Un’apprezzabile rilettura videoludica delle imprese di Sherlock Holmes e del dottor Watson.
A volte ritornano
Apparentemente, L’Orecchino d’argento ha l’impostazione delle più classiche avventure “punta e clicca” in terza persona, ma sotto sotto nasconde una meccanica di gioco relativamente originale, che per molti aspetti si discosta dalla maggior parte dei prodotti cui siamo stati abituati ultimamente, ovvero sia dalla tradizione del genere tramandata da successi recenti quali The Longest Journey o Syberia sia dalle caratteristiche portanti del filone Myst. Il risultato finale è un’apprezzabile rilettura videoludica delle imprese di Sherlock Holmes e del dottor Watson, che gode di una veste grafica di tutto rispetto e qualche spunto di gameplay davvero interessante, ma è intaccata da più di una pecca nella realizzazione tecnica e uno o due imperdonabili scivoloni nel game design. Frogwares, ad ogni modo, impara in fretta dai propri errori: lo dimostra il sostanziale scarto qualitativo tra “Il Mistero della Mummia” e “L’orecchino d’argento”. Nutriamo quindi grandi speranze per il terzo episodio della serie, che lo sviluppatore ha già in cantiere e che dovrebbe incarnare la maturazione della sua esperienza al fianco dell’impeccabile Sherlock Holmes...
I soliti sospetti
Le premesse della vicenda non sono delle più originali: Holmes e il suo fidato collega Watson vengono casualmente invitati a una serata di gala che comincia e finisce con l’assassinio del padrone di casa, un ricco maneggione londinese non molto stimato nell’alta società e immancabilmente attorniato da una fitta cerchia di nemici e avidi collaboratori pronti a ogni bassezza. I sospetti ricadono immediatamente sulla malcapitata figlia della vittima che, appena rimpatriata dopo anni di studio all’estero, ha l’accortezza di farsi sorprendere sulla scena del delitto con la pistola in mano e una nube di polvere da sparo intorno. Tutti additano i recenti attriti nati fra padre e figlia e la cospicua eredità che spetterebbe a quest’ultima ma, non appena iniziano a spuntare cadaveri come boccioli di primavera, il giallo s’infittisce. Riuscirà la lucida e infallibile logica del nostro Sherlock a fare luce sul mistero dell’orecchino d’argento? Ma soprattutto cosa c’entra l’orecchino d’argento in questa faccenda? Lo scopriremo affiancando Holmes e Watson nelle indagini sul caso, che si svolgeranno in una Londra del 1897 discretamente ricostruita e si baseranno sulla ricerca d’indizi, l’interrogazione dei testimoni e un attento esame delle prove raccolte.
Le indagini si svolgeranno nella Londra del 1897 e si baseranno sulla ricerca d’indizi, l’interrogazione dei testimoni e un attento esame delle prove raccolte.
I soliti sospetti
Purtroppo, il coinvolgimento nelle fasi iniziali è piuttosto limitato, il che nuoce gravemente alla capacità del giocatore d’immedesimarsi ed entrare nello spirito dell’avventura: l’atmosfera che avvolge il delitto nell’introduzione non è sufficiente a intrigarci, né i primi scambi di battute a farci legare coi comprimari. Insomma, l’interesse nella trama in generale rasenta lo zero: la storia è trita e ritrita, i rari colpi di scena che la punteggiano vengono spesso bruciati per mancanza di un’adeguata suspense nella costruzione narrativa e, vista la caratterizzazione scontata o non sempre felice dei personaggi, non si riesce neppure ad affezionarsi ai protagonisti della vicenda, con qualche rara eccezione e l’esclusione di Holmes e Watson. In effetti, i nostri due eroi e quel simpaticone dell’ispettore Lestrade sono ben tratteggiati e fedeli allo spirito dei racconti di Doyle. Sherlock dà il meglio di sé nelle sue sorprendenti disquisizioni analitiche e Watson ci regala sempre un sorriso col suo simpatico modo di fare e la disinvolta disperazione con la quale cerca costantemente di stare al passo col collega. I dialoghi sono ben scritti e non privi di una certa vena d’umorismo, ma non sempre coinvolgenti: qualche volta, ci si ritrova a desiderare intensamente che uno dei testimoni finisca di vuotare il sacco, per poter proseguire con qualcosa di più interessante. A dispetto di tutto ciò, la presentazione del prodotto è coloratissima e amorevolmente curata, le indagini sono costruite talmente bene e le prove disseminate nelle aree di gioco s’incastrano così impeccabilmente, che dopo un po’ ci si dimentica dello scetticismo iniziale per finire contagiati dalle atmosfere vittoriane e ci si lascia trascinare piacevolmente dall’intrigo che si dipana piano piano sotto i nostri occhi, per il puro gusto di mettere alla prova le nostre capacità analitiche e deduttive.
