Quando l'attesa ha termine...
Georgia, anno 2004: il colpo di stato pacifico che ha portato il miliardario Kombayn Nokoladze al comando di una delle ex-repubbliche sovietiche più ricche e sviluppate tecnologicamente, non può che impensierire gli alti vertici della NSA, specie dopo la scomparsa a T’Blisi di ben due agenti americani infiltrati nella criminalità locale.
Sulle loro tracce veniamo inviati noi, nei panni del veterano Sam Fisher, top agent della NSA e in particolare della nuovissima sezione sperimentale Third Echelon, con lo specifico obiettivo di raccogliere informazioni per conto dello Zio Sam, alla ricerca degli scheletri negli armadi di Nikoladze e dei suoi complici direttamente sul campo, là dove le moderne tecniche informatiche non possono raggiungerli.
Il mio nome è Fisher. Sam Fisher.
Se vogliamo considerare gli action tattici come l’unica consistente innovazione cui abbiamo assistito negli ultimi anni nel mondo dei videogiochi, allora Splinter Cell non può essere visto che come una delle vette più alte raggiunte dal filone, che annoverando titoli quali Thief, Deus Ex e Metal Gear Solid, ha rappresentato e rappresenta uno dei migliori argomenti a favore del gaming singleplayer su PC.
L’esperienza Sprinter Cell si basa saldamente su due robusti pilastri: il primo è un gameplay adulto e convincente, che attinge a piene mani dal meglio che ci abbia offerto il genere in questi anni e al tempo stesso rielabora e inserisce nuovi elementi che definire ispirati è poco; il secondo è per così dire la “confezione” in cui ci viene presentato e cioè non solo la grafica, ma l’intera impostazione scenica, il design dei livelli, la regia degli intermezzi animati e delle sequenze scriptate: tutto è proteso alla spettacolarizzazione, a rendere il gioco il più possibile simile a un film.
Se vi è venuto in mente Max Payne, avete fatto centro. Ma se quest’ultimo era l’equivalente videoludico dei film d’azione di John Woo, (pistole, piccioni e quel tocco “alla Matrix” che non può mancare), l’atmosfera che si respira in Splinter Cell è quella propria dei personaggi e delle situazioni che hanno decretato il successo dei libri di Tom Clancy e (guardacaso) dei film che ad essi si sono ispirati.
L’azione di gioco è quindi sempre perfettamente realistica e anche il gesto più eroico compiuto dal nostro personaggio non solo è perfettamente plausibile, ma risulta ancora più emozionante in quanto la nostra percezione del pericolo è enormemente accentuata rispetto a quanto ci hanno abituato anni di shooter basati sull’ormai abusato concetto di “carneficina”.
Il mio nome è Fisher. Sam Fisher.
Inoltre, se Max Payne vi è sembrato corto (come è probabile visto che lo è), vi garantisco che Splinter Cell vi durerà più che a sufficienza, non solo per il ragguardevole numero di missioni incluse, ma anche e soprattutto per la loro difficoltà e l’intrinseca necessità di giocarlo a piccole dosi.
E poi cercare di finirlo d’un fiato è il modo migliore per privarsi del piacere di scoprire i retroscena della vicenda tassello dopo tassello, affiancando le frammentarie informazioni ottenute dai superiori con quanto raccoglieremo per conto nostro interrogando i nemici e rubando la loro corrispondenza elettronica.
Soli - ma mai del tutto, con il meglio degli spioni yankee sempre in contatto con noi – sul campo di battaglia, siamo provvisti degli ultimi ritrovati della tecnologia militare (dalle telecamere in fibra ottica ai microfoni direzionali) e delle armi più letali ed avanzate, eppure non è mai il caso di essere troppo sicuri di noi stessi. In ogni istante camminiamo sul filo di un rasoio, un minimo errore e il nemico si accorgerà della nostra presenza, siamo privi di qualsiasi supporto medico e logistico e abbiamo munizioni a mala pena sufficienti a risolvere gli imprevisti, figuriamoci ingaggiare una guerra solitaria.
L’unica arma nelle nostre mani realmente efficace è quindi la discrezione, la straordinaria capacità di passare inosservati ottenuta grazie a un addestramento che ci ha trasformati in veri e propri fantasmi notturni, in grado di nasconderci a pochi passi da una sentinella senza che essa abbia il minimo sentore della nostra occultata presenza.
Non lasciare tracce né testimoni, questo è il nostro modo di agire. Muoverci e agire come se non esistessimo.
Come due gocce d'acqua?
