Prima di immergerci nella recensione di In Other Waters per Nintendo Switch, sviluppato da Jump Over the Age (è disponibile anche su PC), due piccoli avvertimenti per esplicitare, subito e chiaramente, a chi non è adatto questo gioco. Innanzitutto, e senza possibilità di smentita, a chi non conosce bene l'inglese: non ci riferiamo alla capacità di leggere qualche post nei forum online, o di scrivere semplici frasi di senso compiuto. In Other Waters utilizza un linguaggio piuttosto complesso, altamente specifico e, soprattutto, mette le parole al fulcro dell'esperienza: senza comprendere perfettamente il testo avrete difficoltà a proseguire, e non godrete della profondità offerta dall'opera. Immaginate di dover affrontare un'avventura testuale senza conoscere la lingua in cui è scritta, e avrete un'idea precisa di quello che potrebbe ostacolarvi in questo gioco. Purtroppo, come speriamo sia ovvio dopo questa premessa, In Other Waters è disponibile solamente in inglese. In secondo luogo, non è adatto a chi ama l'azione: non c'è alcun momento dell'avventura in cui vengano testati i vostri riflessi, nessuno in cui sia messa minimamente alla prova l'abilità manuale col pad. È un titolo convintamente privo di nemici, di creature da sconfiggere o abbattere: come ha dichiarato a Vice il suo creatore, Gareth Damian Martin, In Other Waters rifugge coscientemente i topoi aggressivi dei videogiochi, che per nutrire le proprie meccaniche portano gli antagonisti ad odiare l'eroe, a volte addirittura a suicidarsi (porta l'esempio di Dark Souls) pur di contrastarlo e fermarlo. Naturalmente il discorso, ci pare banale sottolinearlo, non è limitato agli orrorifici scheletri From Software: lo stesso ruolo svolgono gli storditi goomba in Super Mario, o i simpatici DinDin in Kirby. Dei nemici che generano conflitto, che a sua volta mette in moto l'azione.
Game Designer e storia
Il gioco, inizialmente finanziato via crowdfunding su Kickstarter, è stato pubblicato da Fellow Traveller, e sviluppato dalla neonata Jump Over the Age, che sostanzialmente coincide col già citato Gareth Damian Martin, una persona eccezionalmente poliedrica residente a Londra. Pur essendo ancora giovane - ci basiamo sulle foto, non abbiamo trovato la data di nascita - ha alle spalle una lunga serie di attività, che comprendono la composizione grafica (anche per grandi aziende), esperienze di narrativa testuale, opere di videoarte e una ricca produzione come critico videoludico: ha collaborato con Edge ed Eurogamer, e ha fondato Heterotopias, una rivista focalizzata sull'architettura spaziale nei videogiochi. In Other Waters rappresenta il suo debutto come game director, per il quale ha già ricevuto un riconoscimento agli IndieCade, la prestigiosa fiera di videogiochi indipendenti: la sua competenza emerge chiara in questo progetto che, piaccia o meno, è coerente in ogni suo aspetto. Poco fa abbiamo parlato dell'assenza dei nemici, che è importante, ma rappresentata soltanto uno degli elementi che rendono unico In Other Waters.
Si tratta di un'avventura relativamente breve (di circa dieci ore), il cui incipit è piuttosto tradizionale: Ellery Vas, una xenobiologa, atterra su un lontano esopianeta, Gliese 667 Cc (realmente esistente, nella costellazione dello Scorpione), per cercare la sua compagna e collega scomparsa, Minae Nomura. Utilizziamo in entrambi i casi il femminile, nonostante in alcuni siti si legga il contrario, e in altri ancora le due siano alternativamente riportate come maschi: degli errori che probabilmente hanno poco a che fare con una discutibile conoscenza dell'inglese.
Narrazione
Il giocatore non controlla Ellery, bensì l'intelligenza artificiale collocata nel suo biondo scafandro. Questo comporta tante particolari conseguenze. Innanzitutto giustifica l'atipica interfaccia grafica: l'intera esplorazione dei fondali marini avviene attraverso un radar/navigatore. Oltre ad essere visivamente apprezzabile, è molto soddisfacente dal punto di vista tattile: col mouse la navigazione è più veloce e intuitiva, ma anche coi pulsanti di Switch è decisamente appagante (volendo è supportato anche il touch screen, che a noi è sembrato un macchinoso compromesso tra mouse e tasti). Con lo stick destro si controlla il radar, da posare sopra flora e fauna, così da esaminarla; con frecce e dorsali si gestiscono le altre funzionalità, come il ritorno alla base, ma soprattutto il prelievo delle creature marine (animali e vegetali). Come intelligenza artificiale, si può rispondere solamente "sì" o "no" ad Ellery, che quindi va soprattutto ascoltata nelle sue numerose esternazioni. L'elemento maggiormente distintivo dell'avventura è proprio questo: la xenobiologa, oltre ad essere la nostra unica compagna, rappresenta anche la maggior parte dei nostri sensi. Attraverso le sue parole vediamo i microrganismi, immaginiamo le forti correnti, gli abissali dislivelli, le mucose sporgenze rocciose. Solo una volta raccolta, e analizzata in laboratorio, possiamo vedere gli schizzi della flora e fauna di Gliese 667 Cc: l'unico sguardo concreto concessoci al suo ecosistema, altrimenti limitato a una rappresentazione astratta comprendente cerchi, triangoli e sinuose linee su sfondo (inizialmente) ciano. Un espediente narrativo apprezzabile, che come dicevamo presume un'adeguata conoscenza dell'inglese: le descrizioni del resto non sono comunicate da un divulgatore scientifico, bensì da una biologa che elabora informazioni per un'intelligenza artificiale, quindi il registro linguistico è molto specifico. In questo ambito, il lavoro di Martin è stato certosino: pur essendo organismi inventati, è evidente lo studio che hanno implicato. Non esistono ma, per quanto ne sappiamo noi, potrebbero esistere: e questo, nelle opere di finzione, è quello che conta maggiormente.