Elementare, Watson! Beh, non proprio...
Nel corso dell’avventura, che è strutturata in maniera assolutamente lineare e suddivisa in cinque giornate, controlleremo sia Sherlock Holmes sia il Dr. Watson, passando dall’uno all’altro con un interessante cambio di prospettiva: in genere, al primo spetterà la minuziosa analisi delle scene dei delitti e al secondo compiti più prosaici quali la ricerca di documentazione o di testimoni. Le fasi di raccolta degli indizi sono abbastanza appassionanti, mentre non si può sempre dire altrettanto di quelle delle testimonianze o dell’esame scientifico delle prove a Baker Street, condotto per lo più in maniera sterile e pilotata. I documenti e gli appunti sulle prove raccolti nel diario di Holmes vanno letti e riletti, ma possono essere anche piuttosto lunghi e duri da decifrare (scarabocchi, calligrafie difficilmente comprensibili, registri contabili...), per quanto non si possa negare che ciò contribuisca enormemente al realismo dell’esperienza di gioco. Alla fine di ogni giornata d’indagine, bisogna affrontare un quiz per dimostrare di aver interpretato correttamente gli indizi e ricapitolare il punto della situazione: si risponde con un “sì” o con un “no”, sostenendo di volta in volta la propria scelta con le prove del caso reperibili nel diario (indizi, testimonianze dirette e appunti di Holmes). I quiz sono una trovata geniale: oltre a costituire un’interessante integrazione alla storia, sopperiscono alla relativa carenza di enigmi veri e propri nel gioco, anche se i questionari rischiano talvolta di rivelarsi pericolosamente frustranti, poiché pregiudicati anche da una sola risposta errata. In caso di errore, infatti, Holmes si limiterà a suggerire di ricontrollare TUTTE le domande e a volte ci si blocca per dettagli davvero trascurabili.
Elementare, Watson! Beh, non proprio...
Come si è detto, la maggior parte del tempo di gioco è dedicata alla ricerca d’indizi nelle dettagliatissime ambientazioni: le prove sono disseminate o nascoste in varie forme (impronte, oggetti, residui di sostanze non ben identificate, documenti...) e, come ci si potrebbe aspettare nelle indagini della vita reale, a volte sono difficilissime da individuare – insomma, la “caccia ai pixel” sullo schermo in quest’avventura è la regola ma, visto il contesto e l’importanza del dettaglio nel lavoro dell’investigatore, qui possiamo tollerarla! Interrogare i testimoni sarà un’altra attività di fondamentale importanza per risolvere il caso: non dovremo fare appello al nostro fiuto di detective, poiché ci limiteremo semplicemente a vagliare tutte le opzioni di dialogo con tutti i personaggi. Gli enigmi convenzionali che implicano l’uso di oggetti in inventario sono pochi ed elementari. I puzzle logici e meccanici sono essenzialmente concentrati in un’unica ambientazione, il che sarà pure coerente col contesto del gioco, che li integra con un chiaro proposito, ma sfibrante per il giocatore, il quale si ritrova ad affrontarli uno di seguito all’altro. Si va dalla decifrazione del codice di una cassaforte a rompicapo matematici e qualcuno risulta piuttosto ostico. È un vero peccato che siano così pochi, dal momento che appaiono singolarmente ben congegnati e inseriti nella trama dell’avventura!
La “caccia ai pixel” sullo schermo in quest’avventura è la regola.
Elementare, Watson! Beh, non proprio...
L’ultimo elemento della meccanica di gioco da segnalare, per l’orrore di tutti gli amanti del genere, è la presenza di ben due snervanti sequenze d’azione: una goffa fase stealth e un odioso labirinto a tempo mettono seriamente a repentaglio il delicato equilibrio dell’avventura e l’altrettanto delicato equilibrio psichico del giocatore, con un sistema di controllo a dir poco osceno e nessun margine d’errore. Galeotto fu l’ambizioso pretesto di movimentare il ritmo di gioco! È imperdonabile che gli sviluppatori di avventure grafiche, pur conoscendo il proprio pubblico e i limiti tecnici del genere stesso, si ostinino a prendere rischi simili, specie quando partono da un’interfaccia che ha già un “path-finding” di per sé discutibile, come appunto quello de L’orecchino d’argento: gli spostamenti risultano problematici anche nelle normali fasi di gioco, in cui per passare da una schermata all’altra bisogna dare la caccia a icone a forma di piedi che appaiono dove e come vogliono, quindi figuriamoci quando abbiamo guardie e cani alle costole o il tempo contato per correre da una parte all’altra! Senza considerare il fatto che ogni tanto, sul più bello, Holmes e Watson semplicemente rifiutano di muoversi!