Come dare inizio a un proficuo esame della qualità di una conversione? Forse partendo dai punti in comune, dato che in seguito avremo tempo a sufficienza per dedicarci alle differenze, sia in positivo che in negativo.
Orbene, cosa condividono la versione Xbox e quella PC sul piano prettamente tecnico? Per cominciare il sonoro, degno di onore e lustro, come sapranno quanti hanno già provato il gioco, sia per le musiche (coinvolgenti, non invadenti e perfettamente appropriate alle diverse situazioni in quanto cambiano efficacemente a seconda del livello di pericolo in cui ci troviamo) sia per gli effetti, dei quali possiamo citare ben poco se non il loro indiscutibile realismo.
La localizzazione infine è impeccabile, non solo per il doppiaggio magistrale, che conta l’intervento di ben 30 professionisti (fra cui Luca Ward, voce di Keanu Reevs, Russel Crowe e Pierce Brosnan ecc.), ma soprattutto per la qualità della traduzione e l’adattamento, per una volta all’altezza dell’originale.
Un’ottima prova da parte della Local Transit (qui e qui trovate le nostre interviste).
Come due gocce d'acqua?
Cosa contraddistingue invece la conversione per PC dall’originale per console?
In primis la grafica, laddove la questione comincia a farsi delicata.
Come è ovvio su PC il gioco ha modo di incarnarsi nelle risoluzioni più fantasiose a seconda delle disponibilità hardware dell’utente, al contrario delle console, vincolate allo standard televisivo. Il punto è che l'alta risoluzione e la maggiore definizione del monitor tendono ad accentuare piccoli difetti e imperfezioni del motore (texture leggermente “stretchate”, aliasing sui contorni delle ombre, compenetrazioni di poligoni) che in larga misura restavano del tutto inosservate sui comuni schermi TV, con il risultato che il gioco risulta essere generalmente meno bello da vedere rispetto alla controparte Xbox.
Si tratta in larga misura di impressioni suscitate anche dall’essere maggiormente vicini al video, ma vi sono anche delle differenze estetiche di natura maggiormente quantificabile.
Testando il gioco su un Athlon 1800+ con 1 Gbyte di memoria DDR e annessa GeForce Ti 4600, Splinter Cell ha effettivamente brillato per fluidità e velocità, ma per quel che concerne l’illuminazione dinamica si sono resi evidenti alcuni difetti non esattamente all’altezza dell’hardware a disposizione.
Un esempio è il passaggio graduale fra le zone d’ombra e quelle di luce: in Splinter Cell luci ed ombre sono calcolate in tempo reale (egregiamente aggiungerei) ma capita di assistere al tipico “sfarfallio” causato dalla repentina sostituzione di una texture con un’altra di diversa tonalità.
Ad esempio può accadere che parte della divisa del protagonista, una volta entrati all’improvviso in una zona d’ombra, passi improvvisamente dal grigio al nero: la differenza di gradazione è così accentuata da non sfuggire ad un occhio attento e risulta fastidiosa se accostata al resto degli elementi della scena, che passano dalla luce al buio molto più dolcemente.
Si tratta naturalmente di particolari di rilevanza meramente circostanziale, ma l’evidenza di alcuni di essi hanno giustificato l’uscita di una prima patch che ha già migliorato in maniera consistente la qualità visiva del gioco.
La potenza è nulla (senza controllo)
Passiamo ora a ciò che starà più a cuore alla maggior parte dei giocatori, ovvero cosa è cambiato in materia di sistema di controllo e quindi di giocabilità.
La conversione di un titolo da PC a console è tipicamente un processo delicato data la mancanza del mouse, specie nel caso di FPS ed action in terza persona (sorvoliamo sugli spiacevoli episodi di RTS piegati all’inflessibile legge del joypad).
Nel caso di Sprinter Cell la situazione è quella inversa: appartenente a un genere particolarmente congeniale all’accoppiata mouse+tastiera, ma che viceversa ha avuto i suoi natali su console.
La cosa non fece certo piacere a noi scettici e tradizionalisti utenti PC, eppure il sistema di controllo si rivelò assolutamente impeccabile, tanto più che raramente il gioco richiede l’istantanea precisione del mouse durante gli scontri a fuoco.
Un sistema di controllo talmente buono e ben calibrato sulle potenzialità dei joypad di ultima generazione che importarlo su PC ha suscitato (e suscita) più di qualche perplessità.
Un esempio: come in ogni action che si rispetti, il protagonista vanta due diverse velocità di movimento, che corrispondono alla corsa e alla camminata - nel caso di Sprinter Cell - circospetta e silenziosa.
