Potrebbe benissimo essere la scena d’apertura di un film e invece è il preludio di uno dei giochi più intriganti dell’anno...
L’arte della paura
Potrebbe benissimo essere la scena d’apertura di un film e invece è il preludio di uno dei giochi più intriganti dell’anno, che al cinema e in particolare agli psycho-thriller deve comunque buona parte del uso smalto. La superlativa introduzione offre un gustoso assaggio delle atmosfere a tinte forti e del ritmo di gioco trascinante che ci assorbiranno per quasi tutta l’avventura: questa ci scaraventa subito nel vivo della vicenda, visto che subentriamo al quinto cadavere e a indagini ormai avviate; il nostro assassino ama divertirsi non solo con le sue prede ma anche con la polizia, alla quale non lascia altro che indizi frammentari e deliranti scritte tracciate col sangue; gli ultimi omicidi indicano una progressiva escalation di violenza e il suo modus operandi sembra evolversi col tempo. Victoria ha l’acqua alla gola ma decide di concedersi una pausa, almeno per portare il suo regalo di Natale al padre. Per ricambiare, quest’ultimo le consegna un vecchio cimelio di famiglia (quando si parla di regali riciclati... certo, sempre meglio che incartare il gatto di casa per rimediare qualcosa all’ultimo minuto): sarà la chiave per accedere alle memorie del nonno Gustave McPherson, che a suo tempo aveva seguito un caso analogo, un po’ troppo analogo a dirla tutta. A questo punto, Still Life ci sorprende con un repentino cambio di scenario, ritmo e protagonista: un diario dimenticato per anni in soffitta ci trasporta su un canale nella Praga dei primi del ‘900, lo schermo assume improvvisamente le ruvide tinte seppia di una vecchia foto sbiadita e ci ritroviamo nei panni del nonno detective di Vic, alle prese con l’ennesimo cadavere di prostituta ripescato dal fiume.
Due città diverse, due epoche diverse... un solo killer?
La lettura del diario di Gus rappresenterà un ponte col passato per tutto il corso dell’avventura, che scorre sul filo del rasoio intrecciando due storie parallele e sballottandoci da una fredda e asettica Chicago dei giorni nostri a una suggestiva Praga da cartolina. Le differenze tra le due epoche in cui è ambientato il gioco non sono esclusivamente grafiche e stilistiche, riflettendosi anche nel gameplay: mentre Vic collabora con gli esperti dell’FBI e si avvale delle più moderne tecnologie per la raccolta degli indizi e l’identificazione dei sospetti, Gus si fa strada a suon di cazzotti, scassi ed effrazioni, con metodi un po’ meno ortodossi e l’aiuto dei suoi poteri psichici e di qualche amico fidato nella polizia o nella piccola criminalità.
La lettura del diario di Gus rappresenterà un ponte col passato per tutto il corso dell’avventura
Due città diverse, due epoche diverse... un solo killer?
Il caso in esame è abbastanza credibile e il profilo dell’assassino regge più che bene. Il cinema, infatti, non è stata l’unica fonte d’ispirazione degli sviluppatori: il capo designer Mathieu Larivière ha dichiarato di essersi documentato sui libri di John Douglas, ex agente e ora consulente dell’FBI, e di essere un ammiratore di Patricia Cornwell, specialmente del suo “Ritratto di un assassino”. Sarà chiaro a tutti, ormai, che Still Life è un titolo “cattivo”, rivolto a un pubblico maturo: i delitti vengono raffigurati in tutta la loro crudezza, le atmosfere sono opprimenti, i dialoghi sono realistici e non risparmiano su parolacce e battute al fulmicotone, come sarebbe anche naturale in un contesto del genere! I protagonisti stessi non sono certo due boyscout: spesso e volentieri sono i primi a infrangere la legge, Gus non disdegna mai il ricorso alle maniere forti per ottenere una pista e ha la pessima abitudine di farsi coinvolgere troppo nei casi a livello personale e, dal canto suo, Victoria è completamente desensibilizzata alla violenza e non si fa troppi scrupoli a mandare al diavolo le procedure e il suo capo all’occorrenza.