Prima abbiamo scritto che Ellery traduce in sensazioni sensoriali le forme astratte della mappa: è vero, ma c'è un'importante eccezione. Ci riferiamo alle sonorità dell'universo marino, grandi protagoniste dell'esplorazione. Il sound designer è Amos Roddy, e il suo lavoro è pregevole e coinvolgente, declinato in base all'impeto delle correnti, e alla profondità degli abissi.
Il gioco
Dal punto di vista narrativo In Other Waters è un'opera matura in ogni suo aspetto. Senza alcuna pedanteria, o accenno di didascalismo, affronta seriamente il rapporto tra uomo e ambiente, elabora - soprattutto con messaggi a distanza - una complessa relazione tra due biologhe, ricrea in maniera credibile le dinamiche di una possibile esplorazione aliena, molto diversa dagli atti eroici, o bellici, a cui ci hanno abituato altri videogiochi fantascientifici. La stessa biologia marina è trattata con una cura e un'amore particolare, sia nella creazione degli organismi alieni, sia - soprattutto, a nostro parere - nel linguaggio accademico utilizzato per descriverli. L'assenza di nemici costituisce una forte presa di posizione, sia strutturale che ideologica. Purtroppo, in termini di level design, In Other Waters non si rivela all'altezza delle altre componenti. Non ci riferiamo al fatto che non sia particolarmente divertente, nell'accezione più triviale del termine: quella è una prerogativa che accettiamo, coerente a un'opera del genere. È l'architettura stessa del gioco a essere più banale del contenuto narrativo (testuale, visivo e sonoro) che ospita. Proviamo a spiegarvela nel modo più semplice possibile. Pensate a Metroid: siete soli, in un inesplorato pianeta alieno. Aggiungete la collega che state ricercando: il vostro obbiettivo, mentre analizzate flora e fauna circostanti, è quello di individuarla e, possibilmente, ritrovarla. Rimuovete tutti i nemici. Ampliate l'importanza dello scan. Cambiate inquadratura, e limitatela a quella di un radar. Adesso visualizzate tutto da una mappa, come se consultaste un navigatore, e immaginate di potervi muovere esclusivamente nei punti prestabiliti dallo sviluppatore, in maniera lineare. I microrganismi che avete rimosso ricompaiono quasi immediatamente. Per avanzare nel gioco, non dovete fare altro che capire come affrontare le banali sfide ambientali: all'atto pratico, bisogna intuire come raggiungere il successivo "puntino della mappa", che è momentaneamente vietato per via di qualche forte corrente, per la presenza di qualche strana pianta, ecc... Ogni volta dovete scovare, raccogliere e infine utilizzare l'elemento giusto per poter proseguire.
Le fasi in cui il giocatore rimane bloccato sono decontestualizzanti: Ellery smette di parlare, e i movimenti sono confinati al cammino lineare disegnato dallo sviluppatore, in attesa di intuire come ampliarlo. In queste situazioni è difficile vedere con gli occhi della protagonista, percepire le finemente evocate profondità marine, e spesso ci si ritrova a fissare un semplice, limitato radar con delle essenziali forme geometriche.
Conclusioni
In Other Waters è un'opera raffinata e matura, sviluppata dalla neonata Jump Over the Age, che sostanzialmente coincide con Gareth Damian Martin: un game designer debuttante, ma più in generale un poliedrico artista e narratore, dal corposo curriculum umanistico, e con un (recente) passato da critico di videogiochi. La profondità estetica e culturale dell'opera è innegabile: l'esplorazione dell'esopianeta Gliese 667 Cc è affidata alla gestione di un'IA, fissata nello scafandro della xenobiologa Ellery Vas, alla ricerca della sua compagna - e collega - Minae Nomura. Alle sue parole non possiamo rispondere (se non con "sì" e "no"), ma sono la via attraverso la quale percepiamo, e immaginiamo, il mondo alieno. Il sound design, affidato ad Amos Roddy, è eccellente. Purtroppo abbiamo trovato l'opera non all'altezza in termini di level design: non perché non sia divertente, nel senso più triviale del termine (è comprensibile, per un progetto del genere), quanto per l'esplorazione limitata e ripetitiva, e per gli ostacoli banali messi di fronte al giocatore. Rappresentano delle cadute di stile in un contesto estetico così ben costruito.
PRO
- Un'opera esteticamente matura
- Testi e narrazione raffinati
- Sound design eccellente
- Atmosfera evocativa
CONTRO
- Level design banale
- Esplorazione lineare e ripetitiva
- Essenziale un'approfondita conoscenza dell'inglese