Ebbene su console esse corrispondono a due diversi gradi di “pressione” dello stick analogico (la migliore innovazione degli ultimi anni in materia di periferiche di gioco, altro che vibrazioni e quisquilie di tal risma), il che consente di controllare i movimenti con un unico gesto rapido e naturale.
Su PC la faccenda si complica non poco dato che la natura digitale dei tasti della nostra austera kayboard implica due soli stati, ovvero acceso/spento o premuto/non premuto. Si richiede quindi un tasto ulteriore che attivi o meno la “corsa”.
E qual è il problema direte voi? Dopotutto è quello che facciamo da anni in tutti gli FPS, o meglio, che *non* facciamo visto che nella stragrande maggioranza dei casi si provvede a tagliare la testa al toro con un bel “always run”.
La potenza è nulla (senza controllo)
Il punto è che in Splinter Cell la differenza fra camminare e correre va ben oltre la pazienza o il tempo a disposizione del videogiocatore: correre significa fare rumore e attirare pericolosa attenzione, mentre avanzare lenti e circospetti è l’unico modo per avvicinarsi non visti al nemico o accorgersi in tempo di trappole e telecamere. Spesso capita di dover scattare all’improvviso per evitare una guardia dopo un lungo e lento tragitto nell’ombra o viceversa accucciarsi all’istante e avanzare non visti dopo una corsa a perdifiato con i soldati alle calcagna. Aggiungere un tasto ulteriore ai (tanti) già previsti sarebbe stato fin troppo caotico e la soluzione adottata di default è stata di sfruttare la rotellina del mouse per decretare la velocità del protagonista. Funzionale ma non altrettanto comodo, specie, senza contare gli utenti privi di mouse con scroller.
Analogamente l’uso delle frecce direzionali risulta a tratti impreciso nel tentativo di posizionare correttamente il personaggio (dotato di molteplici gradi di orientazione) per un millimetrico salto o per entrare in uno stretto passaggio, così come i primi tentativi di scassinare le serrature potrebbero causarvi moderate crisi isteriche.
Eppure il sistema di controllo su PC ha anche i suoi innegabili e preziosissimi vantaggi: l’uso del mouse consente di guardarsi intorno più facilmente e con più naturalezza, cambiare direzione con maggiore tempismo e naturalmente mirare più in fretta e con più precisione, tanto che la probabilità di emergere vittoriosi da uno scontro a fuoco aumenta drasticamente su PC rispetto alle console.
Insomma, ogni sistema di controllo ha i suoi pro e contro, sta al giocatore scegliere quello a lui più congeniale e il consiglio migliore che possiamo darvi è di provare il demo da tempo rilasciato in rete.
Il verdetto finale
Nonostante le diverse piccole imperfezioni riscontrate, non possiamo che consigliare Sprinter Cell a chiunque voglia investire il proprio denaro in qualcosa di estremamente simile a un buon film, ma in grado di intrattenervi molto più a lungo.
Se però doveste trovarvi nella situazione di dover scegliere fra PC e console, lo spassionato consiglio del sottoscritto, lontano da ogni sterile favoritismo per questa o quella piattaforma di gioco, è di adottare il gioco per Xbox o Ps2.
A conti fatti questa conversione ha dalla sua soltanto la non trascurabile possibilità di salvare a piacere in ogni momento, non presso i soli checkpoint. Una scelta più equilibrata e in linea con i gusti del pubblico PC.
Pro
- Grafica e sonoro a ottimi livelli
- Giocabilità senza pari
- Una trama approfondita e coinvolgente tutta da scoprire
- Giustamente impegnativo
Contro
- Qualche sbavatura tecnica rispetto alla versione Xbox
- Sistema di controllo poco adatto alla tastiera
Quando l'attesa ha termine...
Splinter Cell è uno di quei titoli per cui vale la pena di acquistare l'Xbox e alla luce di questo fatto pare giustificato il consistente ritardo con cui la conversione per PC si è presentata all'appuntamento con i suoi fan.
Considerando il più che ragguardevole spazio che abbiamo dedicato a questa killer application sulle nostre pagine (nonché il costante battage pubblicitario ad essa dedicato), anche il lettore meno attento dovrebbe essersi fatto un'idea abbastanza precisa di che tipo di gioco sia Splinter Cell, quindi vedremo di non spendere troppe parole sull'introduzione del gioco in sé e una volta sviscerate come si conviene le meccaniche di gioco, dedicheremo ampio spazio al confronto con la versione Xbox, chiedendoci su quale piattaforma il gioco dia il meglio di sé.