Due città diverse, due epoche diverse... un solo killer?
Il risultato è un conturbante cocktail di tensione, atmosfere, ritmi e stili di gioco differenti che, malgrado qualche difettuccio di forma esposto più avanti, non mancherà di conquistarsi un posto sullo scaffale di ogni appassionato di avventure grafiche, specialmente di quelli con un debole per il brivido e il mistero. Ci sono risvolti della trama che toccano climax emotivi rari a sperimentarsi in un videogioco. I flashback sono intessuti magistralmente in questo thriller interattivo, attraverso sottili espedienti narrativi e filmati che nulla hanno da invidiare alle sequenze più memorabili delle controparti cinematografiche. Anche il finale, nel bene e nel male, ha molto in comune con quelli che spesso ci ripropongono i lungometraggi del genere: chi ci arriverà capirà bene il perché!
Gli enigmi sono vari, discretamente stimolanti e ben integrati nel contesto.
Il livello di difficoltà, tuttavia, è alquanto disomogeneo.
Una natura tutt’altro che morta
La firma del team artistico di Syberia è riconoscibile anche nell’implementazione del motore grafico potenziato, che fa brillante sfoggio delle proprie capacità ricreando ambientazioni decisamente più sinistre rispetto al predecessore ma altrettanto dettagliate e suggestive. Particolarmente apprezzabile è il cambio di colori e atmosfere al passaggio da un’epoca all’altra: lo stile livido e tagliente che caratterizza le scene ambientate a Chicago contrasta nettamente con quello sbiadito e trasognato degli scorci di Praga. La riproduzione e la manipolazione di luci e ombre in tempo reale sono davvero notevoli. I riflessi sull’acqua e l’effetto nebbia risultano decisamente convincenti. Come in Syberia, molti dei fondali bidimensionali sono impreziositi da piccoli dettagli e chicche grafiche che, pur non saltando immediatamente all’occhio, contribuiscono ad animarli e renderli più vividi: ratti che schizzano all’improvviso da una parte all’altra dello schermo, tendaggi che ondeggiano elegantemente, fiamme di candele tremanti... Il modello tridimensionale della protagonista è molto particolareggiato e ben animato, gli altri un po’ meno. Un discorso analogo va fatto per i numerosi filmati che scandiscono e movimentano l’avventura: alcuni rimarranno indelebilmente impressi nella memoria del giocatore, per l’incisività delle inquadrature, lo stile ricercato e la suspense inusitata per un videogioco, altri decadono un po’ di qualità, per quanto la media rimanga elevata e il taglio cinematografico inconfondibile. [C]
[/C] L’interfaccia è essenziale e funzionale: le interazioni con l’ambiente di gioco e le selezioni nei menu si effettuano col tasto sinistro del mouse, mentre il destro apre e chiude l’inventario. Tuttavia, potrebbe richiedere un piccolo sforzo di adattamento da parte dei veterani del genere, abituati all’uso diretto degli oggetti nell’ambiente di gioco: in Still Life è necessario avvicinarsi all’elemento su schermo con cui si desidera interagire e attendere la comparsa di un’apposita icona, prima di accedere al menu dell’inventario e selezionare l’oggetto da utilizzare automaticamente. Tale meccanismo semplifica la soluzione di molti enigmi e risolve il problema del “pixel hunting”, ovvero la ricerca affannosa di punti caldi sullo schermo, ma non risulta necessariamente intuitivo. La schermata dell’inventario, che include aree di raccolta delle prove e dei documenti ottenuti nel corso del gioco, offre la possibilità di esaminare e ingrandire tutti gli oggetti tridimensionali in nostro possesso: per esempio, potremo ruotare una tessera per leggere un codice sul retro. Il motore di dialogo prevede due diverse modalità d’interazione coi personaggi del gioco e l’uso alternato del tasto sinistro del mouse per opzioni inerenti alle indagini e del destro per domande o riflessioni più propriamente personali, che non influiscono direttamente sulla soluzione dell’avventura ma regalano spessore ai suoi protagonisti. Ciononostante, le conversazioni sono rigidamente lineari e non ci permettono d’intervenire in alcun modo sulla scelta o l’ordine degli argomenti trattati.