Un comparto tecnico promiscuo
L’interfaccia è asciutta e funzionale, l’inventario pratico ed elegante, il diario ben organizzato e finalmente utile alla soluzione del gioco. La grafica colorata e particolareggiata è indubbiamente il punto di forza di questo titolo. Gli interni delle raffinate ambientazioni vittoriane sono resi con una meticolosità maniacale: quadri, stucchi, tappezzerie, porcellane, elaborati ricami, tavole imbandite, tappeti esotici e caldi effetti di luce vi accarezzeranno gli occhi davanti a ogni singolo fondale bidimensionale splendidamente pre-renderizzato. Non si può essere altrettanto entusiasti di alcuni filmati dalla qualità intermittente e dalle inquadrature opinabili, né dell’animazione dei personaggi, i cui modelli tridimensionali a volte appaiono alquanto legnosi e non sempre rifiniti. Il gioco è minato da qualche bug grafico, di cui uno in particolare può rendere addirittura impossibile la risoluzione di un enigma e obbligatorio il download della patch messa a disposizione dallo sviluppatore.
Un comparto tecnico promiscuo
La colonna sonora è interamente composta da pezzi di musica classica, da Dvorak a Tchaikovski, che non sempre calzano a meraviglia all’atmosfera di gioco, fino ad arrivare a essere di disturbo in qualche passaggio, soprattutto per via delle difficoltà che si riscontrano nell’impostarne i livelli audio rispetto ai dialoghi o gli effetti sonori. Questi ultimi non sono un granché. Non tutti i doppiatori inglesi offrono interpretazioni convincenti e professionali, qualcuno sfiora addirittura il ridicolo. Su ogni altra spicca però la voce di Watson, che è davvero apprezzabile. Purtroppo, il gioco risente di qualche bug sonoro e vistosi problemi di lip-synch, che non sfuggiranno neppure agli utenti italiani, malgrado la presenza di sottotitoli per loro. A tale proposito, segnaliamo che la qualità della localizzazione è mediamente buona, se si escludono qualche bizzarria nella traduzione e un paio di errori di grafia ricorrenti.
Commento
L’orecchino d’argento è un gioco che di potenziale ne ha da vendere: malauguratamente, sono proprio le sue qualità a metterne in cattiva luce le pecche, rendendole forse ancora più difficili da digerire! Fa quasi rabbia il fatto che una presentazione grafica tanto curata sia menomata da bug o improvvisi scivoloni stilistici, che un’azzeccata reincarnazione videoludica dei personaggi di Holmes e Watson e dell’Inghilterra della loro epoca non sia sempre sostenuta da una sceneggiatura e dei dialoghi all’altezza, o ancora che l’attenta ricostruzione delle indagini non basti a salvare il ritmo dell’avventura, che qua e là tradisce la carenza di puzzle veri e propri. Ciononostante, la meccanica di gioco tutto sommato gradevole e qualche spunto innovativo ci costringono ad assolverlo dalle sue colpe: neppure i fastidiosi difetti dell’interfaccia e le improponibili sequenze d’azione pregiudicano il divertimento in modo irreparabile e questa, nel bene e nel male, resta una delle avventure più valide uscite negli ultimi tempi. Va da sé che è un titolo consigliato prevalentemente ai fan di Sherlock Holmes e agli avventurieri più inossidabili!
- Pro:
- Dignitosa trasposizione dei racconti di Doyle
- Grafica evocativa
- Meccanica di gioco singolare
- Contro:
- Ritmo e atmosfera non sempre trascinanti
- Interfaccia poco amichevole
- Qualche svarione tecnico
A volte ritornano
Questo non è il primo e non sarà neanche l’ultimo gioco dedicato al celebre investigatore reso immortale dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle: gli appassionati non si saranno fatti scappare i due classici della serie “The Lost Files of Sherlock Holmes” sviluppati da Mythos Software e pubblicati da Electronic Arts negli anni ’90 (The Case of the Serrated Scalpel e The Case of the Rose Tattoo), né tanto meno il più recente “Il Mistero della Mummia”, sempre ad opera di Frogwares. Incoraggiato dall’accoglienza piuttosto favorevole ricevuta da quest’ultimo titolo, lo sviluppatore ha deciso di lanciarsi in una seconda trasposizione digitale delle indagini del detective per antonomasia, che per loro stessa natura sembrano ben prestarsi a una rivisitazione sotto forma di avventura grafica. Tuttavia, oltre che un fattore di grande richiamo, la fama di Holmes e compagni rappresenta una grossa responsabilità: dev’essere un’impresa non indifferente restare fedeli allo spirito dei racconti originali di Doyle e al tempo stesso proporre un nuovo appassionante caso e una meccanica di gioco che ne sia all’altezza!