertiginose o fotografare i boss. Quello più famigerato è il famoso Zombie genocider (nemesi degli zombi) che consiste nell'uccidere 53.594 creature, praticamente l'intera popolazione di Willamette! La modalità ideale dove sbloccare gli obbiettivi più sfiziosi è quella denominata Infinity, in questa è possibile ottenere addirittura la celeberrima spada laser dei cavalieri Jedi. Che la caccia abbia inizio!

Dead Rising non è un titolo privo di difetti, ma i suoi lati negativi vengono bilanciati da un gioco di raro carisma, dotato di una caratterizzazione semplicemente eccezionale, un perfetto equilibrio tra umorismo e serietà, che accompagna un’esperienza sorprendentemente fresca e libera rispetto ai canoni della casa giapponese. L’enorme quantità di oggetti interagibili, unita alla varietà di utilizzo, scongiura ogni pericolo di noia. La tendenza verso un gameplay improntato al combattimento fisico lo rende quasi un gigantesco e sofisticato picchiaduro con innesti adventure, un fattore che gli amanti della saga zombesca per antonomasia (ovviamente Resident Evil) dovrebbero tenere in considerazione. Quella che li attende è un’esperienza profondamente diversa, non meno divertente, assolutamente da provare. Se avete sempre sognato un mondo straripante di zombi, questa è la vostra panacea.

    Pro:
  • Design eccezionale
  • Grande interazione e libertà
  • Migliaia di zombi da maciullare
    Contro:
  • Sistema di salvataggi poco convincente
  • Intelligenza artificiale non sempre all'altezza
  • Qualche lieve rallentamento

Annunciato insieme alla nuova console Microsoft, il survival horror di Capcom è partito come un progetto silenzioso, quasi un test a basso costo per saggiare le capacità della macchina. Strategicamente dissociato dal brand di Resident Evil, il gioco ha subito colpito per le analogie con il secondo capitolo della saga zombesca di Romero (vedi speciale) e per il numero esorbitante di nemici, ovviamente zombi, presenti sullo schermo. Ancor più clamore hanno destato le informazioni sul gameplay, che tracciavano l'identità di un prodotto estremamente non lineare, quasi un sandbox horror in netta controtendenza con i canoni della casa giapponese. Il ritardo dell'uscita e la perfetta campagna marketing internettiana, con filmati rilasciati a cadenza settimanale, hanno lasciato intendere come il progetto avesse guadagnato diversi posti nella scala di priorità capcomiana. Versione definitiva alla mano, dobbiamo constatare l'impegno profuso nell'offrire un titolo decisamente peculiare, più rischioso di quanto fosse stato lecito pensare. Una scommessa vincente, considerato che in Usa il gioco è già un pezzo di culto, con un l’esorbitante numero di 500.000 copie vendute. I motivi si scoprono pad alla mano, le strepitose premesse hanno dovuto fare i conti con qualche compromesso, ma effettivamente il giocatore si trova di fronte ad un intero centro commerciale da scoprire, con la libertà di costruire il proprio gioco nel gioco, e poi ci sono gli zombi. Talmente numerosi da riempire lo schermo senza che il motore grafico subisca eccessivi traumi (o quasi), stupefacenti per caratterizzazione comportamentale ed estetica.