A parte qualche piccola imprecisione nella traduzione, i dialoghi scorrono che è un piacere ascoltarli, anche quando i personaggi si dilungano in aneddoti o dettagli della loro vita privata. Per quanto possa suonare strano, è un piacere pure sfogliare i rapporti di Vic e i referti delle autopsie, sempre realistici e ben scritti. Negli scambi tra la protagonista e gli altri personaggi, persino nei momenti più drammatici, non manca mai la battutina tagliente che riesce a spiazzare piacevolmente lo spettatore e stemperare le atmosfere cupe e cariche di tensione che pervadono il gioco. Non tutti i doppiatori offrono un’interpretazione ispirata però. Il comparto audio è impeccabile: gli effetti sono di ottima fattura e la colonna sonora alterna intensi pezzi lirici a brani d’atmosfera più moderni e concitati, passando agilmente dagli echi di organetti antichi ai suoni stridenti della musica elettronica.
Commento
Porgendo più di un omaggio alla tradizione delle avventure grafiche e del thriller, non senza introdurre qualche nuovo spunto degno di nota, Still Life riesce a ricavarsi uno spazio tutto suo nel panorama dei titoli che attualmente rappresentano il genere. Il suo punto di forza è senza dubbio il ricorso a due ambientazioni e stili di gioco diversi al servizio di un’unica storia. La difficoltà dei puzzle non è sempre ben calibrata ma la varietà è assicurata. La sceneggiatura trascinante, l’aggressivo impianto cinematografico e il livello d’immersione nel suo universo cupo e inquietante fanno dimenticare le piccole pecche grafiche e la linearità granitica che minano un prodotto altrimenti impeccabile.
- Pro:
- Trama adulta e ben articolata
- Uso di due personaggi
- Meccanica di gioco varia e coinvolgente
- Filmati d’intermezzo cinematografici
- Grafica e sonoro originali e incisivi
- Contro:
- Livello di difficoltà altalenante
- Qualche calo di qualità nei filmati e nelle animazioni
- Gameplay e dialoghi estremamente lineari
L’arte della paura
Mentre un energico brano lirico scorre in sottofondo, l’agile polso di un pittore si avventa con trasporto su una tela immacolata, solcandola ritmicamente con pesanti linee rosso sangue. In un crescendo di pathos alimentato da forti suggestioni musicali e visive, cominciano a susseguirsi immagini confuse di una galleria d’arte e di una galleria di ben altro tipo, quella delle fogne di una città d’altri tempi nelle cui viscere si aggira furtiva una figura grottesca e inquietante, avvolta in un mantello nero e impegnata in un macabro rituale. Questo carosello di arte e mostruosità si conclude con la sagoma minacciosa del killer che deposita il cadavere della sua vittima sotto un ponte e quella anonima di un artista che ammira soddisfatto la propria opera finalmente compiuta: guarda caso, il ritratto livido e angosciante raffigura una donna con un ponte sullo sfondo. Lo ritroviamo poi in tutt’altro contesto, mentre una coppia lo contempla, sorridendo e chiacchierando con complicità. L’idillio è spezzato da una telefonata sul cellulare di lei, che cambia improvvisamente espressione e corre via: come scopriremo presto, si tratta dell’agente Victoria McPherson, profiler dell’FBI assegnata a un caso di omicidi seriali, che è costretta suo malgrado a precipitarsi sulla scena del quinto delitto. Qui l’attendono ambulanza, auto della polizia e nastro giallo che delimitano ogni scena del crimine che si rispetti e l’aria gelida del mattino di Chicago, tagliata solo da qualche fiocco di neve cadente... sarà il caso di procurarsi un bel caffè caldo per affrontare una giornataccia del genere!